La sua testimonianza è diventata una luce per migliaia di persone. È morto il 24 marzo a Siviglia, e come dice la moglie Lucía era “un santo con la cravatta”.
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Il fine settimana scorso, Lucía ha pubblicato questa foto su Instagram. Miguel, sulla sedia a rotelle, osservava i due figli più piccoli che celebravano la loro Prima Confessione.
L'hanno fatto in casa, sotto lo sguardo attento del padre, lo sguardo di un padre orgoglioso, profondamente trascendentale perché la malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, lo ha unito alla Croce fino a trasformarlo involontariamente in un faro per migliaia di persone. Lo sguardo di un padre che sa di essere vicino a Dio Padre e che vedeva in quella stanza l'abbraccio di Dio ai suoi figli.
In seguito ha subìto un aggravamento delle sue condizioni e ha dovuto essere ricoverato nell'Hospital Virgen del Rocío di Siviglia, dove questo mercoledì, come ha detto il cognato Elías, sacerdote, “è entrato per la porta grande in Cielo”. Lucía, attraverso le reti sociali, ha annunciato la sua morte e ha ringraziato per le tantissime dimostrazioni d'affetto.
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Il 30 ottobre avevamo pubblicato su Aleteia la sua testimonianza. Avevo mandato l'articolo a Miguel, mio buon amico da anni. Comunicavamo via WhatsApp perché non riusciva a parlare. Io gli mandavo dei messaggi vocali e lui mi rispondeva con dei testi.
Mi ha ringraziato per l'articolo, ma con la sua abituale sincerità mi ha confessato che aveva paura. Non si sentiva un esempio. È sempre stato una persona molto umile, ed era molto stupito dalla diffusione che stava avendo il suo caso.
Lui che non amava essere al centro dell'attenzione era diventato un leader naturale, vedendosi all'improvviso sotto i riflettori. Se non gli piaceva nei momenti migliori immaginatevi in questa situazione, senza poter parlare, su una sedia a rotelle, malato. Riferendosi a Lucía e a lui diceva “non siamo poi così buoni”.
Un quotidiano nazionale gli aveva appena fatto un'altra intervista, e avevano anche registrato un video di testimonianza. Aveva le vertigini.
Ho insistito a dirgli che non avevo detto nulla di lui che non fosse già prima della malattia, una bravissima persona, ma che ora forse parte della sua missione era testimoniare come incontrare Dio e trovarlo in una malattia così crudele, come contrappunto nei confronti di chi difende l'eutanasia come unica strada di fronte alla sofferenza. Quando gli dicevo questo avevo la voce spezzata.
E lui, con una semplice frase di testo, mi ha mandato “un abbraccio immenso”, e ho sentito come se me lo stesse dando fisicamente – quello che avrei voluto dargli io. E ha dato eccome la sua testimonianza. Il loro modo di affrontare la malattia in famiglia li ha trasformati in una fonte di ispirazione per migliaia di persone.
Lucía pubblicava su Instagram aspetti della loro quotidianità familiare, con fotografie così allegre per la bellezza che racchiudevano da non avere bisogno di filtri, e con la prosa di una filologa riusciva a trasmettere con ogni post la grandezza di una coppia innamorata, generosa, riversata sui figli... e del tutto fiduciosa nella Volontà di Dio.
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C'era comunque la crudezza della malattia, senza nascondere i momenti difficili e le lacrime, ma dimostrando che non era una posa quando dicevano “Non abbiamo fatto nulla per meritare questo regalo che ci permette di vivere con una prospettiva diversa, e ci apporta senz'altro una felicità vera e profonda”.
Lucía diceva che la meta di questo cammino che dovevano percorrere insieme era il Cielo. Lui ora è lì, “un santo con la cravatta” come lo definisce la moglie. Io direi di più: un santo contemporaneo, un santo di famiglia. La sua impronta sulla Terra è molto profonda. Noi che lo conosciamo sappiamo che, se Dio vuole, intercederà per ottenere grandi miracoli dal Cielo.
Chi scrive si sente molto fortunato e certo di aver conosciuto un santo in vita, un amico che se n'è andato ma con cui continuerò a parlare e a ridere. E quelle sue risate continueranno a risuonare forti e vicine. Un amico in Cielo.
In un'intervista ad ABC, in un solo paragrafo ha detto tutto: