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L’infermiera e il piccolo Matteo: la tenerezza trova sempre la strada

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Ospedale Pediatrico Salesi di Ancona

Paola Belletti - pubblicato il 25/03/21

La foto simbolo dell'infermiera accovacciata vicino al piccolo Matteo di 7 mesi, positivo al Covid, ricoverato e operato d'urgenza al Salesi di Ancona, ha commosso tutti ma soprattutto confortato la sua mamma. Fino a che, pochi giorni dopo, ha potuto riabbracciarlo.

Non si può certo dire che gli infermieri e i medici non conoscano l’importanza decisiva del distanziamento sociale o meglio della protezione personale allo scopo di ridurre il rischio di contagio da Covid-19.

Lo sanno eccome, con più o meno capacità di esprimere calore umano (e dove sarebbe lo scandalo?) ma ricordano anche quanto la vicinanza morale e il contatto siano spesso decisivi per la guarigione di una persona.

Se il soggetto in questione è poi un bimbo di soli 7 mesi allora le persone da curare e confortare sono almeno tre: bimbo, mamma e papà.

Maledetto virus che impone una delle separazioni più innaturali e odiose (e forse non sempre necessaria), quella tra una mamma e il figlio piccolo, per giunta in pericolo di vita.

Così è accaduto a Roberta Ferrante, mamma del piccolo Matteo Maurizio Pinti. Tutto è iniziato il 3 marzo scorso, racconta lei stessa a Il Resto del Carlino e si è concluso, grazie a Dio, nel migliore dei modi con le recenti dimissioni del bambino finalmente tornato a casa.

(il piccolo) è stato trasportato al Salesi (Ospedale di Ancona) a causa di un disturbo intestinale: “L’unica cosa che non mi è piaciuta nel complesso è stata l’estrema preoccupazione di tutti, dall’equipaggio del 118 al personale sanitario del pronto soccorso del Salesi, di sapere se io e mio figlio fossimo positivi al Covid – spiega la giovane mamma anconetana.

Il Resto de Carlino

Non di solo Covid

Non esiste solo il Covid e questa sua pur oggettiva invadenza significa spesso che il resto, tutto il resto, scivola in secondo piano.

Non è così, è semmai un’urgenza chiassosa e grave, ma i medici lo sanno bene che le altre malattie esistono. Ci sono e continuano il loro corso, a volte peggiorando proprio a causa del sequestro di energie che l’emergenza pandemica ha messo in atto, e sempre richiedono la loro attenzione.

Urgenza e importanza

La signora Roberta però ha sentito come una stonatura quando i soccorritori, al momento dell’intervento, si sono concentrati solo sulla positività o meno al coronavirus più nominato della storia (per ora). Non è difficile comprenderla: suo figlio stava soffrendo. Ha però potuto largamente ricredersi sulla qualità professionale e umana dei medici e degli infermieri che hanno preso in carico il suo piccolo.

Leggiamo sempre sulle pagine dello storico quotidiano bolognese.

Tampone positivo per entrambi

Alle otto di sera il risultato del tampone: positivi mamma e figlio. La diagnosi per Matteo è proprio di infezione da Sars-CoV-2 ma con una complicazione intestinale che colpisce di preferenza proprio i pazienti pediatrici.

diretto da Alessandro Simonini, che ci racconta: «Il bambino ha avuto un problema a livello digerente, che è una delle complicazioni più frequenti nel Covid quando colpisce i bimbi. Doveva essere sottoposto a un intervento molto delicato, ed essendo positivo al Covid così come la mamma non potevamo tenerli insieme, abbiamo dovuto separarli.Però abbiamo cercato di fare il possibile perché il piccolo non si sentisse solo».

CorSera

Bisogna intervenire in fretta e bene ma chi si fa carico delle angosce della mamma? Qualcuno in grado di cogliere questo bisogno si fa avanti:

(…) una dottoressa ha visto il mio stato d’animo e mi ha detto: ‘Suo figlio non lo lascio fino a che non risolviamo il problema’.

Ibidem

Ecco la solidarietà femminile che ci piace.

La diagnosi e la necessità di intervento chirurgico urgente

Alle due di notte viene sottoposto ad un’ecografia all’addome. Il suo intestino è rovesciato – così racconta la mamma nel riferire al giornale.

L’agitazione della donna cresce fino al momento più drammatico: deve ottenere il consenso anche del marito e così consentire al chirurgo di operarlo immediatamente.

‘Sono il professor Cobellis, abbiamo poco tempo, chieda il consenso ad operare a suo marito’. Ero sola, spaventata, momenti che non auguro a nessuno.

Alle 7 il chirurgo è uscito e mi ha detto: ‘La prima parte dell’intervento è andata bene, abbiamo tolto una parte dell’intestino, ma starà bene’. Matteo è stato portato in rianimazione e io sono tornata a casa”.

Ibidem

Intervento riuscito ma il bimbo resta da solo in reparto

Il bimbo è rimasto nel reparto di terapia intensiva senza che la mamma potesse stare con lui.

Sui giornali che riportano la notizia non è specificato nel dettaglio il motivo ma, confrontandomi con qualche amico medico e qualche mamma che sa cosa significa stare in un reparto di terapia intensiva (anche se non Covid, il che peggiora tutto), ho compreso che, data la complessità del reparto, la fragilità dei pazienti ricoverati e la necessità per la mamma di allontanarsi almeno qualche momento per mangiare o riposare (essendo positiva al Covid doveva restare isolata), non è stato possibile tenerla vicina al bimbo, per i primissimi giorni di ricovero. Un grande dispiacere, senza dubbio.

I medici sanno che la separazione è un sacrificio

Sono gli stessi operatori sanitari a sapere bene di avere imposto una privazione non da poco a lei e al bimbo, per quanto circoscritta nel tempo.

Proprio per questo motivo medici e infermieri si sono prodigati in tutti i modi non solo per curare il giovanissimo paziente, ma anche per supplire con la loro umanità alla mancanza del contatto con la sua mamma.

La foto che ha fatto notizia è proprio immagine di questa umanità.

Un’umanità imperfetta, certo, che però ha nel sangue, sotto tutti i camici e i benedetti dispositivi di protezione personale, il desiderio di farsi vicina al bisogno dell’altro (chi più, chi meno. Non mi stupisce che siano state due donne ad esprimere a gesti e parole vicinanza; ma il medico che lo ha operato si è assicurato che l’intervento andasse a buon fine, il che non è un obiettivo di poco conto!)

In questo scatto, che è una ripresa delle telecamere della terapia intensiva, si vede un’infermiera accovacciata vicino al bambino, medicato, pieno di tubicini e fili che monitorano i suoi parametri. Lo accarezza, gli avvicina il ciuccio, sta con lui.

La foto è stata mostrata proprio alla mamma e al papà al preciso scopo di rassicurarli. La donna è chiusa in una tuta bianca chiusa fino sopra la testa, le mani sono nei guanti, ma i bambini capiscono le intenzioni, riconoscono il tono della voce, leggono i movimenti.

Certo, manca il contatto pelle a pelle, è un di meno, ma evidentemente per un di più, la tutela della vita dell’infermiera. Che magari a sua volta è mamma, moglie, sorella…E il tempo del sacrificio è stato piuttosto ridotto. I giorni di post operatorio in cui probabilmente il bimbo è rimasto sonnolento, forse in parte sedato?

Mi è spiaciuto leggere sui social sotto la notizia, anzi solo sotto la foto!, diversi commenti scandalizzati e indignati. Personalmente ho trovato invece commovente la goffaggine imposta dalla bardatura che ormai siamo abituati a vedere; sono certa che al bimbo sia arrivato non filtrato il calore dell’infermiera che si è fatta piccola per stare vicino a lui. E’ quasi ridondante sottolineare che, potendo scegliere, avrebbe preferito avere la sua mamma vicina.

Autentica fratellanza umana anche sotto i camici, le visiere, le mascherine

I genitori a casa hanno sì sofferto ma anche compreso. La mamma ha espresso infatti in una lettera al personale del reparto sincera gratitudine per l’intervento che gli ha salvato la vita e per la delicatezza di chi in sua assenza ha fatto le sue – impossibili – veci.

Nessun paragone con la gioia di quando ha potuto tornare a fianco del suo bimbo, perché la mamma è la mamma e nessuno è come lei quando un figlio soffre, nemmeno il papà.

Prima di allora i giorni a casa ad aspettare notizie, un inferno, racconta. Forse era anche giustamente sotto shock.

Aveva già sofferto il momento del parto in regime di pandemia, affrontando travaglio e nascita del piccolo da sola, senza suo marito ma stavolta, racconta, “è stata anche più dura”.

“Il personale della rianimazione è stato esemplare, non lo dimenticherò – racconta Roberta Ferrante, originaria e residente ad Ancona – In particolare una dottoressa che mi chiamava sempre per tenermi aggiornata sulle condizioni di mio figlio.

C’è stata una frase che mi ha tranquillizzato visto che non potevo essere lì con lui: ‘stia tranquilla signora, di suo figlio ce ne occupiamo noi, lei non si deve preoccupare’ e così è stato. Nel momento più drammatico della mia vita sentirmi dire questo e poi vedere quella foto lontana da mio figlio, è stato un ritorno alla vita dopo un incubo durato giorni”.

Ibidem

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