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Smetti di vivere contando solo su te stesso: rischi di affogare

MAN DROWNS IN THE SEA,
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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 23/03/21
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C’è una cosa peggiore dei peccati, è la solitudine che crea la nostra superbia. È la solitudine di chi dice: “non ho bisogno di nessuno, io mi faccio da me”.

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: "Dove vado io, voi non potete venire"?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui. (Gv 8,21-30)

Credo che quando una persona si trova alla fine della propria vita e se ne accorge, allora il tenore della sue parole comincia ad avere una profondità inaspettata. Chi gli è accanto sente quanto possano essere vere quelle parole ma non le comprende fino in fondo. Ci vuole sempre molto tempo a capire cosa volevano dire queste persone in quel momento.

Così è per Gesù nel vangelo di oggi. Sono parole infuocate, cariche di un senso nascosto che intuisci essere vere ma che non comprendi subito dove ti vogliono condurre:

Sembra l’accorato appello di uno che dice: smetti di vivere solo, altrimenti alla fine affoghi. E forse questo è vero. C’è una cosa peggiore dei peccati, è la solitudine che crea la nostra superbia. È la solitudine di chi dice “non ho bisogno di nessuno, io mi faccio da me”.

Un credente, ma ancor prima un uomo, è uno che ha l’umiltà di capire che non ci si salva da soli, e non si riesce a salvare quasi niente della nostra vita se qualcuno non irrompe in quella nostra solitudine e ci aiuta. L’apertura a Dio è innanzitutto uno squarcio inferto alla nostra autosufficienza, è una finestra spalancata in una stanza dove l’aria ormai è irrespirabile.

Tutto il Vangelo è la buona notizia che in verità non siamo soli, e che una libertà vissuta nella solitudine non è libertà ma inferno, perché la gioia, come il dolore, la bellezza, come le cose difficili sono davvero vivibili solo a patto che tu abbia qualcuno con cui condividere ciò che ti accade.

Siamo strutturalmente dipendenti dall’altro, ma di una dipendenza che dovrebbe produrre libertà non galera. Ma noi per paura di rimanere prigionieri di relazioni sbagliate ci condanniamo all’inferno da soli. All’inferno non c’è nessuna buona compagnia perché l’unica compagnia sarà il disprezzo che proveremo per noi stessi.

Gv 8,21-30

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