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Dall’alto della Croce, Gesù attrae a sé tutti gli uomini

Hero Crucifixion – Rembrandt – copie

© Het Rembrandthuis

Fr. Jean-Thomas De Beauregard, o.p. - pubblicato il 23/03/21

L’ora è venuta in cui Gesù raccoglie tutti gli uomini attorno alla Croce. Se il Crocifisso attrae tutti gli uomini, non tutti accettano di morire a sé stessi con lui per portare frutto.

A Cana Gesù aveva rimandato indietro la madre dicendo: «La mia ora non è ancora giunta» (Gv 2,4). Egli aveva poi accettato di anticipare il suo ministero pubblico cambiando l’acqua in vino per gli invitati alle nozze… Ma l’ora delle vere nozze – quelle in cui il vino viene cambiato in sangue del Messia – non era ancora suonata. 

Oggi, mentre Gesù risuscita il suo amico Lazzaro e fa un ingresso trionfale in Gerusalemme, ecco che l’ora è giunta – finalmente –: l’ora per Gesù di essere elevato da terra e glorificato. Questa elevazione è quella della Croce, e questa glorificazione da parte del Padre delle luci fa il paio con un’umiliazione inaudita agli occhi degli uomini. Nella sua Passione vittoriosa, Gesù sovverte la scala dei valori umani: a partire da quest’ora sono i poveri, i piccoli, gli umiliati che possono aspirare alla gloria. Da quel momento in poi il mondo sta imperniato sulla Croce – tutto è rovesciato. 

Tutti sono invitati 

È la rivincita di quanti sono scartati dalla storia? Sì, in un certo senso. Ma Gesù non entra nella dialettica servo-padrone: se lo schiavo diventa padrone, o viceversa, la relazione resta ingiusta. Se i poveri e i piccoli accedono al potere e umiliano coloro di cui hanno preso il posto, né la giustizia né l’amore hanno trionfato. E dunque l’opera di Gesù non consiste nel rovesciare simmetricamente l’ordine costituito. Sulla Croce, Gesù «attira a sé tutti gli uomini» (cf. Gv 12,32). Tutti sono invitati – giudei e gentili, ricchi e poveri, peccatori e giusti! 

Sulla Croce, Gesù esercita un’attrazione universale. Egli aveva da principio limitato la sua predicazione alla terra di Israele, dove doveva nascere il Salvatore: «La salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22). Il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, però, segna un’estensione dell’àmbito della salvezza. C’è un dettaglio importante: si fa menzione di alcuni giudei ellenizzati della diaspora che dicono “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), ed è questa che provoca la dichiarazione di Cristo “L’ora è giunta in cui il Figlio dell’uomo deve essere glorificato” (Gv 12,23). 

Ma quella raccolta di soli figli di Israele non basta più. Come capita spesso, è un avversario di Gesù che l’aveva profetato qualche giorno prima: 

Essendo egli [Caifa] sacerdote in quell’anno, profetò che Gesù sarebbe dovuto morire per la nazione, e non soltanto per la nazione ma per raccogliere nell’unità i figli di Dio dispersi. 

Gv 11,51-52 

Di che attrazione si tratta? 

Ed ecco dunque che la paradossale glorificazione di Gesù elevato in Croce deve attrarre tutti gli uomini. Di che attrazione si tratta? Si può comprendere l’attrazione nel senso forte di “tirare a sé”, a mo’ di costrizione. L’attrazione connota allora la forza. In fisica, l’attrazione terrestre è una forza che si esercita sugli uomini, tra gli altri enti, e l’uomo è così vincolato alla terra senza che egli possa sottrarvisi. Ma è così che Gesù in Croce attrae a sé tutti gli uomini? Sarebbe coerente con l’umiliazione e la morte che egli sceglie di affrontare per amore nostro? 

L’attrazione esercitata da Gesù in Croce, che è un’attrazione celeste, non è nell’ordine della forza, né della costrizione. Se Gesù sceglie di vincere il peccato e la morte con l’amore, ciò deve riflettersi nella maniera in cui la sua Passione e la sua Risurrezione attraggono a lui tutti gli uomini. Le braccia di Cristo spalancate in Croce vogliono allacciare il mondo intero in una stretta eterna, ed è questo amore infinito ciò che attrae. 

Già durante il suo ministero, Gesù non attraeva mediante costrizione – esteriore o interiore che si voglia. E oggi ancora l’attrazione divina si esercita su di noi in ben altre maniere: mediante una rivelazione rivolta all’intelletto; mediante il fascino e la dolcezza che si sprigionano da Gesù, dalla sua Parola, o dai santi che egli suscita nella sua Chiesa; mediante la gioia prodigiosa che c’è da vivere in sua presenza. È tutto questo ciò che attraeva i pellegrini della Diaspora che volevano “vedere Gesù”. 

Si opera una selezione 

Nel mezzo di tutto ciò – che effettivamente è molto attraente – sta la Croce. Ora, la Croce di per sé ci repelle e ci respinge. Eppure è ciò che Gesù ha scelto per attrarci definitivamente. E allora avviene una selezione: ci sono quelli che accettano di morire a sé stessi con Cristo, di essere seminati in terra per portare frutto (e costoro entrano nella gloria eterna della Trinità); e ci sono quelli che rifiutano questo abbassamento. A costoro la beatitudine eterna è ricusata, perché non hanno voluto seguire Gesù fino in fondo. 

Qui si fa sentire la voce interiore della protesta: se Gesù ha vissuto tutto questo per noi, non è stato per evitarci di dover passare di là? No. Gesù avverte: «Un servo non è più grande del suo signore» (Gv 13,16), e a noi spetta «seguire l’Agnello ovunque egli vada» (cf. Apoc 14,4). Del resto, mai un chicco di grano è stato gettato a terra in modo isolato: è insieme con molti altri chicchi che il grano, gettato in terra, muore per portare frutto. È in mezzo a tutti i cristiani che Cristo – elevato in Croce – risorge e ci porta con sé nella gloria. 

Nelle braccia aperte di Gesù in Croce 

Il destino del cristiano è di seguire Gesù fin nella sua morte per entrare nella sua gloria. La Croce è piantata nel mezzo del cammino… Se dovessimo fermarci a questo, ci sarebbe di che disperare. Chi può pretendere di avanzare tranquillo verso la Croce? Chi può pretendere di seguire gioiosamente Gesù fin nel suo abbassamento? È però l’attitudine di Gesù stesso che deve illuminarci: come nel Getsemani Gesù esclama “Ora la mia anima è turbata, e che devo dire? “Padre, liberami da quest’ora!”?» (Gv 12,27a). Nella terribile angoscia dell’umanità di Gesù davanti alla morte ormai prossima leggiamo il nostro proprio dramma interiore. 

Nell’ora della nostra sofferenza, nell’ora della prova e del dubbio, e fin nell’ora della nostra morte, sta a noi saperci gettare nelle braccia aperte di Gesù sulla Croce, e dire con lui: «Ma è per questo che sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27b). Egli sa quanto ciò costi: l’ha vissuto prima di noi e per noi. Dall’alto della Croce Gesù attrae a sé tutti gli uomini e porta con sé le nostre sofferenze per condurci nella gloria. 

Siamo puntuali e pronti, all’appuntamento della Croce, perché è un appuntamento d’amore. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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