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La gente non va a messa e non fa sesso: i postumi spirituali del Covid

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Mladen Zivkovic / Shutterstock

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 20/03/21

Incrociando la lettura di due articoli – da La Civiltà Cattolica e da Ipsico – ci ha sorpresi la viva analogia tra la discussione della crisi pandemica nelle comunità ecclesiali e tra le lenzuola degli italiani. Convergenze stimolanti anche tra le attitudini dell'episcopato e quelle della Durex.

Un’amica mi telefona e mi dice di aver cancellato le notifiche di un amico comune da Facebook per non farsi il sangue amaro, e di essere anche intimamente arrabbiata con un secondo amico comune: la ragione è essa pure comune a entrambi i casi, ed è il Covid-19, ovvero le appassionate fazioni che la pandemia e la sua gestione politica hanno prodotto nella comunità. «Temo che tutto questo possa portare a un logorio dei rapporti e a un raffreddamento degli affetti», le dico mestamente. È quello che teme anche lei. 

La disgregazione dei rapporti

Mica bisogna voler fare la guerra, per ritrovarsi a farla: anche le due Guerre Mondiali che hanno sfregiato il Secolo Breve ce lo ricordano, ciascuna a modo suo; così nessuno di noi vorrebbe ridursi a tagliare i ponti con amici (magari di vecchia data), a chiudere rapporti – eppure è cosa che sta già accadendo, attorno a noi e anche rispetto a noi. 

Siamo tutti persone perbene, come si suol dire: da una parte c’è chi pretende di tenere alla libertà più che alla vita (e mille storie eroiche sono state scritte su questa tonalità); dall’altra c’è chi propugna la nobiltà dell’abnegazione per il bene comune (altro accordo dominante di altrettante epopee). Miriadi di sfumature imporrebbero altrettanti distinguo in ciascuno dei due discorsi, ma quel che accomuna i partigiani dell’una e dell’altra fazione è l’impotenza davanti alla pandemia. Proprio ciò che suggerirebbe solidarietà e coesione, ma gli uni esorcizzano l’ineluttabile nell’esercizio dell’ipocondria; gli altri con quello della negazione. 

Questo è chiaramente solo uno spaccato di uno scenario grande e variegato: la stessa espressione comune “siamo tutti sulla stessa barca” vale fino a un certo punto, come ha efficacemente ricordato un gesuita spagnolo sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica

Non è la stessa cosa trascorrere la pandemia in una casa confortevole nella periferia di una capitale europea oppure viverla in un quartiere povero dell’America Latina. Come pure affrontarla da giovani o da anziani, svolgere un telelavoro o trovarsi nella trincea di un ospedale, accettarla riponendo la fiducia in Dio o assecondare la superstizione più primitiva, per non parlare della differenza tra averla vissuta da sani o da malati. 

Álvaro Lobo Arranz, Postumi spirituali del Covid-19, in La Civiltà Cattolica 4097, 437-449, 448

Fra le «tante altre situazioni di cui non sappiamo nulla» – cui Lobo Arranz accenna sommariamente nel prosieguo – c’è poi quella che distingue tra chi vive in famiglia e chi sta solo, o magari si vede il carico di un’assistenza sanitaria a persona fragile e/o invalida centuplicato dalle chiusure sociali e dagli ingorghi sanitari. I single e le coppie senza figli guarderanno sospirando a chi ha “la casa piena di amore” fanciullesco; viceversa quanti non riescono neanche a svolgere il proprio telelavoro (oppure sono in cassa integrazione o peggio ancora) invidiano chi perlomeno non ha l’onere di portare il pane sulla tavola dei bambini. La verità – in due utili proverbi – è che «solo la cucchiara conosce il tegame», e che «l’erba del vicino è sempre più verde». 

Comunque se c’è una cosa che proprio non deve destare stupore essa è appunto la dinamica delle fazioni e delle accuse incrociate: è ovvio che, nei momenti di forte stress, le persone come le società vedano emergere tratti caratteriali normalmente composti sotto lo stucco del contratto sociale e delle credenze dichiarate (le quali possono rivelarsi non molto radicate nella struttura della personalità). Constatando i riverberi ecclesiali di questa evidenza, papa Francesco aveva concluso la sua omelia nella Pentecoste 2020 con questa invocazione: 

[…] peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia.

Francesco, Omelia nella Messa di Pentecoste, 31 maggio 2020

E nel Regina Cœli di quello stesso giorno il Papa pronunciava forse per la prima volta quel refrain che di lì in poi avrebbe ribadito a ogni piè sospinto: 

Abbiamo tanto bisogno della luce e della forza dello Spirito Santo! Ne ha bisogno la Chiesa, per camminare concorde e coraggiosa testimoniando il Vangelo. E ne ha bisogno l’intera famiglia umana, per uscire da questa crisi più unita e non più divisa. Voi sapete che da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori. Che abbiamo il coraggio di cambiare, di essere migliori, di essere migliori di prima e poter costruire positivamente la post-crisi della pandemia.

Francesco, Regina cœli del 31 maggio 2020

Con questa osservazione il Pontefice scardinava il Leitmotiv del voto generale – “tornare alla normalità” –, ricordando che una pandemia non esprime, in sé e direttamente, un giudizio di Dio sull’umanità, ma sprona quest’ultima a una decisione, letteralmente a un giudizio, su quell’interconnessione che filosoficamente si è sempre chiamata “cosmo” (che significa “mondo ordinato”, non semplicemente “mondo”). 

La crisi della/nella prassi sacramentale 

La Chiesa è certamente una “societas perfecta”, ma nel senso che dispone di tutti i mezzi necessari a conseguire i propri fini – non quasi che i suoi membri siano tutti arrivati (anzi, fintanto che peregrinano in hac lacrymarum valle nessuno è arrivato) –: in essa si rispecchiano però molte delle dinamiche comuni a tutta la società secolare, anche relativamente alla pandemia. La più evidente, forse anche la più preoccupante, è quella che ha comportato una certa flessione nella prassi sacramentale. 

Siamo consapevoli – ha scritto su Avvenire poco tempo fa il cardinale Gualtiero Bassetti –, come pastori delle nostre Chiese, che la vitalità delle comunità, provata dalla pandemia, ha bisogno di essere rigenerata. Adulti, anziani, giovani, ragazzi, presbiteri e laici… tutti dobbiamo imparare a prenderci cura gli uni degli altri per dare corpo al Vangelo.

Gualtiero Bassetti, Un cammino di comunità, in Avvenire del 3 marzo 2021

Pochi giorni prima il Cardinale aveva risposto alle domande di Debora Donnini per Vatican News, e questo è ciò che ha detto quando la giornalista le ha chiesto di fare il punto sull’impatto della pandemia sul vissuto ecclesiale in Italia:

La situazione è veramente preoccupante. È preoccupante anche per il calo delle presenze in Chiesa dovuto anche a tutte le limitazioni che sono necessarie, però mi sembra che anche soprattutto nei giovani, nei ragazzi, nelle famiglie sia entrata una mentalità molto privatistica in questo senso. Alla Messa ora è difficile vedere dei ragazzi e dei giovani. Quindi questa è una grande sfida: come riavvicinare tutto il mondo giovanile. Poi la pandemia ha portato una paura, un timore nella gente. E noi sappiamo che più aumenta la paura, la diffidenza, e più diminuisce la speranza. Si vede per esempio quest’anno sono nati la metà dei bambini dell’anno scorso. C’è un calo pauroso delle nascite. E allora bisogna un pochino ritoccare i punti forti dell’annuncio del Vangelo. E scuotere un pochino la nostra gente da questo torpore che sembra attanagliare tutti e sembra che alla fine non ci sia altro che la pandemia da cui doversi difendere. È una cosa sacrosanta difendersi ma non fino al punto di chiudersi soprattutto nei confronti degli altri e nei confronti di un’apertura a quelli che sono i valori del Vangelo. Quindi, c’è veramente da elaborare delle proposte di vita cristiana e vanno recuperati anche il senso della collaborazione, il valore della progettualità. Una, per esempio, delle caratteristiche che troviamo anche in gente buona che frequenta la Chiesa è quel dire: si è sempre fatto così. Quindi questo impedisce di cambiare, di camminare, e invece il Papa ci dice di attuare continuamente dei nuovi progetti, perché altrimenti le acque nello stagno rischiano veramente di stagnare. Quindi più che arrivare a grandi risultati, attuare dei processi, ci dice il Papa: una creatività anche nei confronti di quello che sta succedendo e proposte concrete che possano favorire l’azione progettuale delle diocesi, delle parrocchie…. Dunque il Papa vuole questo sinodo “dal basso” per potere poi individuare quelle che sono le priorità. Ma le priorità le puoi individuare all’interno di un ventaglio di molteplici stimoli. Quindi bisogna un pochino “agitare le acque” che sono diventate ancora più stagnanti, le acque della vita cristiana in seguito alla pandemia.

Debora Donnini, Bassetti: presentata al Papa una proposta per avviare il cammino sinodale

Riportavo queste parole tra gli appunti e le note che tengo sul mio blog, chiosandole più o meno così

[…] l’impressione è che in realtà “il calo delle presenze” abbia colpito soprattutto le comunità (o certi loro segmenti) in cui l’esperienza ecclesiale non era poi molto matura, forse anche per delle carenze pastorali che il trantran e il “si è fatto sempre cosí” hanno finora contribuito a occultare. […]

Insomma, chi ha vissuto e vive una comunità si è ben reso conto, durante l’anno scorso – costellato di “messe virtuali” – che tutto quanto c’ingegnavamo a fare per non stramazzare al suolo non era ancora “la Comunità”. Altri avranno forse pensato di aver trovato formule piú comode per gestire la propria esperienza di fede. E ben venga dunque un momento di riflessione ecclesiale per aggiustare il tiro e coinvolgere quanti fino a un anno fa sembravano coinvolti nella Comunità – e non lo erano.

Devo dire che su questo specifico punto padre Lobo Arranz mi ha aiutato a compiere delle utili sfumature, laddove scrive: 

Quando verranno meno tutte le attuali restrizioni, forse molti cristiani torneranno in chiesa rafforzati da una fede che si nutre dei sacramenti, e questo particolare digiuno sarà servito loro per rendersi conto di quanto i sacramenti siano importanti. Purtroppo, però, a qualche comunità cristiana questa “desacramentalizzazione” temporanea recherà problemi, e alcuni fedeli si perderanno per strada per il semplice fatto che la consuetudine forgia la virtù. Pensiamo a parrocchie con fedeli di salute cagionevole, per i quali uscire per strada e tra la gente può diventare rischioso. O a quei genitori che, avendo sperimentato una certa difficoltà a educare i figli alla fede, ora dovranno convincerli daccapo dell’importanza di partecipare alla Messa dopo averi mesi di assenza. E che dire delle comunità giovanili in formazione, alle quali sono venute meno le consuetudini che favoriscono la pratica sacramentale? O di quelle persone che – magari dubbiose sulla fede, o impaurite, o sovraccariche di lavoro – hanno perso la sana abitudine di celebrare ogni settimana i sacramenti, e ora mettono in dubbio la propria appartenenza alla Chiesa? 

È bene inoltre tenere presente che la difficoltà non è limitata alla celebrazione dell’Eucaristia. L’attività pastorale richiede un grande investimento di tempo e di immaginazione, perché mira a creare processi nelle persone. Con la pandemia attuale questo lavoro probabilmente è rimasto interrotto, e in alcuni casi andrà ripreso da zero. Parimenti, bisognerà ripensare le liturgie, gli incontri e le celebrazioni senza il calore della folla – processioni, gruppi, ritiri, preghiere comunitarie, conferenze, Giornate mondiali della gioventù ecc. –, perché ancora per qualche tempo non si potranno tenere come si è sempre fatto. 

Álvaro Lobo Arranz, Postumi spirituali del Covid-19, 441 

Insomma non siamo tutti uguali – un’altra ovvietà, ma che spesso diamo per scontata al punto da dimenticarla – e i corollari ecclesiali delle restrizioni pandemiche saranno piovuti sia su molte spalle forti e salde sia su tante altre che (non sempre con colpa) rischiano seriamente di restare compromesse. Le stesse comunità, e non solo le persone, non possono essere misurate tutte sul medesimo metro. 

La crisi della/nella pratica sessuale 

Un aspetto quotidiano, e anzi eminentemente universale, della vita umana presenta sorprendenti e insospettate analogie con la crisi ecclesiale a cui facevamo cenno nel paragrafo precedente: quello che riguarda la pratica sessuale (in senso ampio, ma con particolare attenzione all’attività genitale) – che consideriamo qui nell’accezione socio-psicologica, più che in quella morale. 

Mentre infatti andare in parrocchia implica uscire di casa e incontrare degli estranei potenzialmente infetti, avere rapporti sessuali con il proprio partner non dovrebbe essere ritenuto più rischioso che condividerci la mensa e il bagno: eppure non sono soltanto i single (quelli individuati dai DPCM come “privi di affetti stabili”) ad aver patito duramente la segregazione da quarantena pandemica. Eleonora Stopani ha riportato su ipsico.it i risultati di diversi sondaggi e studi: 

Gli italiani in quarantena hanno fatto meno sesso: è questo il primo, importante dato emerso da questa ricerca. Infatti, l’83% degli intervistati ha confessato un generale calo del desiderio e della pratica sessuale durante il periodo di lockdown, con solo il 23% che ha invece sostenuto di aver mantenuto un livello di attività sessuale quasi uguale al periodo pre-quarantena.

Tra le principali motivazioni espresse a giustificazione di questo importante decremento, sono emerse: ansiapaura del contagio, generale stato di tristezza e/o presenza di situazioni di difficoltà emotive. Presenza di bambini in casa (nel caso di coppie consolidate), interruzione dei movimenti e obbligo di distanziamento sociale (nel caso invece di coppie appena nate, di persone che da poco avevano iniziato a frequentarsi, o di single alla ricerca di relazioni).

«La pandemia che ha colpito il nostro Paese ci ha costretto per motivi di sicurezza all’isolamento sociale. Questa condizione ha generato degli effetti psico – sessuali a breve e a lungo termine. Aumentatati i sentimenti di ansia, ossessivitàcompulsività per il contagio e effetti simil depressivi. Si sono drasticamente ridotte le pratiche sessuali , compreso il petting, con i partner occasionali ma anche con il partner stabile spiega la dottoressa Sonia De Balzo (Sessuologa specialista in psicologia clinica e dello sviluppo dell’Ospedale D. Cotugno di Napoli). In questo momento storico così particolare diventa di primaria importanza sollecitare l’opinione pubblica ad adottare un approccio consapevole su quanto ci accade intorno, al fine di promuovere un’opera di sensibilizzazione riguardo alla prevenzione del contagio del virus COVID-19».

Eleonora Stopani, La sessualità ai tempi del Covid

Stando ai dati degli studi citati, sembrerebbe che il 95% dei non-conviventi abbia visto letteralmente azzerarsi la propria vita sessuale, e fino a questo punto si potrebbe pensare alle difficoltà tecnico/logistiche: 

Lo scenario è invece sicuramente molto diverso – continua però Stopani – per quanto riguarda i partner conviventi, che solamente nel 65% dei casi hanno visto ridurre la propria attività sessuale. In questo caso, però, a differenza delle categorie precedenti dove la diminuzione dell’attività sessuale era legata all’impossibilità di contatto, il calo si è verificato in seguito ad una progressiva diminuzione del desiderio sessuale, come dichiarato dal 62% degli intervistati.

Inoltre, il periodo di quarantena forzata ha avuto, sulle coppie conviventi, un forte impatto sui livelli di soddisfazione sessuale. Nello specifico, dalla ricerca è emerso che la percentuale di soddisfatti della propria attività sessuale è diminuita dal 73% al 58%, mentre gli insoddisfatti sono aumentati dal 17% al 22%, con un restante 10% che è andato ad incrementare il gruppo dei neutrali, passato dal 10% al 20%.

Ibid.

Percentuali interessanti, che anche nell’àmbito dei preparativi di un sinodo della Chiesa in Italia andrebbero confrontate – foss’anche solo per scrupolo… – con quelle risultanti da questionari adeguatamente concepiti e somministrati (da professionisti della demoscopia, s’intende): o che cosa significa insistere tanto sulla “liturgia dei corpi” se quando poi spunta una pista così interessante (e così cattolica, in quanto trasversale a tutta la società) non la si fruga con interesse e simpatia? Che si tratti di sacramenti o di sesso – due realtà vicinissime per l’altezza dei loro sensi e per i fraintendimenti che le infestano –, res nostra agitur

Dalla Durex uno spunto per il futuro Sinodo 

Non abbiamo ancora finito di imparare quanto l’adozione indiscriminata di una mentalità aziendale (almeno in termini di brand e fatturato)nuoccia alla Chiesa, anche se ne sappiamo già parecchio: la lezione su cui però come Chiesa fatichiamo tanto è quella che le aziende serie offrono quando sondano il mercato per capire la clientela. E non – si badi bene – per dare alla clientela quello che essa vuole (o crede di volere), bensì per studiare strategie efficaci di fidelizzazione verso il proprio prodotto (utile o meno che sia alla clientela). 

Buona parte dei dati raccolti e discussi dalla psicologa dell’Ipsico vengono infatti da ricerche promosse dalla Durex, leader nel mercato dei preservativi (e dei lubrificanti, e dei “sex toys”): 

In questo contesto, e mossa dalla convinzione circa l’importanza di continuare a parlare di questi temi con campagne di comunicazione mirate è stata realizzata una ricerca (fortemente voluta dall’azienda Durex), che ha coinvolto in Italia 500 persone comprese tra i 16 e i 55 anni, con l’obiettivo di misurare il reale impatto che l’esperienza della quarantena forzata e di questo periodo attuale, ha determinato sulle abitudini sessuali delle persone.

La ricerca è parte integrante della più ampia campagna globale “Let’s not get back to normal” ed è incentrata sulla trasmissione di messaggi positivi di cambiamento e superamento di una precedente, e non sempre troppo corretta, normalità in ambito sessuale.

La ricerca realizzata da Durex ha pertanto permesso di fotografare in maniera chiara i cambiamenti che hanno interessato la sfera sessuale in diversi paesi nel mondo.

Ibid.

A noi sembra che siano almeno tre le osservazioni importanti da fare: 

  1. Durex è ovviamente motivatissima a comprendere al meglio possibile la ragione di una crisi che rischia di compromettere la sua espansione e anzi la sua stessa sostenibilità; 
  2. ciò non significa che l’azienda sia genuinamente interessata al bene delle persone (se c’è un’attività umana che nel modo più assoluto non ha bisogno di accessori…), bensì che vuole capire come recuperare clienti e generare in loro la domanda dei loro prodotti
  3. sorprendentemente, l’auspicio dell’azienda non è quello di un “ritorno alla normalità”, bensì quello di un superamento della crisi che coincida con un miglioramento dell’appagamento sessuale delle persone (nel modo in cui essa lo concepisce, chiaramente, cioè tale da comprendere un incremento dei suoi utili). 

Chiaramente queste tre osservazioni potrebbero facilmente essere impugnate da Durex, che facilmente rovescerebbe “contro la Chiesa” le critiche sottese ad esse: non sarebbe un problema, e anzi costituirebbe una conferma della stretta analogia tra la vita sacramentale e quella sessuale (ove l’una e l’altra siano intese iuxta propria principia). 

Il filosofo francese Paul Ricœur si era lungamente confrontato con l’opera di Sigmund Freud proprio in virtù dell’intuizione che molte delle aporie e delle aberrazioni della psicanalisi freudiana si debbano al fraintendimento per cui tutta la vita parlerebbe di sesso. È invece vero il contrario, osservava Ricœur: tutto il sesso parla della vita (ovvero ne è – diremmo con categorie teologiche – un “sacramento naturale”), e proprio per questo non dovremmo stupirci di trovare convergenze tra la vita sacramentale e la vita sessuale delle persone. Tanto più quando tali convergenze si dànno in un contesto sperimentale che per ipotesi avremmo scartato: potevamo pensare cioè che non si andasse più molto in parrocchia per non incontrare gente “di fuori”, ma scopriamo che una crisi analoga (se non altro per entità) è vissuta tra persone che vivono sotto lo stesso tetto e che dormono perfino nello stesso letto. Che cosa succede dunque? 

Verso il finire del suo articolo, padre Lobo Arranz scrive: 

Nell’attuale pandemia, alla stanchezza, alla paura e alla solitudine vanno unite la stasi e l’impossibilità di intravedere un futuro chiaro, dato che qualsiasi progetto verrà sottomesso all’arbitrio di un virus che non riusciamo a contenere. Altrettanto difficile risulta sentirsi a proprio agio in un presente sgradevole e anonimo, per cui il ritorno con l’immaginazione agli idilliaci tempi passati ci si prospetta più logico e abituale di quanto non accada di solito, così come la domanda se davvero abbiamo scelto la strada giusta. 

Álvaro Lobo Arranz, Postumi spirituali del Covid-19, 447

Ecco, questi sono spunti su cui a sua volta Durex farebbe bene a interrogarsi: forse la gente non fa più l’amore perché è minata in quella disponibilità alla progettualità che chiamiamo “fiducia” – e non c’è gel che lenisca tale aridità, né pillola tanto afrodisiaca da infondere il desiderio di desiderare. 

Certamente anche Durex si chiederà «se davvero abbia scelto la strada giusta», ma essendo un’azienda con una mission e un core business già dati non è pensabile che chiuda baracca e burattini in seguito a un’indagine di mercato. Un’analoga ispezione nella Chiesa si chiamerebbe sociologicamente “momento di coscienza collettiva”, o – più ecclesialmente – “sinodo”, e poiché anche lì la mission e il core business sono già dati e immodificabili, sarà tutto il resto a dover essere discusso e sottoposto a riflessione. 

“La comunicazione”, si dirà subito. Sì, certo, anche la comunicazione, ma se torniamo per un attimo alla terza osservazione che facevamo sopra possiamo approfondire un aspetto: quel “Let’s not get back to normal” che Durex ha impostato come slogan non è solo geniale in quanto funziona, ma viceversa funziona bene da claim perché risponde alle intime speranze delle persone, le quali ne restano affascinate perché in un istante scoprono di desiderare una cosa ben più di quanto desiderino quella che fino a un attimo prima pensavano di volere (“tornare alla normalità”). Scrive infatti padre Lobo Arranz: 

[…] quella di cullarsi nella nostalgia fino a sviluppare quasi una dipendenza non è una caratteristica soltanto di questo momento: il popolo di Israele rimpiangeva le cipolle d’Egitto, dimenticando che stava fuggendo da una situazione passata molto peggiore. 

Ibid

Insomma, si stava davvero tanto meglio – ce lo si chieda per le comunità ecclesiali e insieme per le comunità coniugali – prima

Il quid della spiritualità 

Ora però qualcuno potrebbe obiettare: abbiamo fatto psicologia, sociologia, sessuologia… ma dov’è la spiritualità? Perché l’articolo prometteva di parlare dei “postumi spirituali” della pandemia? È un’obiezione che il gesuita de La Civiltà Cattolica pare avvertire vivamente, visto che fin dalle prime mosse del suo articolo tiene a premettere: 

[…] l’ambito spirituale non coincide con quello spirituale, per quanto a volte facciamo fatica a distinguerli. Ci sono aspetti in comune, e tuttavia ripesiamo che non sono la stessa cosa. Non è come emozionarsi per una bella canzone, godersi un tramonto sul mare o essere in ansia per un esame. La spiritualità attiene al nostro rapporto con la trascen|denza; pertanto è una relazione, contempla un’alterità. Ed è in funzione di questo vincolo che ci mettiamo in rapporto con la nostra realtà – gli altri, il contesto, la natura, il tempo, lo spazio, la società e la cultura – e con noi stessi. Tutto è collegato, e i cambiamenti ci colpiscono così intimamente proprio perché mettono in discussione il nostro modo di stare nel mondo e di percepire la nostra identità, la nostra libertà e la nostra esistenza. 

I postumi spirituali hanno una caratteristica peculiare: si possono trasformare in opportunità. 

Ivi, 438-439 

Durex farebbe bene a riflettere su queste problematiche, ma per l’azienda sarebbe molto difficile farlo da cima a fondo; la Chiesa invece non dovrebbe lasciarsi sorpassare su quell’intuizione – “non torniamo alla normalità!” – perché il sottotesto di quell’annuncio è una buona notizia.

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