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Spiritualità
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Un’ascensione pasquale… con sant’Agostino

SAINT AUGUSTINE

Sailko | CC BY 3.0

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 20/03/21

Come vivere il cammino della conversione quaresimale? I santi, in quanto imitatori di Cristo, sono nostri nobili condiscepoli e possono aiutarci a riscoprire Dio e il vero senso della luce pasquale. Sant’Agostino in particolare descrive ciò che mette in moto l’anima.

Sant’Agostino è un uomo che non è mai vissuto con superficialità; la sete, la ricerca inquieta e costante della Verità è una delle caratteristiche di fondo della sua esistenza […]. 

Così diceva Benedetto XVI il 25 agosto 2010, con l’approssimarsi della memoria liturgica del Vescovo di Ippona. Effettivamente, l’itinerario di questo padre della Chiesa (354-430) svela un’autentica ricerca della sapienza. Brillante studente a Cartagine, fu sconvolto in profondità dalla lettura dell’Hortensius di Cicerone. Più tardi avrebbe confessato: «Quel libro cambiò i miei sentimenti, orientò verso di Te, Signore, i miei pensieri, rendendo completamente altri i miei voti, i miei desideri». Ma solo dieci anni più tardi avrebbe raggiunto la vera sapienza, la quale «nient’altro è se non Dio stesso». 

Mettere in moto l’anima 

In sant’Agostino, quest’attitudine è sottomessa all’ingiunzione dell’amore. L’amore è al centro del suo pensiero. Egli designa allora ciò che mette in moto l’anima, ciò che le dona forza e vita, conducendola verso il suo “luogo naturale”: «La mia gravità è il mio amore» (Confessioni XIII,9). 

Sant’Agostino fa culminare l’una e l’altro nella carità che si esprime nel comandamento di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,34). Per lui, il motore della vita cristiana sta lì: ognuno accoglie Dio accogliendo l’altro. Quest’ospitalità di Dio stesso è la riconciliazione, il segno di una vera unità. La gioia di essere uniti è il frutto di una carità, di un amore reciproco, che sono dati da Dio. È quanto egli espone nel Sermone 211: 

Questi giorni sacri, che trascorriamo nell’osservanza quaresimale, ci invitano a parlarvi della concordia fraterna: chiunque abbia di che lagnarsi contro qualcuno, se la finisca, se non vuol finir male lui stesso. Non prendete alla leggera queste cose, fratelli miei. Infatti questa vita mortale e fragile è esposta a pericoli fra tante tentazioni terrene: e anche se prega per non essere sommersa, tuttavia in nessun giusto può essere libera da qualunque peccato. Uno solo è il rimedio grazie al quale possiamo vivere: Dio, nostro maestro, ci ha insegnato a dire nella preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori1.Abbiamo stipulato con Dio un patto, abbiamo accettato la ricetta, abbiamo sottoscritto la condizione di essere liberati dal nostro debito dietro cauzione. Possiamo chiedere con piena fiducia: Rimetti a noi a condizione che anche noi rimettiamo. Altrimenti non illudiamoci che vengano rimessi i nostri peccati. Non inganniamoci da soli, l’uomo cerchi di non ingannarsi; e Dio da parte sua non inganna nessuno. È umano adirarsi – magari potessimo non farlo! -, è umano adirarsi: ma la tua ira, che all’inizio è come un piccolo fuscello, non deve essere alimentata da sospetti fino ad arrivare alla trave dell’odio 2. Una cosa infatti è l’ira, altra è l’odio. Spesso anche il padre si adira contro il figlio senza per questo odiare il figlio; si adira contro di lui per correggerlo. E se si adira per correggerlo, si adira per amore. Perciò è stato detto: Vedi il fuscello nell’occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nel tuo occhio 3. Biasimi nell’altro l’ira e tu covi odio dentro te stesso! Rispetto all’odio l’ira è come una pagliuzza. Ma la pagliuzza, se viene alimentata, diventa trave; se invece la togli da te e la getti via, si disperde.

Chi odia il proprio fratello è omicida.

2. Se avete posto attenzione… che cosa avete capito? Quando vi è stata letta la lettera di S. Giovanni, una sua espressione dovrebbe avervi incusso timore. Ha detto: Si dissipano le tenebre e splende già la luce vera; aggiungendo poi: chi dice d’essere nella luce e odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre4. Forse qualcuno penserà che le tenebre di cui si parla qui siano come quelle che debbono subire quelli che sono chiusi nelle carceri. Magari fossero come quelle! E pur tuttavia nessuno vorrebbe vivere neanche in quelle. Nelle tenebre delle carceri possono essere rinchiusi anche degli innocenti; in tali tenebre sono stati rinchiusi infatti anche i martiri. Le tenebre li avvolgevano da ogni parte ma la luce rifulgeva nei loro cuori. Nelle tenebre del loro carcere non vedevano niente con gli occhi ma potevano vedere Dio grazie all’amore fraterno. Volete sapere quali siano quelle tenebre di cui è scritto: Chi odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre? In un altro passo lo stesso Giovanni dice: Chi odia il proprio fratello è omicida5. Chi odia il proprio fratello può camminare, uscire, entrare, andare avanti, non è appesantito da alcuna catena, non è chiuso in nessun carcere: tuttavia rimane legato dalla colpa. Non pensare che non si trovi in carcere: il suo carcere è il suo cuore. Quando senti che chi odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre, perché tu non minimizzi sul significato di tali tenebre, aggiunge: chi odia il proprio fratello è omicida. Porti odio al tuo fratello e cammini con tanta sicurezza? E non vuoi metterti d’accordo finché Dio te ne dà il tempo 6? Ecco: sei omicida e continui a vivere. Se avessi a che fare con un Dio irascibile in un batter d’occhio saresti strappato via da questa vita con l’odio per il tuo fratello nel cuore. Il Signore ti risparmia, risparmiati anche tu, mettiti d’accordo con il tuo fratello. O forse tu vorresti ma non vuole lui? Ti basti questo. Hai motivo di compiangerlo, ma tu hai saldato il tuo debito. E se tu vuoi metterti d’accordo ma non lo vuole lui, dì pure tranquillo: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori 7.

Perdona l’offesa del fratello.

3. Supponiamo che tu l’abbia offeso, vuoi ritornare in pace con lui, vuoi dirgli: “Fratello, perdonami, ti ho offeso”. Ma lui non vuol perdonare, non vuol rimettere il debito, non vuol rimetterti quanto tu hai nei suoi confronti. Ebbene, sia lui a stare attento quando va a pregare. Quando verrà a pregare colui che non vuol perdonare il peccato che, mettiamo, hai commesso contro di lui, che cosa farà? Dica: Padre nostro che sei nei cieli. Aggiunga: sia santificato il tuo nome. Dì ancora: venga il tuo regno. Continua: sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra. Va’ avanti: dacci oggi il nostro pane quotidiano 8. Hai detto fin qui. Vedi di non saltare la frase che segue per continuare poi con le altre parole. Non hai la possibilità di passare oltre, sei bloccato da quelle parole. Su, dille; oppure, se non hai motivo per dire: Rimetti a noi i nostri debiti, non dire niente. Ma allora dove va a finire quanto dice l’apostolo Giovanni: Se dicessimo che non abbiamo alcun peccato inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi9? Se invece ti rimorde la coscienza delle tue fragilità, se in questo mondo ovunque si trova abbondanza di male, dì pure: rimetti a noi i nostri debiti. Ma sta’ attento a quanto segue. Non hai voluto perdonare il torto del tuo fratello e dirai: come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori 10? Oppure non lo dirai? Se non lo dirai, non riceverai niente; e se lo dirai, dirai il falso. Dillo dunque ma dì la verità. E come potrai dire la verità se non hai voluto perdonare il peccato al tuo fratello?.

Chiedi perdono al fratello che hai offeso.

4. Egli è stato ammonito. Ora voglio fare animo a te, chiunque tu sia – se ce n’è qualcuno tra di voi – che hai detto al tuo fratello: Perdonami il peccato che ho commesso contro di te. Se questo l’hai detto di tutto cuore, se l’hai detto con vera umiltà e non con falsa carità – così come Dio vede nel tuo cuore donde hai espresso il tuo sentimento – non stare in angustia qualora il tuo fratello non abbia voluto perdonarti. Siete ambedue servi, ambedue avete uno stesso Signore. Tu sei debitore del tuo conservo e lui non ha voluto perdonarti: appellati al Signore di ambedue. Esiga pure quel servo, se può, quanto il Signore ti ha già condonato 11. Un’altra cosa ancora. Ho avvertito colui che non vuol perdonare al proprio fratello che gli chiede perdono: faccia quel che non aveva voglia di fare se, quando prega, vuol ricevere quanto desidera. Ho avvertito anche colui che ha chiesto perdono del suo peccato al proprio fratello e non l’ha ottenuto: ciò che non è riuscito ad ottenere dal suo fratello stia sicuro che l’otterrà dal suo Signore. Debbo dare un terzo ammonimento. Che cosa fare se un tuo fratello ha peccato contro di te e non vuol dirti: Perdonami il torto che ti ho fatto? Quest’erba cattiva è purtroppo abbondante; voglia il Signore sradicarla dal suo campo 12, cioè dai vostri cuori! Quanti sono infatti coloro che sanno bene di aver peccato contro i loro fratelli e non vogliono dire: Perdonami! Non arrossirono nel fare il male e arrossiscono nel chiedere perdono; non si vergognarono dell’iniquità e si vergognano dell’umiltà. Ammonisco particolarmente costoro. Voi che siete in lite con i vostri fratelli, che rientrate in voi stessi, che riflettete su di voi, che riuscite a dare un giusto giudizio su di voi, nell’intimo dei vostri cuori; che riconoscete che non avreste dovuto fare quanto avete fatto, che non avreste dovuto dire quanto avete detto, chiedete perdono da fratelli ai vostri fratelli, fate come dice l’Apostolo: perdonandovi a vicenda come anche Dio in Cristo ha perdonato a voi13. Fate così, non vergognatevi di chiedere perdono. Lo dico a tutti nello stesso modo: uomini e donne, piccoli e grandi, laici e chierici; lo dico anche a me stesso. Tutti dobbiamo ascoltare, tutti dobbiamo aver timore se abbiamo peccato contro i nostri fratelli. Abbiamo ricevuto ancora una dilazione nella vita, non è ora di morire. Se pertanto ancora siamo in vita, non ancora siamo stati condannati; finché viviamo compiamo la volontà del Padre che sarà anche giudice e chiediamo perdono ai nostri fratelli che forse, facendo loro torto, abbiamo qualche volta offeso, qualche volta oltraggiato. Ci sono persone di umile condizione – secondo la stima di questo mondo – che montano in superbia se domandi loro perdono. Mi spiego. A volte un padrone compie un’ingiustizia nei confronti del proprio servo. Anche se l’uno è padrone e l’altro è servo, ambedue tuttavia sono servi di un altro, perché ambedue sono stati redenti dal sangue di Cristo. Sembra tuttavia troppo severo che s’imponga, che si comandi che, se per caso il padrone commette un’ingiustizia nei confronti del proprio servo riprendendolo ingiustamente o percuotendolo ingiustamente, gli debba dire: Perdonami, concedimi il perdono. Non perché non lo debba fare, ma perché l’altro non cominci a diventare superbo. Che cosa dire? Si penta davanti a Dio, castighi il suo cuore alla presenza di Dio; e se non può dire al servo, perché non lo ritiene opportuno: Perdonami, gli parli con parole dolci. Rivolgersi infatti ad uno con parole dolci è come chiedergli perdono.

Sant’Agostino, Sermone 211,1-4

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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