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Un bilancio dell’epidemia di Covid-19 “sulla tomba di Lazzaro”

Lazarus

pixabay.com

Henri Quantin - pubblicato il 17/03/21

Un anno dopo il primo lockdown, ancora lottiamo con l'incredulità davanti allo spettacolo dell'apparente trionfo della morte. Non sono le statistiche che ci restituiranno e lo stupore davanti alle sorprese della vita…

È trascorso un anno dall’inizio del primo lockdown e dall’irruzione del virus nelle nostre vite quotidiane. Non un anniversario, men che meno una commemorazione. Nemmeno un “bilancio” – fa troppo deposito. Soltanto un esercizio quaresimale, tratto da una crisi che può strapparci un poco alle nostre mille distrazioni e portarci a guardare la morte. L’esercizio è pericoloso: cercare di trarre lezioni da una epidemia porta a correre il rischio di interpretare la parte di Philippulus, l’illuminato de L’Étoile mystérieuse di Hergé:

La fine del mondo si avvicina! Tutti moriranno! E chi sopravvivrà morirà di fame e di freddo! E avranno la peste, la scarlattina e il colera!…

Sulla scorta di Tintin, mettiamo alla porta il profeta di sciagura: preferiamo le parole del Bossuet, la cui autorità è più sicura (sia per la fedeltà all’Evangelo sia per l’eloquenza).

Non sottrarsi allo spettacolo della morte

Nel suo Sermone sulla morte, Bossuet invita a guardare ogni cadavere come Cristo guardava Lazzaro. La sua meditazione attinge alle parole rivolte a Gesù che si avvicinava al corpo giacente del suo amico: «Domine, veni et vide» [«Signore, vieni e vedi»] (Gv 11,34). Ecco la prima meditazione per la quaresima del 1662, predicata al Louvre: il cristiano non deve sfuggire lo spettacolo della morte, dal momento che vi assiste accanto al suo Salvatore. Il sermone punta proprio a dileguare la sua cecità. È una parola che apre gli occhi chiusi:

È una strana debolezza dello spirito umano – nota Bossuet – che mai la morte gli sia presente malgrado essa si mostri da ogni dove, in mille forme diverse.

Testo polveroso, dell’epoca in cui c’erano ancora giansenisti in circolazione? Sentiamo il seguito:

Ai funerali non si sentono che parole di stupore per il fatto che un mortale sia morto. Tutti a ricordare, ciascuno nella propria allocuzione, da quanto tempo non ci si era più incontrati con quella persona e su che cosa il defunto li aveva intrattenuti; e tutto ad un tratto egli è morto!

Niente di nuovo sotto al sole: il vescovo del XVII secolo sembra aver assistito alla dispersione dei partecipanti a un funerale di un morto da Covid.

Al di là delle frecciatine, la preziosa lezione di Bossuet è che «tutti i pensieri sulla morte» non possono essere correttamente meditati se non «con Gesù Cristo sulla tomba di Lazzaro». Un anno dopo l’inizio del primo lockdown, forse non ci sono altre lezioni più importanti di questa verità – tanto evidente quanto facilmente dimenticata –: i mortali muoiono. E forse un cristiano potrebbe aggiungere solo una cosa: Cristo viene a sostare su ciascuna delle nostre tombe. Egli piange con gli uomini per divinizzare le loro lacrime, al punto da farne preludio di resurrezione.

La fede e le lacrime

Alain Finkielkraut cita volentieri la fine del Sermone sulla morte:

Se questa abitazione di terra e fango in cui abitiamo viene distrutta, abbiamo un’altra casa che ci viene preparata.

Egli ammira l’eloquenza dell’oratore, ma rigetta la fede del cattolico: afferma anzi di sorridere interiormente quando sente i credenti esprimere «la tristezza per il fare ritorno a Dio» del defunto. Contraddizione, osserva Finkielkraut: perché tanta tristezza, se la morte è porta dell’incontro con Dio? La tomba di Lazzaro fin dall’inizio del sermone potrebbe però ricordargli che la fede non dispensa dalle lacrime e dalla tristezza, ma che essa le conforta conferendo loro del senso.

Più nessuno crede la vita eterna, proclama Finkielkraut, reclamando incessantemente una speranza per i credenti, che egli invita nella sua trasmissione Répliques: non ci crede più nessuno – assicura – neanche tra cristiani. Forse non conosce abbastanza discepoli di Gesù… forse poi non ha neppure molta voglia di crederci. Il filosofo che non ha trovato la fede né in Pascal né in Péguy non la troverà altrove (non finché non si sia messo in ginocchio per chiederla, o finché non si sia incamminato per implorare l’aiuto di Nostra Signora sulle strade di Chartres. Prendiamo però sul serio l’osservazione, come un sermone ateo sulla morte, che esige risposte.

La sorpresa della vita

Questa risposta è sempre la stessa e non è dialetticamente confutabile, essendo più una persona che un discorso: o meglio, essa è l’unico Discorso che faccia pienamente corpo con chi lo pronuncia. Non c’è risposta eloquente e soddisfacente che si possa dare al disperato, il quale non può tracciare un bilancio dell’epidemia se non commentando il numero dei morti: la sola risposta è di ordine completamente diverso da qualsivoglia statistica. L’unica risposta sta curva sulla tomba di Lazzaro e vi piange. Solo dopo pronuncia le parole che restituiscono alla vita.

Allo stupore per i funerali evocato dal Bossuet bisognerebbe talvolta giustapporre lo stupore per le nascite: non meravigliarsi perché un mortale sia morto, ma perché un mortale risulti in vita. Gli uomini sono sorpresi di morire – scriveva Henri Bosco – perché non sono abbastanza sorpresi di vivere.

Chi tra noi – gente sovraccarica di informazioni – sa dire quanti bambini al mondo sono nati nell’ultimo anno? E chi – soprattutto – sa scorgere in queste notizie una Buona Notizia? Ancora, chi testimonierà come non ci sia – lo scriveva Bernanos – un regno dei vivi e uno dei morti, ma che c’è solo il Regno di Dio e che, vivi o morti, siamo tutti dentro.

La fine del mondo si avvicina, grida Philippulus. «Forse», gli ribatte il profeta che preferisce le parole dell’Evangelo, ma «il Regno di Dio è in mezzo a voi». O ci sta perlomeno da quando una delle sue lacrime divine è caduta sul corpo disteso di Lazzaro.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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