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Perché resto cattolica: una testimonianza personale

RACHUNEK SUMIENIA

goffkein.pro | Shutterstock

Catholic Link - pubblicato il 17/03/21

di Keaton Douglas*

Sono una di quelle persone cattoliche dalla nascita che hanno sperimentato periodi di grande chiusura nei confronti della fede e altri in cui vagavano come un cane che all’improvviso si trova al di fuori del contesto a lui familiare ed è ansioso di annusare il mondo esterno. Ho cercato qualcosa fuori, ma sono sempre tornata ai sacramenti, l’unico luogo in cui ho trovato nutrimento spirituale, il mio posto al tavolo dell’abbondanza. Alla fine mi sono resa conto che non avevo bisogno di cercare al di fuori della mia fede, ma che piuttosto dovevo conoscerla meglio. Dovevo sviluppare un’intimità con la mia fede, come avevo coltivato un’intimità con il mio Dio. E allora sono tornata a studiare per conseguire un master in Teologia che mi avrebbe permesso di iniziare a imparare le verità della fede – e su me stessa.

Poco dopo il conseguimento del titolo mi sono trovata ad essere coinvolta in un ministero del recupero, lavorando con chi stava cercando di uscire dall’abisso della dipendenza. Coinvolgendomi sempre di più, è stato facile perdermi nelle situazioni di vita degli altri. Spesso le loro necessità sostituivano la cura di me stessa e il mio nutrimento spirituale e mi ritrovavo esaurita a livello di mente, corpo e spirito. In quei momenti, inevitabilmente, Dio mi inviava un promemoria, una sorta di segno, che mi rinvigoriva e mi riportava alla fonte del nutrimento spirituale che solo Lui può offrire. Il mio “segno” più recente è arrivato nel luglio scorso, quando dopo un periodo di aridità spirituale esacerbato dalla pandemia e dall’aumento vertiginoso dei tassi di ricaduta e overdose, sono stata riportata alla bellezza, la bellezza della nostra fede in un mondo sofferente. È accaduto tutto un giorno in cui un’amica e membro del nostro ministero mi ha invitata ad andare a trovare suo figlio. È stato il giorno in cui mi sono ricordata del motivo per il quale resto cattolica.

Ho camminato dietro di lei, seguendo la sua andatura veloce lungo il vialetto che separa una fila di tombe dall’altra. “È qui sotto, a destra”, mi ha detto. “Non è un luogo perfetto?” “Perfetto” non era la parola a cui avrei pensato io, ma nel cuore di questa madre addolorata il punto occupato da una grande lapide di granito nero era l’ubicazione ideale in cui suo figlio doveva trascorrere l’eternità. Un figlio che aveva perso una battaglia di quasi 15 anni con la dipendenza dagli oppiacei, iniziata dopo che gli erano stati prescritti degli antidolorifici per una ferita riportata in un incidente automobilistico.

“È sepolto insieme a suo nonno”, ha detto. “Erano così vicini… È stato il primo nipote da entrambe le parti”. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime, ma prima che queste iniziassero a sgorgare si è asciugata il viso e ha detto: “Questa è la mia routine. Vengo qui ogni giorno prima della Messa, e gli faccio visita. Gli parlo di tutto. Gli dico cosa farà suo fratello e che sua sorella si sta per sposare. Conosco molto bene il custode. Suo figlio era compagno di scuola del mio, e so che riserva un’attenziona particolare alla tomba di Kyle”. Le lacrime si sono riaffacciate, ma ancora una volta si è ripresa prima di scoppiare in singhiozzi. “Poi, dopo aver parlato, recito ad alta voce il Salmo 23”, ha proseguito. “Fallo con me”. Abbiamo iniziato a recitarlo. I suoi occhi erano chiusi, il volto deciso. La sua voce era forte e fiduciosa. Era ovvio che non ero abituata a recitare quella preghiera dall’inizio alla fine e ad alta voce, e incespicavo quasi a ogni parola.

Come attuale Direttore Esecutivo di questo ministero di recupero cattolico che aiuta la gente a uscire dalla crisi degli oppiacei, avevo accolto questa donna, Melanie, nel nostro team poco dopo che aveva perso il figlio, due anni prima. Il ruolo di Melanie nel ministero era quello di lavorare con altre famiglie per aiutarle a capire la malattia della dipendenza da un punto di vista fisiologico, psicologico e spirituale, e condividere il suo messaggio come genitore in lutto con individui ai primi stadi del recupero, per far capire loro che la dipendenza è una “malattia familiare”, che coinvolge tutti. Lei ed io offrivamo sessioni di spiritualità a uomini e donne nelle strutture di recupero, condividendo il messaggio di speranza e la necessità della spiritualità come dimensione fondamentale del benessere. I clienti di queste strutture ascoltavano ogni sua parola, che pur se pronunciata tranquillamente e senza sensazionalismo aveva il potere di catturare la loro attenzione.

Quel giorno, Melanie mi aveva invitato a condividere la sua routine quotidiana, perché se ero consulente, oratrice e autore sull’argomento dell’interfaccia tra la spiritualità cattolica e la dipendenza e il recupero, non potevo (grazie a Dio) mettermi nei suoi panni di genitore che aveva subìto quella perdita devastante. Mi sono sentita grata per il fatto che mi avesse chiesto di accompagnarla, e anche un po’ apprensiva, timorosa dell’ignoto e di trovarmi faccia a faccia con il suo dolore.

Abbiamo lasciato insieme il cimitero e abbiamo percorso la breve distanza fino alla sua chiesa per la Messa quotidiana. La chiesa era molto bella, ornata con splendidi mosaici e statue della Sacra Famiglia, molto diversa dalla piccola chiesa contemporanea che frequento vicino casa mia. Ci siamo sedute al suo solito banco e abbiamo salutato gli altri fedeli, che sorridevano e salutavano Melanie e me. La Messa è stata splendida, e ricordo di aver ricevuto l’Eucaristia grata per quell’esperienza condivisa con Melanie, per prendere parte sia al suo dolore che alla sua guarigione.

Dopo la Messa siamo andate in una cappella nel retro della chiesa. Era dedicata a Nostra Signora Addolorata, e ospitava una splendida versione della Pietà, con la Madonna che sorreggeva il corpo di Gesù, l’agonia sul Suo volto accanto a quella di Sua madre. La statua era circondata da candele e da un inginocchiatoio, e anche se fuori c’era il sole, l’unica luce nella cappella era quella offerta dalla luce tremolante delle candele accese dai fedeli per le loro intenzioni. In prima fila c’erano le candele offerte in modo permanente in memoria di una persona cara defunta. Alla fine ce n’era una che portava il nome di Kyle, che Melanie accendeva ogni giorno.

“È qui che recito ogni giorno i Misteri Dolorosi”, ha detto, tendendo la mano perché potessi condividere l’inginocchiatoio con lei. Ho cercato nella borsa e ho afferrato il primo Rosario su cui ho posato la mano, visto che ne porto sempre qualcuno. Non si sa mai quando se ne può aver bisogno. Ci siamo inginocchiate davanti alla statua e abbiamo ricominciato a pregare ad alta voce, questa volta i Misteri Dolorosi. Mentre pregavamo, anch’io riuscivo ad avere una voce salda e grande convinzione, visto che recitavo il Rosario ogni giorno da molti anni. Questa volta, però, recitarlo in ginocchio con una madre in lutto davanti a una statua della Madonna Addolorata con in braccio suo figlio mi ha commossa profondamente. All’improvviso mi sono venute in mente le parole di San Giovanni Paolo II, che ha esortato a volgere incessantemente gli occhi alla Beata Vergine, perché lei, che è la Madre Addolorata e anche la Madre della Consolazione, può comprenderci completamente e aiutarci.

Stavo testimoniando questo aiuto e questa consolazione attraverso gli occhi di Melanie. Come avevano inchiodato il Figlio di Maria alla croce, avevano sbattuto fuori strada Kyle quando era in overdose, lasciandolo morire nelle strade di Newark, New Jersey. Come Gesù era stato calunniato, insultato e frainteso, Kyle era stato un giovane dipendente dagli oppiacei, prescritti da medici che non avevano trovato risposte quando era caduto nella dipendenza e aveva iniziato a provare le altre droghe. Kyle era diventato impotente di fronte all’eroina, sviluppando un attaccamento innaturale a una sostanza che aveva distorto la sua realtà e cambiato la chimica del suo cervello, schiavizzandolo e isolandolo dalle cose della vita che contavano davvero. Ora guardavo Melanie e Maria soffrire insieme, ed era splendido.

L’enciclica di San Giovanni Paolo II sulla Vergine Maria, Redemptoris Mater, includeva queste parole: “Mediante la fede la madre partecipa alla morte del Figlio, alla sua morte redentrice; ma, a differenza di quella dei discepoli che fuggivano, era una fede ben più illuminata”. Quel giorno mi sono resa conto che Melanie, come la Madonna, condivideva la morte di suo figlio Kyle, che aveva avuto anche lui una morte redentrice, perché in essa era stato liberato dalla schiavitù della dipendenza ed era nato alla vita eterna in Cristo. Anche la fede della madre di Kyle era “illuminata”, perché nel suo dolore si è eretta come un guerriero per aiutare a portare l’amore, la grazia e la guarigione di Cristo ad alte persone afflitte dalla malattia e alle loro famiglie, dimostrando la propria “maternità spirituale” ai sofferenti.

Abbiamo terminato il nostro Rosario e siamo usciti lentamente dalla Chiesa. C’erano una serenità e una pace che potevano essere attribuite solo al manto della Vergine avvolto intorno a noi. Dopo averla salutata e aver espresso gratitudine per l’invito, mi sono allontanata da Melanie. L’ho vista andar via, ma io sono rimasta nel parcheggio, seduta in macchina, a pensare a cosa avevo sperimentato quel giorno. Avevo condiviso il dolore e la guarigione di una madre sofferente, e le grazie effuse da Maria, Mediatrice di tutte le grazie, che come Madre della Chiesa aveva concesso la sua consolazione materna alla sua figlia addolorata Melanie. Sedevo piena di stupore e di gratitudine di fronte al dono che avevo ricevuto – vedere quanto potesse essere bella la nostra fede in mezzo a un mondo sofferente. Era il segno che Dio mi aveva dato per ribadire il mio amore per Lui e per la nostra fede, che mi esortava a ricordare perché resto cattolica in modo fervido, deciso e incrollabile.

Keaton Douglas è direttore esecutivo dell’Iniziativa I THIRST, una missione dei Missionari Servi della Santissima Trinità, consulente, educatrice e ospite frequente nel campo delle dipendenze e del recupero, soprattutto nel contesto della spiritualità cattolica. È l’ideatrice dell’Iniziativa I THIRST – (The Healing Initiative – Recovery, Spirituality, Twelve step), un programma integrale che si concentra sulla spiritualità nella prevenzione, nel trattamento e nell’accompagnamento successivo delle persone che soffrono per disordini derivanti dall’uso di sostanze e dei loro familiari. Il curriculum di I THIRST è stato insegnato nell’arcidiocesi di Boston su richiesta della Task Force sugli Oppiacei voluta dal cardinale O’Malley, ai seminaristi di Heredia, Costa Rica, e nel Santuario di San Giuseppe a Stirling. La Keaton è membro fondatore di NJ-DART – New Jersey Diocesan Addiction and Recovery Taskforce (Task Force Diocesana del New Jersey per la Dipendenza e il Recupero. È stata Coordinatrice di Programma per il Ministero del Recupero al Santuario di San Giuseppe di Stirling, New Jersey, dal dicembre 2016, e parte del suo lavoro ha implicato l’insegnamento delle Sacre Scritture e dei programmi dei 12 Passi, supervisionando il programma dei ritiri e la formazione e il lavoro con i volontari. Dal 2014 è stata membro del Team di Recupero del Santuario. Intervenendo varie volte a settimana a Straight and Narrow e a Turning Point, entrambe strutture per il trattamento a Paterson, New Jersey, la Keaton è in prima linea nella lotta all’epidemia di oppiacei, aiutando altre persone a perseguire il proprio sviluppo spirituale.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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