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«Perché Achille Lauro è blasfemo e Troisi no?»

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Massimo Troisi/Public Domain - Achille Lauro/ Andrea Raffin via Shutterstock

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 16/03/21

Non è quest'anno la prima volta che in merito al Festival di Sanremo si solleva l'accusa di blasfemia, e accanto a tutte le considerazioni psico-sociali se ne possono porre altre, di natura più schiettamente spirituale ed ecclesiale.

Il Festival di Sanremo è ormai alle nostre spalle da una settimana: il luccichio delle paillettes è finito sotto la cenere di un pallido ricordo e alcune delle canzoni in gara sono scivolate per direttissima nel dimenticatoio, mentre altre si sono imposte nelle orecchie della gente meglio di quanto abbiano fatto nella classifica sanremese. 

Non accennano a scemare, invece, le polemiche – altro ingrediente fondamentale della kermesse canora –, tra le quali quest’anno hanno giganteggiato quelle connesse con le performance di Achille Lauro, cui ha dato man forte in una serata anche il co-conduttore Fiorello. Cose già viste, in parte, ma quest’anno si sono scomodati anche gli esorcisti cattolici

Mentre l’umanità sta attraversando un periodo caratterizzato dal dolore e dalla sofferenza a causa della pandemia – cominciava il comunicato dell’AIE – sul palco dell’Ariston si è raggiunto un livello di dissacrazione, di blasfemia e di vilipendio della fede cattolica davvero inaccettabile. Esibizioni che hanno leso la sensibilità e il credo di milioni di italiani e dei fedeli di tutto il mondo.

L’osservazione più piana e “laica” che si possa fare in merito – né questa è la prima volta che la si propone – è che quando qualcuno cerca di provocare sensazioni forti e pensieri profondi è per lui una carta facile da giocarsi il ricorso alla simbolica cristiana. 

C’è sicuramente molto di vero in questa ovvietà, ma i cristiani possono utilmente interrogarsi su cosa provoca in loro essere spiritualmente “saccheggiati”: non ci sarà anche, nell’amarezza e nello sdegno, una goccia di quel segreto compiacimento di chi, scoprendosi derubato, trova nel furto stesso una conferma del valore e della desiderabilità delle sue cose (alle quali magari teneva ormai meno di quanto abbiano mostrato i ladri)? 

Una riflessione suggestiva trovata sulla battigia dei social

Forse solleticano anche queste segrete corde le petizioni che ancora in questi giorni – dunque decisamente fuori tempo massimo in ordine a una qualsivoglia incidenza pratica – associazioni cattoliche promuovono. È una riflessione su questo tenore quella offerta nei giorni scorsi da un sacerdote che sta su Facebook con lo pseudonimo “Scherzi da prete”:

Che cosa è blasfemo? Qualche sera fa a Italia’s Got Talent un comico ha fatto una parodia del primo miracolo di Gesù dove sostiene che organizzare un open bar alle nozze di Cana non è un gran miracolo, allora viene proposto come avrebbe dovuto essere il primo miracolo e Gesù viene rappresentato come capo di una banda di ragazzi attaccabrighe: è blasfemo? Perché il comico sulla sua pagina Facebook ha poi chiesto ai preti la gentilezza di non contattarlo in massa per invitarlo a parlare ai loro giovani. 

Per anni la televisione pubblica ci ha mostrato San Pietro che offre caffè: è blasfemo? Non ho mai sentito nessuno parlare di blasfemia. E Troisi che fa la parodia dell’Annunciazione è blasfemo? Io ho visto la celebre scenette in seminario, dove Troisi è vestito da donna e fa una parodia della Vergine Maria. Perché quello non è blasfemo? E tutti i meme girati l’anno scorso con Gesù che non poteva uscire dal sepolcro perché c’era Conte fuori, oppure quelli girati a Natale con la polizia a fare multe nel presepio sono blasfemi? Ligabue che canta rivolto a Dio “ma tu sei lì per non rispondere e indossi il tuo gran bel gilet” è più o meno blasfemo di “Dio benedica chi gode”? 

Un crocifisso rappresentato con la faccia di un tifoso con problemi con la giustizia presente in una chiesa molto bella della mia diocesi è più blasfemo di un cantante con una corona di spine? E la Madonna rappresentata come una delle più celebri prostitute del Tempo (Madonna dei pellegrini di Caravaggio) è più o meno blasfema di un uomo vestito come la Madonna? Fotografie di bambini crocifissi (celebre opera di qualche anno fa) per denunciare le violenze sui bambini sono più o meno blasfeme della citazione della Madonna di Civitavecchia evocata per denunciare le violenze dovute alle discriminazioni? Non ho una risposta. 

Le immagini del festival di Sanremo mi hanno urtato. Ma prima di urlare allo scandalo vorrei prendermi la libertà di fare qualche pensiero. Perché l’urlo facile mi sa molto di gioco di potere: se sei dei nostri, se ci fai un po’ la corte, se riusciamo in qualche modo a battezzarti… il confine tra blasfemia e ortoprassi è molto ampio, se usi un simbolo come un altro ma poi non la pensi in tutto come me sei un bestemmiatore. Non è che la cosa che più ci ha infastiditi è che non ci hanno chiesto il permesso? 

L’uso dell’accusa di bestemmia come gioco di potere è abbastanza usurato come meccanismo. E rivendicare potere mediante i simboli religiosi, beh questo è oggettivamente blasfemo. Forse conviene soffermarci un attimo a capire cosa ci ha urtato, cosa ci urta, quali spazi sentiamo che dobbiamo difendere e quali no. Preferisco studiare prima di urlare. Abbiamo bisogno di studiare, di non valutare a naso, di non usare parole come simbolo o arte a intuito. Altrimenti secondo me dietro c’è molto orgoglio e molto bisogno di presidiare confini. Spero che chi ha gridato subito allo scandalo possa offrirci presto una bella riflessione sul simbolo, io ne sento il bisogno. 

Se alcuni preti o vescovi avessero poi detto così chiaramente “non in mio nome” a fronte di questioni oggettivamente serie che avvenivano sotto la loro guida sarebbero stati molto più credibili nella loro “coraggiosa” denuncia. Siamo sempre coraggiosissimi quando non abbiamo nulla da perdere. Ma tant’è. 

Come si vede, la riflessione del sacerdote si articola su più piani: almeno 

  • una considerazione finale di sapore ecclesiale; 
  • un’ammissione del fastidio provato in prima persona per le performance sanremesi; ma al contempo 
  • un filosofico stupore rivolto su sé stesso, e 
  • un invito a un esame di coscienza alla ricerca delle motivazioni profonde che muovono un giudizio estetico verso la sua valenza etica e teologica; è infatti possibile stilare 
  • corposi elenchi di evocazioni assai forti del sacro e del fatto religioso… che pure non vengono avvertite foriere di carica blasfema. 

Come mai? Raccogliamo volentieri le domande del sacerdote, insieme con il suo invito a sviluppare una riflessione. Quella di noi credenti a considerare “roba nostra” il bagaglio religioso è una tendenza atavica all’esperienza religiosa, e almeno nell’ultimo mezzo secolo molti studî sul rapporto “fede-religione” hanno sviscerato abbondantemente il tema: in sintesi, il rischio è che il passo da “roba nostra” a una mentalità settaria e violenta tipo “Cosa Nostra” sia fin troppo breve. Per questo l’invito alla prudenza e alla riflessione è quanto mai opportuno. 

Ricordo di aver sentito mons. Bruno Forte, una volta, citare questa frase assai audace (mi pare che la attribuisse a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ma non ci giurerei): «La bestemmia del povero che soffre è una litania alle orecchie di Dio». Un orecchio teologico corre subito a Gedeone, a Giobbe e ai tanti giusti sofferenti che nel loro schietto dialogo con l’Eterno dicono parole che normalmente sono e restano proscritte per la comunità dei fedeli: massimo epigono della “bestemmia religiosa” è senza dubbio Cristo stesso che – urlando il Salmo 21 sulla Croce – dà voce per ogni tempo ai sentimenti dell’uomo che vive «nelle tenebre e nell’ombra di morte». Di quel grido al contempo infraumano e sovrumano – in tal senso “pontificale” – Von Balthasar potè infatti scrivere: «Il grido dell’ora nona riecheggia per l’eternità nel grembo del Padre». 

I pareri di due giovani vignettisti cattolici

Mi tornano alla mente alcune vignette di un mio amico, giovane prete per la diocesi di Sulmona-Valva, al cui talento artistico anche il sopra ricordato mons. Forte è più volte ricorso: le vignette da lui commissionate sono tuttavia assai meno “problematiche” di altre che fin dai tempi del seminario don Oliviero Liberatore ha composto, spesso e volentieri castigando vizî clericali o coinvolgendo Cristo, la Madonna e i Santi in siparietti decisamente sopra le righe. 

Poiché queste vignette le conservo da anni come cosa cara, e non le ho mai trovate irriguardose pur riconoscendole “forti”, ho pensato di ragionare con lui del quid che rende blasfema una vignetta (o una qualsivoglia altra produzione estetica). Insomma, perché le sue vignette non sono blasfeme – al punto da attrarre la benevola attenzione dei Vescovi – mentre le gag di Achille Lauro e Fiorello lo sono? Questa è la riflessione di don Liberatore: 

Non posso riferirmi a colleghi che non conosco, né coltivo questa passione a livello professionale. Io parto sempre dell’assunto che Dio ci abbia chiamato a libertà e al pieno quanto rispettoso abbandono- anche umoristico verso di Lui, dato che vorrebbe lo considerassimo e trattassimo come Padre e non solo come Dio e Signore, men che meno come padrone. 

Ora, penso sia insito dentro ognuno di noi un senso del limite e del buon senso a prescindere dell’ essere credenti o no (per cui ciò che per me è blasfemo potrebbe non esserlo per un non credente; così come per me un simbolo potrebbe essere per un altro semplice fatto storico). 

Intendo dire che quel senso di tatto e quasi di sana vergogna verso pensieri limite che si sono pensati, e verso me stesso che li ho pensati, sia importante. 

Non so se ho reso l’idea… pensa all’immagine dell’ebrezza di Noè: scena potenzialmente divertente agli occhi dei figli, eppure con rispetto distolsero lo sguardo e coprirono la nudità del padre. Secondo me una vignetta diventa blasfema quando tu perdi di vista il tuo essere figlio di qualcuno che ti è padre (umanamente parlando).

Effettivamente – mi viene in mente raccogliendo le considerazioni dell’amico – il brivido che il Grido dell’Ora Nona dà in chi lo ascolta si spiega anche perché (malgrado si tratti di una citazione) l’Uomo che ha invitato gli uomini a chiamare Dio “Abbà” poi alla fine della sua esperienza terrena lo chiami “Dio” (per quanto con l’uso dell’aggettivo possessivo “mio”). Don Oliviero mi riporta tra le vignette invitandomi a considerare alcune (ben note) copertine di Charlie Hebdo, indicandomi quali trova blasfeme e quali semplicemente inopportune, per poi chiudere con un giudizio ben ponderato: 

Come resa stilistica sono espressive ma anche cariche di bruttezza interiore e sofferenza (forse dell’autore). A me piacciono come realizzazione, ma qui lo vedi e lo tocchi proprio il carico del peccato e della colpa…

Se il valore delle riflessioni di don Oliviero viene dal fatto che oltre a essere un bravo vignettista è pure un coscienzioso sacerdote cattolico, ho però raccolto pure il parere di un vignettista almeno altrettanto bravo che è un laico e che della sua arte sta cercando di fare una vera professione. Anche a “Salesalato” (questo il suo nom de plume) ho quindi chiesto una riflessione personale sull’argomento, anche a partire dalle vignette più “al limite” che ha disegnato, quelle sulla cui pubblicazione egli stesso ha indugiato: perché – gli ho chiesto – alle fine hai trovato che queste tue non fossero blasfeme, mentre altre di altri autori sì? 

Premesso che – nelle circa quattrocento vignette del blog – Gesù appare assai di rado (a naso, direi tra le 5 e le 10), ogni volta che l’ho disegnato, ho sempre avuto uno scrupolo di coscienza – anzi due.

Il primo è dovuto a mia nonna Olga (buon anima!), che era solita dire: «Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi!» (e qui si parla del Santo con la «s» maiuscola).

Il secondo è che (per la mia sensibilità) ho sempre guardato con uno sguardo un po’ “sospettoso” e un po’ “infastidito” chi – anche in “ambito cattolico” – utilizza riferimenti religiosi decontestualizzati per risultare creativo/innovativo e mendicare l’attenzione degli altri con una risata.

Il che è un po’ paradossale – e forse contraddittorio? – detto da qualcuno che Gesù lo ha inserito, qualche volta, nelle vignette.

(E infatti, la prima volta che ho disegnato Gesù in una vignetta mi ha creato non pochi scrupoli di coscienza… e le pochissime altre volte che l’ho fatto mi sono sempre sentito di stare “lì lì” per cacare fuori dal vasetto, dare scandalo o risultare ridicolo/sciocco/cringe). 

Venendo alla tua domanda, per rispondere devo prenderla un po’ larga, facendo un esempio…

Perché se don Fabio Rosini racconta una barzelletta (in cui magari tra i personaggi c’è proprio Gesù) rido di gusto, mentre se navigo nel web e mi ritrovo “Gesù manga” o vignette ironiche di una certa cultura “church pop” mi viene da storcere il naso?

Naturalmente, non conosco il cuore di don Fabio.

Ma per quell’impressione che ho di lui dalle decine e decine di ore di catechesi ascoltate, dai suoi libri che ho letto,  dalla sua testimonianza di vita, mi rendo conto che la sua amicizia con il Carpentiere galileo è autentica. 

È vera, è bella, è buona. 

Porta frutti saporitissimi.

Don Fabio profuma di Gesù. 

Glie lo leggi negli occhi che sono amici intimi; e che bel segno di intimità tra due amici che è l’ironia (una volta anche Benedetto XVI, in un intervista, disse: «Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente delle barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero»). 

Mentre invece, di fronte a certo “umorismo clericale” che si trova nel web (strisce a fumetti e simili), spesso mi sento molto interdetto.

Come mai?

Ovviamente neanche in questo secondo caso conosco il cuore delle persone che “stanno dietro” all’ironia. 

E non so che rapporto abbiano con Gesù.

Però molto spesso la sensazione che mi lasciano è di dispiacere, di tristezza, come se qualcuno stesse cercando un like facile facendo una battuta sciocca su Qualcuno che mi sta a cuore.

Non so. 

Avrò una sensibilità un po’ démodée, ma – parafrasando papa Francesco – in questo secondo caso credo che «questa allegra superficialità» (cf. Laudato si’, n. 229) non sia affatto feconda (o – per lo meno – a me crea un turbamento).

Ok, ci ho girato abbastanza intorno.

E ho parlato abbastanza degli altri.

Allora, per quanto riguarda le mie, di vignette?

Le volte che io ho scelto di disegnare Gesù, in un blog dove spesso ricorro all’ironia… perché l’ho fatto?

Come sai, quando scrivo i testi delle pagine del blog (vignette comprese) attendo sempre un paio di mesi prima di pubblicarle: per rileggermi, fare labor limæ, verificare se ho scritto sciocchezze, verificare se ho scritto cose corrette ma con un tono sbagliato, etc… ma anche (soprattutto?) per sottoporGli tutte queste cose nella preghiera: «Ti piace?», «Pensi che debba smussare qualcosa?», «Togliere?», «Cambiare?», «Sostituire?».

Così facendo, spero sempre di non scandalizzare nessuno… anche se gli scrupoli (ahimé) restano sempre (e infatti, soprattutto Gesù, cerco sempre di disegnarlo cum grano salis; e, se posso, evito…)

Troppe pippe mentali?

Boh, forse…

…ma quando sarà il momento di guardarsi negli occhi, Quel Giorno, preferisco che mi dica «dai, Sale, che pesantone, ti sei preso troppo sul serio»… e «Amico, vieni più avanti!» (Lc 14,10)… piuttosto che “sedermi al primo posto” e poi cederlo a qualcun altro, per aver abusato di una confidenza eccessiva e – forse – un po’ fasulla (Lc 14,8). 

Entrambi i miei amici vignettisti, quindi, ritengono che la blasfemia – quando non è quella marchiana e grossolana di Serse Cosmi che rivendica il “diritto a bestemmiare” in campo in quanto «siamo in un paese laico» (cose che alcuni dicono anche in Francia) – sia il risultato di una confidenza inappropriata. O per il contesto o per l’intenzione o per il momento… o perché tra le persone in gioco (l’artista, il Santo e la Comunità) non c’è davvero quella confidenza che potrebbe ben ospitare – e sostenere e collocare – un momento distensivo. 

Una definizione necessaria ma quasi impossibile

La difficoltà del definire il concetto di bestemmia sta nel fatto che in esso si combinano delicati equilibri tra fattori soggettivi e fattori oggettivi, né si potrebbe ottenere una definizione soddisfacente escludendo o minimizzando uno dei due àmbiti.

«Ho solo detto a mia moglie: “Questo pezzo di baccalà è degno di YHWH”.
Io non penso che sia una bestemmia»

Un imbarazzo del genere vale anche per un altro concetto, vitale per l’esperienza di fede e per le dinamiche ecclesiali: quello di eresia. Tutti i credenti hanno il concetto di eresia e molti saprebbero anche indicare (perfino con una certa correttezza di fondo) le eresie più evidenti che fin dagli inizi della vicenda cristiana hanno tarlato le dottrine dei discepoli di Gesù… definire però in astratto, quasi con formalità matematica, che cosa sia una eresia è impresa tale da invitare anche le menti più eccelse della Tradizione cristiana… non a “desistere”, ma a un prudente passo di lato. Tertulliano aveva scritto il suo La prescrizione degli eretici per illustrare come si diventi tali, e Agostino si proponeva di completare il lavoro dedicando il secondo libro del suo Sulle eresie alla questione di cosa renda eretico un credente… ma non riuscì mai a scrivere quel libro. 

A Quodvultdeus, però, che gli aveva chiesto un manuale sulla materia da applicare pastoralmente, Agostino rispose infatti così: 

Ricevuta la lettera della Carità tua, in cui con ardentissimo desiderio mi chiedevi che scrivessi un breve opuscolo su tutte le eresie pullulate contro la dottrina del Signore e Salvatore dopo la sua venuta, avendo trovato un’occasione, ti ho scritto una breve risposta, per mezzo del mio carissimo figlio Filocalo, uno dei più ragguardevoli cittadini d’Ippona, per dirti quanto sia difficile una tale impresa. Subito dopo mi si è presentata quest’altra occasione e perciò ti scrivo ancora e ti mostro in breve la difficoltà di detta opera.

Un certo Filastrio, vescovo di Brescia, che anch’io vidi a Milano con S. Ambrogio, ha scritto un libro su tale materia, non tralasciando neppure le eresie sorte nel popolo giudaico prima della venuta del Salvatore, ricordandone ventotto, mentre di quelle sorte dopo la venuta del Signore ne ricorda centoventotto. Sullo stesso argomento ha scritto anche, in greco, il vescovo di Cipro, Epifanio giustamente famoso per la scienza della fede cattolica; questi però nel raccogliere le eresie apparse prima e dopo di Cristo ne ha raggruppate solo ottanta. Pur essendosi dunque proposti entrambi di compilare un’opera quale mi è richiesta da te, comprendi tuttavia quanto differiscono tra loro persino riguardo al numero delle eresie da loro elencate: ciò non sarebbe certamente avvenuto, se l’uno non avesse avuto dell’eresia un concetto diverso da quello dell’altro. Poiché non si può pensare che Epifanio ignorasse alcune eresie che invece conosceva Filastrio, sapendo noi che Epifanio fu di gran lunga più dotto di Filastrio: per questo motivo dovremmo dire piuttosto che fosse Filastrio ad ignorarne moltissime, nel caso però che quello ne avesse abbracciate un numero maggiore e questo un numero minore. È pertanto certissimo che i due non avevano lo stesso concetto di eresia; e per vero è difficile determinarlo esattamente. Quando perciò si tenta di redigere un elenco completo delle eresie, bisogna stare attenti a non tralasciarne alcune che invece lo sono, o a mettere nel loro numero altre, che non lo sono.

Aug., Ep 222,1-2 

Troppo era esperto, Agostino, di quanto l’uomo – ogni uomo – fosse e sia un viator, cioè un pellegrino sulla via di casa (lo cantò anche Joan Osborne: «Just a stranger on the bus / tryin’ to make his way home» – a proposito, è blasfema Joan Osborne?) e di quanto la stessa Chiesa sia un “corpus permixtum”, pervaso da innumerevoli osmosi tra buoni e cattivi, tra bene e male… Intervenire con un taglio netto è talvolta necessario, sul piano pastorale, ma sempre molto rischioso, perché quando il marchio di eretico (o di blasfemo) venisse assegnato impropriamente si rischierebbe di perdere direttamente chi ne venga colpito e indirettamente chi sia stato ispirato dalle sue esternazioni. 

La posta in gioco dunque non potrebbe essere più alta, e vale la pena – proprio per fare una salutare tara al nostro giudizio teologico – chiederci se e quanto, difendendo i “diritti di Dio” non lamentiamo piuttosto di non essere presi sul serio noi, e riveriti e rispettati. Preoccupazione che, nei discepoli del Crocifisso-Risorto, sarebbe se non propriamente blasfema sicuramente sciocca e triste. 

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