Quando ha appreso la notizia del viaggio del papa in Iraq, padre Asmaroo, cappellano della piccola comunità caldea in Svizzera, non ha saputo trattenere la sua profonda gioia:
Per festeggiare questo evento storico, egli ha quindi organizzato per il prossimo 6 marzo una messa in Svizzera con alcune (per via del Covid) famiglie caldee.
Dopo la delusione provocata dall’annullamento della visita di Giovanni Paolo II nel 1999, bisogna dire che la notizia era di quelle grosse. Così si rallegra il prete iracheno dall’accento cantillante:
Installato in Francia con la moglie e i due figli fin da quando ha lasciato il Paese nel 2014, all’arrivo dell’Isis, Toma Kako non è meno entusiasta: «Questa visita restituirà speranza al popolo iracheno, che tanto ha sofferto». La voce vibra dell’emozione di immaginare il pontefice camminare sulla terra della propria infanzia. Con la comunità cristiana di Sarcelles, dove risiede, la piccola famiglia vicina all’Œuvre d’Orient conta di seguire con attenzione ognuno degli spostamenti del pontefice.
In Europa o nel Vicino Oriente, i rifugiati che hanno fuggito il loro Paese – nel 2003 o per l’arrivo dell’Isis nel 2014 – si tengono cauti in merito ai frutti che il viaggio potrebbe portare sul piano politico e di sicurezza: «È una visita storica che va anzitutto nel senso della pace, lungi dall’essere una visita strategica o politica», dice Yuap, iracheno rifugiato in Libano dal 2014. Per questo giovane di soli 24 anni, il viaggio avrà anzitutto l’effetto di dare «speranza alla sua generazione». Non è tanto per dire: la gioventù irachena ha infatti «vissuto tutta la vita in guerra», sottolinea tristemente Yuap.
Certamente, «papa Francesco incoraggerà i cristiani del Medio Oriente, e in particolare quelli iracheni, a restare», immagina Toma Kako:
Egli pensa tuttavia che il viaggio non avrà incidenza sul ritorno di rifugiati dai quattro angoli del mondo:
Da parte sua, dunque, non pensa di rientrare e fatica a immaginarsi che altri rifugiati integrati in Francia possano prendere una tale decisione.
«Pace, sicurezza»: ecco quel che manca a Toma e alla sua famiglia per sperare di poter un giorno tornare nel paese di Abramo. Quella stabilità vagheggiata dai rifugiati cristiani, nonché da gran parte dei cittadini iracheni in patria, il papa può dargliela?
Nel cuore di Beirut Jean-Louis, un Libanese che da dieci anni si dedica ai rifugiati iracheni nel Paese dei Cedri, offre una lettura realista:
E sottolinea pure lo scarto economico che esiste tra l’Iraq e i paesi in cui i rifugiati sono emigrati: «Dubito che questa visita apporti uno sviluppo economico». In Libano, che pure per alcuni rappresenta una tappa, questo operatore umanitario ha dunque visto “passare” numerose famiglie oggi partite per gli Stati Uniti o ancora per l’Australia. Coppie con bambini che in quei paesi si sono ben integrate, e che non rientreranno perché in Iraq non c’è analogo ambiente economico – almeno questa è la sua opinione.
Il 33º viaggio del Vescovo di Roma non indurrà neppure Yuap a lasciare senza indugio il Libano, paese in cui ha trovato un lavoro, benché precario e in nero. «Ci sono troppe complicazioni per sperare una stabilità nel futuro prossimo», dice prima di aggiungere: «Prima aspetto che il papa rimetta i cristiani sulla carta dell’Iraq».
Incoraggiamenti, riconoscimento, sostegno… Ecco quel che prima di tutto sperano di ricevere, gli Iracheni che da tanti anni si sono fusi in un nuovo contesto – in Europa o altrove. Malgrado tutto, padre Asmaroo sembra più ottimista dei suoi concittadini:
Per lui, il viaggio potrebbe anche «giocare un ruolo importante per un ritorno concreto di alcune famiglie», anche se ciò non dovesse avvenire in un futuro prossimo.
Da parte sua, il prete iracheno non ha mai veramente lasciato il suo Paese natale, poiché almeno una volta l’anno fa ritorno nel cuore dei suoi paesaggi rocciosi. Una boccata d’aria a cui non vuole rinunciare: «Non è la visita del papa – spiega – che motiverà gli Iracheni a rientrare, ma piuttosto saranno le sue conseguenze, i frutti di questa visita».
Al di là della situazione dei rifugiati cristiani, il prete svizzero crede nella forza dei legami che il papa tesserà con le differenti autorità politiche e religiose:
Toma Kako si premura, da parte sua, di sottolineare la sfida che questa visita rappresenta per tutto il popolo iracheno, ben al di là della sfera cristiana: «Bisogna fare tutto il possibile perché questa visita riesca bene per tutti – sunniti, sciiti, cristiani… tutti». La sua speranza è che ogni cittadino possa ascoltare l’appello alla fraternità che il papa lancerà. Nel solco di mons. Pascal Gollnisch, direttore dell’Œuvre d’Orient, egli invita a guardare a questo viaggio come a un dono «per tutto l’Iraq».
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]