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Attenzione alle penitenze assurde in Quaresima

PUSTYNIA

Rafael Barquero/Unsplash | CC0

Felipe Aquino - pubblicato il 01/03/21

Le penitenze non servono per fare del male

La Quaresima è un periodo per lottare contro i nostri peccati, un momento di riflessione, penitenza e conversione spirituale in preparazione al mistero pasquale. Il Catechismo afferma che “agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero” (n. 1488).

Guardando Gesù sfigurato e distrutto sulla croce, comprendiamo l’orrore che rappresenta il peccato. C’è voluta la morte di Cristo perché ci liberassimo del peccato e della morte eterna, la separazione dell’anima da Dio. La Chiesa ci propone allora 40 giorni di penitenza, di resistenza contro il peccato in Quaresima.

Questa pratica si basa sulla vita del popolo di Dio. Per 40 giorni e 40 notti è caduto il diluvio che ha inondato la terra e ha estinto l’umanità peccatrice (cfr. Gn 7, 12). Per 40 anni, il popolo eletto ha vagato nel deserto, come punizione per la sua ingratitudine, prima di entrare nella terra promessa (cfr. Dt 8, 2). Per 40 giorni, Ezechiele è stato steso sul suo fianco destro, a rappresentare il castigo imminente di Dio sulla città di Gerusalemme (cfr. Ez 4, 6). Mosè ha digiunato per 40 giorni sul Monte Sinai prima di ricevere la rivelazione di Dio (cfr. Es 24, 12-17). Elia ha viaggiato per 40 giorni nel deserto, per fuggire dalla vendetta della regina idolatra Jezabel ed essere consolato e istruito dal Signore (cfr. 1 Re 19, 1-8). Gesù stesso, dopo aver ricevuto il Battesimo nel Giordano e prima di iniziare la sua vita pubblica, ha trascorso 40 giorni e 40 notti nel deserto, pregando e digiunando (cfr. Mt 4, 2). È un tempo di lotta contro il male.

San Paolo ci offre un’indicazione precisa: “Vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano; poiché egli dice: ‘Ti ho esaudito nel tempo favorevole, e ti ho soccorso nel giorno della salvezza’.
Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza!” (2 Cor 6, 1-2). La liturgia della Chiesa applica queste parole in modo particolare al tempo di Quaresima. “Convertitevi e credete al Vangelo”, e “Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai”.

Invito alla conversione

Il primo invito è alla conversione, un avvertimento contro la superficialità del nostro modo di vivere. Convertirsi significa cambiare direzione nel cammino di vita: un’inversione di percorso vera e totale. Conversione è andare controcorrente, contro la vita superficiale, incoerente e illusoria che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male, o almeno suoi prigionieri.

Gesù Cristo è la meta finale e il senso profondo della conversione, la via che sogniamo di percorrere, lasciandoci illuminare dalla Sua luce e sostenere dalla Sua forza. La conversione è una decisione di fede, che ci avvolge completamente nella comunione intima con la persona viva e concreta di Gesù. La conversione è il “Sì” totale di chi offre la sua vita a Gesù per vivere il Vangelo. “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15).

Le penitenze non servono a fare del male

Per vincere noi stessi, le nostre debolezze e le passioni disordinate, la Chiesa raccomanda, soprattutto in Quaresima, il digiuno, l’elemosina e la preghiera come “rimedi contro il peccato”, per dominare le debolezze della carne e avvicinarsi a Dio.

Non si devono quindi compiere penitenze esagerate, una mortificazione che porti la persona ad ammalarsi o a sentirsi male. Il digiuno esige, sì, di soffrire un po’ la fame durante la giornata, ma senza fare del male alla persona, senza privarla della forza per lavorare, pregare…

Saper tacere può essere una buona penitenza

Ci sono forme positive di mortificazione, come eliminare quello che ci piace, a livello di corpo o di spirito, ma ci sono persone che eccedono: pellegrinaggi troppo lunghi, penitenze perfino con ferite, pregiudicando la salute. Dio non vuole questo. Non ci chiede l’impossibile.

Quale mortificazione dobbiamo scegliere? Quella che abbatte il nostro peccato. Se sono superbo, la mia penitenza dev’essere l’esercizio dell’umiltà: vincere l’orgoglio, l’ostentazione, la vanità, l’esibizionismo, il desiderio di apparire, di imporsi agli altri. E bisogna saper tacere.

Se il peccato è l’attaccamento ai beni materiali e al denaro, devo esercitare molto l’elemosina, il distacco dal mondo e dalle creature. Se il mio male è la lussuria o l’impurità, eserciterò la castità negli occhi, nelle orecchie, nelle letture, nei pensieri e nelle azioni. Se sono iroso, conquisterò la mitezza; se sono invidioso cercherò la bontà; se sono pigro lavorerò di più e sarò diligente nel servire gli altri senza interessi.

Perdonare può essere più importante

San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa, diceva che la penitenza migliore è accettare con rassegnazione i mali che Dio permette che ci colpiscano, perché Egli sa di cosa abbiamo bisogno, e così i nostri peccati vengono vinti. Le penitenze che Dio ci manda sono migliori di quelle che ci imponiamo da soli. E allora, soprattutto in Quaresima, accettate senza reclamare, senza incolpare nessuno, tutti i mali, i dolori, i fastidi e le ingiurie di cui soffrite, e offrite tutto a Dio per la vostra conversione.

Forse offrire il perdono a chi vi ha offesi è più importante di stare 40 giorni senza questo o quello. Una visita a un malato o a un carcerato o la consolazione di un afflitto può essere più importante di un lungo pellegrinaggio. Tutto conta, ma bisogna riservare ciò che è più importante per la realtà spirituale.

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