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Che ne sarebbe delle nostre croci se non ci fosse una via?

MENCARELLI, VIA CRUCIS

Suwichanon Mahahing | Shutterstock - Daniele Mencarelli

Annalisa Teggi - pubblicato il 25/02/21

I passi lenti di Gesù vincono la tentazione delle nostre corse sfrenate, così le parole di Daniele Mencarelli illuminano la Via Crucis nel suo "La Croce e la via".

C’è chi sale per dominare e chi sale per donarsi. C’è la nostra scalata al successo e ci fu la Sua salita Golgota. Su queste due strade opposte, ma non separate, ci porta Daniele Mencarelli nel suo La Croce e la via (ed San Paolo). Che il cristianesimo si riduca a messaggio, è un rischio per tutti. Anche la Via Crucis può essere trattata come un’astratta via maestra, pensata più che camminata. Un dio che è morto per noi. Lo dici o le senti che ti cammina accanto?


DANIELE MENCARELLI

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Ringraziamo, dunque, lo scrittore che ci mette davanti a un bivio. Perché la salita al Golgota è una scelta da continuare a fare, ancora e ancora. «Le mie vie non sono le vostre vie» può anche voler dire che siamo liberi di voltare le spalle a Lui che andò per la via dolorosa. Possiamo tirare dritto lungo le autostrade dei nostri viaggi mentali, dei nostri progetti ben calcolati.

La prima voce che incontriamo nella via crucis di Daniele è proprio quella di un uomo che brucia dal desiderio di farsi strada da solo. Siamo anni luce dalla Gerusalemme del Venerdì Santo, siamo nel traffico di una grande città. Siamo all’inizio di un giorno lavorativo, il mio e il tuo.

La nostra prosa

Il palazzo spunta da terra e cresce sino alle stelle, ecco il mio ufficio di trame da cui governo il mio destino, è qui che l’ora diventerà presente, poi leggenda sino alla fine dei miei anni. Per lavoro costruisco un mondo raccontato ad arte, un mondo che obbedisce al mio volere, anche il sole s’accende al mio comando.

Fa impressione quanto il gergo dell’impiego e degli affari possa mimare quello della Passione. «Il carico», «è giunta l’ora», «i colpi bassi», e poi il miraggio di ergersi sopra tutti. Nella prima parte del testo di Mencarelli, intitolata La croce, c’è il monologo esaltante e cupo di un uomo che brama il potere e tutti i suoi ricchi e ostentati accessori. Nella scalata al successo anche l’invidia dei colleghi è una gran bella medaglia.

Non ci sono amici, ogni altra presenza umana è un ostacolo.

Chi parla insegue il suo sogno di gloria in terra, è un fiume in piena di entusiasmo e vanità, cattiveria e cinismo. La prosa è la nostra migliore alleata quando vogliamo raccontarcela. Non andiamo mai a capo, neppure coi pensieri, tanta è la smania di spiegare le cose nel modo a noi più gradito. Prosa è – metaforicamente – la presunzione di spiegare e convincere; è la parola di chi non ascolta e si sente il padrone del mondo.

Siamo agli antipodi di Gesù che tacque davanti a Pilato. Siamo lungo una strada in salita sì, ma verso l’autocelebrazione. E cosa vede dalla cima quest’uomo che ha scalato il successo fino all’ultimo gradino e calpestato chi ha osato sfidarlo?

Mi guardo per quello che sono, un uomo imprigionato in un castello di fantasmi, solo, senza straccio d’amore che lo conservi. Infine, davanti agli occhi che più non sanno chiudersi, mi viene incontro la mia vittoria. Nuda e orribile. Cieca.
Businessman regardant par la fenêtre
Gorodenkoff - Shutterstock

Con questo freddo addosso il lettore volta pagina e comincia La via, la seconda parte del libro: un fedele cammino lungo le 14 stazioni della Via Crucis.

La Sua poesia

Ma perché anteporre una parte moderna e sfacciata al racconto del sacrificio di Cristo? Perché infilare lo sporco mondo degli affari dentro il viaggio straziante di Chi ha pulito il cuore dell’uomo?

Per sentire il peso della Croce, mi sono detta. Ed è solo una mia impressione di lettrice: quando sulla scena entra Gesù, si sente tutto il peso della tracotanza precedente, rimbomba ancora la voce dell’uomo padrone di sé che sa cosa vuole. E mi sono detta (come guardando la salita al Golgota di nuovo per la prima volta): davvero, su quella Croce pensava tutto il rumore del mio orgoglio; davvero Lui, salendo, mi strappò dalla tentazione che sia io ad avere l’ultima parola sul mio cuore.

Cede di nuovo il corpo cadono gli occhi fino alla terra colmi di pietà per quell’umano qui ridotto a povera cosa, che serva tutto questo a liberarvi il cuore voi popolo di miei fratelli.

La voce della Via Crucis è la poesia. Ed non è una scelta stilistica. Il poeta – autentico – per prima cosa fa i conti col silenzio, mette un limite alle sue parole. Lotta con la tentazione di quella prosa che rigurgita fiumi di istinto. Ascolta. Così è il passo di Gesù, consapevole di non essere al centro di un suo monologo. Lungo il suo cammino sono tante le voci che parlano: Maria, Simone di Cirene, le donne che piangono. La dannazione è una tragica scelta solitaria, ma il cammino verso la Redenzione è un coro – fosse solo perché Gesù sapeva di custodire nelle sue piaghe ogni nostra voce. Tuttora in chiesa leggiamo il Vangelo della Passione a più voci.




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La poesia vince la tentazione della prosa. I passi lenti di Gesù vincono la tentazione delle nostre corse sfrenate. Se in questo tempo dell’anno ci avviciniamo una volta di più al cammino che porta al Golgota è per toglierci di dosso parole inutili. Anche la vittoria di Cristo è nuda, ma non cieca e orribile. Perché in cima alla salita, sotto la Croce, si arriva spogliati di pretese ma pieni di attesa:

 Io sono qui che ti attendo sorgerà presto un nuovo giorno, sarà il tuo battito a svegliare il mondo.

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