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I cappellani condividono le esperienze vissute con i pazienti malati di Covid

PRIEST

ESSALUD | AFP

John Burger - pubblicato il 23/02/21

I sacerdoti hanno accompagnato malati e morenti e hanno sostenuto il personale ospedaliero

A un anno da quando lo scoppio della pandemia di coronavirus ha iniziato a riempire gli ospedali di tutti gli Stati Uniti, il personale ospedaliero desidera vedere la luce alla fine del lungo e buio tunnel del Covid-19, e i pazienti e le loro famiglie hanno davvero bisogno di poter vivere il proprio dolore.

I cappellani ospedalieri lo hanno sottolineato spesso parlando con Aleteia nelle ultime settimane. Se le équipes di medici e infermieri dei reparti di terapia intensiva sono state in prima linea nella lotta alla pandemia, i cappellani sono stati nella “prima linea spirituale”, offrendo assistenza pastorale a pazienti, famiglie e personale sanitario. Prendendo all’inizio grandi precauzioni, hanno svolto il loro ministero attraverso i vetri o il telefono, ma poi si sono avvicinati ai pazienti per ascoltare Confessioni, portare l’Eucaristia e amministrare l’unzione dei malati.

Alcuni hanno contratto il Covid, e molti hanno già iniziato a ricevere il vaccino contro il virus.

“All’inizio era tutto ignoto. Probabilmente era tutto caratterizzato soprattutto dalla paura”, ha affermato padre Richard Bartoszek, 62 anni, cappellano presso il Beaumont Hospital di Grosse Pointe, Michigan. “È stato quando ci ha colpiti per la prima volta, a marzo e aprile 2020. Ed è stato orribile. Non ho mai visto niente del genere… Non avevamo mai visto tante persone malate in modo così critico”.

Il piccolo ospedale si è presto riempito, e ogni unità di terapia intensiva era occupata. “Si sono dovute organizzare delle unità di terapia intensiva improvvisate”, ha ricordato padre Bartoszek. “Si andava a casa mentalmente esausti”.

Poi sono morti due impiegati del Beaumont – un medico e un altro membro dello staff. “È stato un duro colpo”, ha confessato il sacerdote. “Siamo un ospedale piccolo, situato in un quartiere. La gente che lavora qui lo fa da anni. C’è un senso di famiglia tra le persone che lavorano qui”.

Col tempo, il personale medico e chi esercitava il suo ministero a favore dei pazienti affetti da Covid hanno capito meglio cosa fosse il coronavirus e come affrontarlo.

“Con la seconda ondata, in autunno, la gente andava e veniva”, ha detto padre Bartoszek. “È stato reso disponibili il vaccino. La gente si sente meglio per il fatto di averlo, ma ci sono ancora dei rischi”.

Aiutare i familiari

Fin dall’inizio, padre Bartoszek entrava nelle stanze dei pazienti per amministrare l’unzione dei malati. Ora si sente ancora più libero per una serie di ragioni. Una delle cose di cui lui e gli altri sacerdoti hanno constatato l’importanza è stato il fatto di stare accanto alle famiglie alla fine della vita, quando qualcuno veniva staccato da un respiratore o dopo che era morto.

“La cosa che per me è stata più significativa è che molte di quelle persone non potevano avere altri visitatori, soprattutto all’inizio della pandemia a marzo”, ha affermato padre Matthew O’Donnell, membro di un team di circa 25 parroci dell’arcidiocesi di Chicago chiamati a visitare i morenti negli ospedali della zona. “Fino a giugno gli ospedali non permettevano l’ingresso ai familiari, anche se si era certi che la persona non sarebbe sopravvissuta. In questo contesto, a volte potevo essere l’ultima persona a interagire con quell’individuo, ed è un’esperienza che rende davvero più umili”.

Padre O’Donnell, 34 anni, ha affermato che per molte famiglie era molto importante sapere che un sacerdote era “disposto a entrare nella stanza di qualcuno e a pregare con lui”. Una famiglia lo ha ritenuto una tale benedizione da aver menzionato nel necrologio che padre O’Donnell era presente al momento della morte del loro caro.

Ora non solo i cappellani, ma anche i familiari hanno sempre più il permesso di accompagnare i propri cari morenti nei loro ultimi istanti di vita, e ha rappresentato un grande aiuto anche gli infermieri e gli altri assistenti sanitari. Quando ai familiari e ai cappellani non era permesso l’accesso nelle stanze dei pazienti contagiosi nei primi mesi della pandemia, erano gli infermieri che spesso tenevano la mano dei morenti.

“Ora i familiari possono venire ed essere presenti fino alla morte del paziente, e questo ci ha aiutato moltissimo”, ha affermato padre Patrick Fitzsimons, 60 anni, cappellano al Nashville Veterans Administration Medical Center. “I sanitari sentivano la responsabilità di essere un canale per le famiglie ed essere presenti per l’individuo che stava morendo, tenendogli la mano, confortandolo e assicurandosi che nessuno dei nostri veterani morisse da solo senza un tocco umano. E ovviamente questo richiede un prezzo da pagare”.

“Ho scoperto che il personale ospedaliero è sempre grato di vedere il sacerdote disposto a entrare in una stanza e offrire conforto alla famiglia, perché gli infermieri e gli altri operatori lo fanno tutto il giorno, e a volte per vari pazienti allo stesso tempo”, ha detto padre O’Donnell a Chicago.

Aiuto per guarire

La cappellania si è anche rivelata impagabile come parte della ripresa generale della persona,
come mostrato all’O’Connor Hospital e al Santa Clara Valley Medical Center di San Jose, in California. Padre Randy Suárez Valenton, 52 anni, aveva amministrato l’unzione dei malati a una paziente malata di Covid attaccata a una macchina per la ventilazione. Alla fine ha iniziato a migliorare, ma non si è resa conto dei progressi che stava facendo.

“Il medico mi ha chiesto di aiutarla a capire che stava migliorando, perché in quel momento la paziente era decisa a morire”, ha detto padre Suárez. “Il medico mi ha chiesto di aiutarla a capire la sua situazione e a integrare la fede nel progetto di cura. Le ho chiesto: ‘E se Dio volesse che si riprendesse? Rispetterebbe questo fatto?’ E lei ha detto di sì. E allora ho detto: ‘Se il medico le chiede di fare qualcosa sarà un segno’”.

La paziente si è poi ripresa.

Nonostante l’avvento di vari vaccini stia offrendo speranza per vedere una luce alla fine del tunnel, padre Fitzsimons e altri cappellani sanno che c’è ancora molto da fare, anche dopo che la pandemia sarà finita. Ci sarà bisogno di un’opera di guarigione nei confronti delle persone che non hanno potuto stare vicino ai propri cari mentre questi morivano. In molti casi non è stato possibile celebrare funerali. Nella vita di tante persone è mancata questa vicinanza.

“Non abbiamo iniziato davvero ad affrontare il livello successivo degli effetti del Covid sulle famiglie, mentalmente e in altro modo”, ha affermato padre Fitzsimons. “Molte cose che fanno normalmente parte del processo del lutto non sono a disposizione delle famiglie… Probabilmente siamo stati troppo restrittivi nel modo di limitare l’adorazione. Avremmo potuto garantire la sicurezza ed essere comunque un’oasi per la gente e rispondere alle necessità pastorali”.

“Si soffre per le famiglie che non hanno potuto avere un funerale normale – il senso del lutto e come la gente non sia in grado di viverlo, cosa che avviene quando le famiglie si riuniscono e possono abbracciarsi ed essere presenti”, ha detto padre Bartoszek in Michigan. “Non ci sono gruppi di sostegno al lutto. L’aspetto virtuale non è la stessa cosa di avere 10 o 12 persone in una stanza. Ci sarà bisogno di molta consulenza sul lutto dopo che potremo tornare a unirci in modo sicuro”.

Quando arriverà quel momento, i cappellani continueranno sicuramente ad essere presenti per pazienti, famiglie e assistenti.

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