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Una lezione giapponese sulla “finestra della Quaresima”

ceriser en fleurs

© Couleur / Pixabay

Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 17/02/21

Per non lasciarsi sorprendere impreparati dalla Quaresima, essenziale per la nostra crescita interiore, apriamo una finestra sulla nostra anima così com’è – senza infingimenti, senza ipocrisie. 

In Giappone, soprattutto a Kyoto (che è “il conservatorio delle tradizioni”), esiste un costume ancestrale, quello di contemplare i fiori di ciliegio in primavera e la neve d’inverno. Non si tratta di un atto formale, un semplice sguardo distratto gettato sulla natura, ma quasi di un rito religioso. Del resto esistono delle finestre concepite appositamente – soprattutto nei divisorî scorrevoli chiamati shôji – per permettere questa contemplazione dall’interno delle case. Le finestre per contemplare i ciliegi in fiore dunque si chiamano hanami-mado (hana = fiore, mi = vedere, mado = finestra), gli yukimi-mado sono invece quelle per godersi la bellezza della neve (yuki = neve).

Certo, di per sé questo non è che un principio estetico naturalistico, ma è possibile trasferirlo nell’àmbito spirituale, soprattutto ora che inizia la Quaresima. Niente di peggio che lasciarsi sorprendere impreparati da questo tempo liturgico essenziale per la nostra crescita e per la nostra purificazione interiore. Se non ci prepariamo – e a questo serve la “Septuagesima”, rampa per entrare nella penitenza piena – prenderemo il treno al volo senza prestare attenzione a quel che ci circonda e che deve aiutarci allo slancio nella conversione.

Non perdere il treno

Prepariamoci una finestra per contemplare la Quaresima: una shijunsetsumi-mado (shijusetsu = Quaresima). Prima di azzardarci a uscire, a gettarci nel cuore dell’azione, questa contemplazione sosterrà il nostro desiderio di non perdere il treno, stavolta, e di condurre in porto risoluzioni opportune e impegni ragionevoli – e non il frutto della nostra immaginazione sregolata, ché la bulimia spirituale è sempre votata allo scacco.

Come giudicheremmo un gerarca militare che non si prenda anzitutto il tempo di soppesare leforze nemiche in campo e la loro posizione, ma lanciasse le truppe all’assalto nella mischia? Eppure ogni anno (o quasi) raccattiamo baracca e burattini quando arriva il momento di entrare in Quaresima e ci buttiamo a capofitto, ma senza entusiasmo, a denti stretti, sperando soltanto che queste settimane poco stuzzicanti passino più rapidamente possibile. E ci scordiamo che siamo in stato d’emergenza per non trascurare l’opportunità dataci per rimettere in sesto la nostra anima sonnolenta.

La nostra anima inamidata

Nicolás Gómez Dávila notava, nei suoi Appunti di uno sconfitto:

Quel che preoccupa il Cristo dei Vangeli non è la situazione economica del povero, ma la condizione morale del ricco.

Se un grandissimo numero di capolavori del nostro patrimonio culturale è oggi in pericolo, le nostre anime sovraccariche lo sono tanto più quanto meno figurano su qualche lista di protezione e di conservazione. Ognuno si armi di cazzuola per restaurare quanto dipende da lui: la condizione morale del ricco evangelico ci si addice bene anche se non siamo tutti militari. La nostra anima è inamidata da tanti affanni inutili sopraggiunti nel corso degli anni. Non abbiamo affatto proceduto a un restauro di facciata, e i chirurghi plastici sono decisamente incapaci di restituire bellezza all’anima – la quale necessita di cure di altra e non meno delicata natura. Se bastasse una liposuzione per aspirare il grasso del peccato sarebbe certamente una cosa pratica, ma il sacramento della penitenza – che ne elimina tutte le scorie – non è sempre utilizzato come merita, è anzi ancora un tesoro negletto e scuro della nostra eredità cristiana.

Mettersi alla finestra della Quaresima ci permetterebbe di osservare il dettaglio della nostra anima così com’è – senza infingimenti e senza ipocrisie. Amiamo illuderci, come se potessimo levarci qualche chilo dalla bilancia dell’anima. Restare nella bolla, non guardare niente, niente contemplare, non riflettere su niente ci evita nell’immediato parecchi tormenti, ma le nostre viscere continuano a gemere. La nostra facile carità è essa stessa il segno del nostro rifiuto di gettare un’occhiata su nostro giardino. Georges Bernanos, nei Dialoghi delle Carmelitane, ha questa formula:

Chi si acceca volontariamente rispetto al prossimo, con il pretesto della carità, spesso non fa altro che rompere lo specchio per evitare di guardarvisi.

La Quaresima è il momento di tirare fuori lo specchio dalla custodia, di aprire la finestra che dà sul campo del nostro mondo interiore. Scopriremo ammonticchiamenti di cose inutili, nefaste, potenziali focolai di putrefazione. Non basta spalmarli sul corso dell’anno per disfarsi della putredine.

La gioia di scoprirsi peccatori

Accostiamoci allora alla finestra della Quaresima perché, sollevando la serranda, vedremo disegnarsi la gioia – non quella proposta a botte di slogan da un mondo cieco, ma quella promessa dal Maestro nel suo Evangelo – la gioia che Léon Bloy definì così nel suo Il Disperato:

La Gioia, caro padre, è fatta per gli uomini abbrutiti… o per i santi.

Si tratta della gioia di scoprirsi peccatori perdonati non appena imbocchiamo la via del ritorno, se lasciamo perdere il vecchio mondo, se contempliamo dalla finestra il regno pro-messo a portata di mano. Il colore viola delle vesti quaresimali tracima nel rosa dei fiori di ciliegio ben oltre quello della domenica Lætare, e poi sul bianco sfolgorante fregiato d’oro del sole levante, Risorto.

Alla finestra della Quaresima indoviniamo l’edificio costruito per noi dal Salvatore. Paul Claudel, nel suo Diario, ci lascia queste due immagini potenti: “Cristo sulla Croce adempie appieno i doveri della sua missione” e “Gesù è caricato della Croce come un muratore di mattoni e malta”. Se Nostro Signore ha tanto patito, forse che noi ci dispenseremo da ogni sforzo? Ci sarà permesso prendere alla leggera la Salvezza, come se in qualche modo ne avessimo diritto e bastasse orientarvisi alla cieca?

La Quaresima ci ricorda quanto dobbiamo essere degli operai – della prima ora, dell’ultima, di tutte… poco importa – a immagine di Cristo che ha sudato sangue, ha pianto, ha versato acqua dal cuore per noi tanto ingrati e così poco inclini a seguirlo senza esitazione. Ne Il sole di Satana Georges Bernanos segnalava che «il male, come il bene, è amato e servito per sé stesso». Ciascuno deve rifiutare di rendersene schiavo, diserbando mano a mano che spuntano le erbacce. Appostati alla finestra della Quaresima con tranquillità, saremo capaci di analizzare la situazione e di preparare i mezzi acconci a rimettere a nuovo il nostro cuore sgangherato. Si sente già il profumo dei ciliegi in fiore…




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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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