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La scienza conferma: aiutare gli altri fa bene alla salute e al cuore

SOLIDARITY

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 10/02/21

Gli studi più recenti documentano che mettere in atto comportamenti altruistici non comporta una ricaduta favorevole solo su chi riceve ma anche su chi dona

Che cosa dobbiamo intendere per prosocialità? E c’è un legame fra prosocialità e benessere? Cui prodest (a chi giova)?

Tre domande a cui cercare di rispondere per aiutarci a leggere più attentamente la realtà dell’aiuto e della solidarietà così essenziali oggi, in mezzo al dramma sociale della pandemia.

Che cos’è la prosocialità?

Rispetto alla prima possiamo affermare che si tratta di comportamenti diretti ad aiutare o beneficiare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne.

Gli studi più recenti documentano che mettere in atto comportamenti altruistici non comporta una ricaduta favorevole solo su chi riceve ma anche su chi dona qualcosa di materiale che ha o qualcosa di sé.

Fornire aiuto, essere compassionevoli, cooperanti, mostrare gentilezza e generosità rende coloro che praticano queste azioni (i “giver”) più felici di quanti non lo fanno, con la ricaduta di una migliore salute mentale e fisica.

Lo studio

Un articolo del 21 dicembre 2020 di Psicologia Contemporaneaillustra i risultati di un recente studio, pubblicato sulla rivista Psychological Bulletin, condotto da ricercatori dell’Università di Hong Kong.

Gli studiosi hanno analizzato i dati di 200 indagini effettuate su questa tematica che hanno coinvolto svariate decine di migliaia di persone.

Oltre a confermare la relazione positiva tra comportamento altruistico e benessere, lo studio ha permesso di evidenziare alcuni interessanti elementi che condizionano questo rapporto.

Ad esempio è stato evidenziato che le azioni spontanee e casuali (“informali”), come aiutare l’anziano vicino di casa a portare su la spesa, comporta un effetto maggiore sul benessere soggettivo rispetto ad atti più “formali”, come lo svolgere regolarmente attività di volontariato in un contesto dedicato.

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By Jantanee Runpranomkorn | Shut

Le azioni spontanee generano maggiore felicità

La spiegazione di ciò risiederebbe in due aspetti: gli atti informali evitano il rischio della monotonia di una routine solidaristica e genererebbero più frequentemente legami sociali, così rilevanti per la percezione di essere felici.

Anche l’età dei “giver” darebbe conto della natura della ricaduta positiva: per i giovani maggiormente in termini di benessere psicologico, per gli anziani rispetto alla salute fisica.

Per quanto riguarda il genere, le donne appaiono trarre una maggiore sensazione di benessere rispetto agli uomini dai loro comportamenti altruistici.




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Essere di aiuto agli altri dà significato alla vita

È stato esplorato anche l’impatto della prosocialità sul benessere distinguendo l’effetto eudaimonico (relativo alla ricerca di significato della vita) da quello edonico (aumento della felicità e delle emozioni positive).

Il primo è risultato prevalere sul secondo, a significare che essere di aiuto agli altri, più che incrementare il livello di felicità, trasmetterebbe alle persone la sensazione di aver fatto qualcosa di significativo, tale da rendere la vita degna di essere vissuta.

Prosocialità: ci sono limiti?

Qualcuno potrebbe più o meno maliziosamente chiedersi se esiste un quantum di comportamento prosociale superato il quale il “giver” ne riceverebbe un danno, anziché un beneficio.

Agli studiosi eventualmente il compito di cercare una risposta scientifica a questo quesito, per cui chi ha una fede autentica ha già una risposta in serbo: il “70 volte 7” del Vangelo.

Soglia iperbolica, talmente alta da non poter essere mai raggiunta.

L’invito per i laici è di continuare a dare (e ricevere) a piene mani – come sottolinea Elettra Pezzica, autrice dell’articolo – senza risparmiarsi!




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