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Partorisce durante un’operazione al cervello: mamma e figlia stanno bene

NEWBORN, MOTHER, HOSPITAL

FtLaud | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 08/02/21

Cinque dipartimenti ospedalieri di Torino si sono coordinati per salvare mamma e figlia. Alla 35 settimana di gravidanza la donna aveva scoperto un tumore benigno che poteva farle perdere la vista.

Giovedì scorso, 4 febbraio, all’ospedale Molinette di Torino è stato effettuato un doppio intervento su una donna incinta alla trentacinquesima settimana. Le è stato asportato un tumore benigno dal cervello e con un parto cesareo è stata fatta nascere sua figlia. Entrambe stanno bene. Ma oltre questo dato già clamoroso, un’altra considerazione è degna di nota. In un tempo di emergenza per gli ospedali, cinque diversi reparti si sono coordinati alla perfezione per portare a termine questa doppia operazione a difesa della vita.


COURTNEY GREER

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Perdita della vista, un allarme

Alle spalle di questa storia a lieto fine c’è un momento critico che deve essere stato molto difficile da affrontare. Una mamma incinta si accorge di un brusco calo della vista. Ogni incognita si ingigantisce durante la gravidanza, perché alla madre spetta quel carico bellissimo e vertiginoso di non pensare più alla propria vita al singolare.

La donna in questione, che resta anonima, è stata ricoverata all’ospedale Ginecologico Sant’Anna di Torino per fare i necessari accertamenti:

Le indagini radiologiche avevano portato alla luce la presenza di un piccolo tumore benigno nella scatola cranica, che sanguinando comprimeva i nervi ottici. (da Ansa)

Il nome tecnico è adenoma ipofisario sanguinante e rischiava di far perdere la vista alla signora. La sua gravidanza era alla 35 settimana, dunque non ancora nel periodo definito “a termine”. Eppure a questo stadio lo sviluppo del bambino è tale da poter valutare positivamente l’ipotesi di un parto prematuro. L’equipe neurochirurgica dell’ospedale Molinette ha deciso di procedere contemporaneamente all’asporto dell’adenoma e al parto cesareo:

La decisione di procedere contestualmente ai due interventi è di Francesco Zenga, neurochirurgo responsabile della neocostituita Struttura Chirurgia del Basicranio e Ipofisaria del Dipartimento di Neuroscienze, e dalla professoressa Silvia Grottoli, specialista della Endocrinologia. La paziente è stata prima sottoposta al cesareo, e dopo la nascita della figlia l’intervento è proseguito con la rimozione del tumore sanguinante. Questo intervento è avvenuto con una tecnica mini-invasiva endoscopica attraverso il naso. (Ibid)

Beatrice è nata e poi alla sua mamma è stato tolto il tumore benigno. Entrambe stanno bene e potranno ritrovarsi presto al Sant’Anna dove adesso la neonata è sotto la cura del dott. Mauro Vivalda della Terapia Intensiva Neonatale. La madre è ancora alle Molinette per la degenza post operatoria.


NEWBORN, GIRL, HOSPITAL

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Benvenuta Beatrice

Beatrice è l’unico nome che spicca in questa storia, 2 chili e 185 grammi di vita. A chi come me è fissato con Dante sembrerà quasi un segno commovente in questo anno in cui si celebra un importante anniversario del poeta. Non è un nome di fronte a cui si resta indifferenti, Dante ce lo ha lasciato con l’ipotesi che dietro un volto preciso – dietro una presenza con un nome e un cognome – Dio ci venga incontro con il suo benvenuto.
BABY
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Siamo noi a dare il benvenuto a questa bambina, ma anche lei ci porta il suo. Quando perdiamo la vista, Qualcuno non ci perde di vista. So che i medici non lavorano basandosi su teorie letterarie o slanci emotivi. Se il cesareo è stato fatto prima dell’intervento chirurgico sulla madre, ci saranno state valutazioni tecniche opportune.
Ma a noi spettatori si mostra anche quest’immagine della storia: che la nascita è avvenuta prima dell’asportazione del tumore. E simbolicamente è un’immagine forte da «contemplare». Uso questo verbo perché di recente me ne ha rinfrescato il significato la carmelitana Maria Cristiana Dobner, che in un suo scritto definisce la contemplazione come uno sguardo libero di vedere il richiamo dell’assoluto in tutto.
La nascita si porta dietro la cura della malattia, ecco cosa mi sono fermata a contemplare. Davanti c’è una neonata piccolissima e dietro c’è la guarigione della sua mamma, come una camminata insieme in cui guida chi tiene la torcia accesa. E fuori da un puro contesto metaforico, l’ancora di questa certezza resta: l’orizzonte complessivo che abbraccia ogni circostanza di male e sofferenza è il gesto dirompente ed eterno di un Padre che ci ha fatto venire alla luce.

Una grande eccellenza italiana

Per rendere possibile questo risultato, cinque Dipartimenti e due ospedali della Città della Salute di Torino hanno agito in sinergia. Nonostante il periodo difficile della pandemia Covid, sono così riusciti a salvare la vita e la vista a una giovane mamma e la vita di sua figlia. (Ibid)

Anche in questo tempo in cui lo specchio deformante della pandemia ha coperto ogni frammento del nostro immaginario, restano altri sentieri da percorrere oltre quello, certamente urgente e prioritario, di contenere il Covid. Molti hanno sottolineato che questo doppio intervento svolto a Torino ci deve rendere fieri delle eccellenze nostrane, capaci di non solo di mettere sul campo competenze all’avanguardia ma anche una collaborazione di sostanza e non di pura facciata.

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Shutterstock / sfam_photo
Team building, quanto va di moda. C’è una legge non scritta per cui su ogni CV che si rispetti dovrebbe comparire la dicitura «predisposto al lavoro di squadra». Mica è facile, quanto a me io specificherei il contrario tra i miei difetti. Lavorare con gli altri è difficile, superare gli attriti in vista di un obiettivo comune non è scontato, i cattivi pensieri bussano alla porta più volte ogni giorno. A me viene sempre quel dubbio diabolico, se fossi da sola farei meglio e prima.
La collaborazione, dunque, è più che pura sinergia. E’ una dura lotta necessaria. Sapere che cinque dipartimenti ospedalieri si sono coordinati per salvare la vita di una madre e di sua figlia ci mostra qualcosa in più di una strategia di lavoro vincente. L’obiettivo non è a portata del singolo: questa consapevolezza è ben diversa dall’allegra esultanza di chi dice «dai, facciamolo insieme». Si è davvero insieme quando ciascuno ha fatto i conti onestamente con la propria manchevolezza e si è davvero insieme anche quando il lavoro di squadra comporta attriti spiacevoli. (Forse proprio negli attriti si è insieme, perché è lì che si decide davvero se vale la pena mandare l’ego a farsi una passeggiata).
Questo sì che fa applaudire un’impresa di gruppo: se le forze si spendono per uno scopo, e non per idolatrare la nostra compagnia reciproca.

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