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George Dennehy: suono la speranza coi miei piedi

GEORGE DENNEHY, MUSICIAN

M&G Dennehy | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 03/02/21

È nato senza braccia e lasciato in un orfanotrofio, poi adottato in America. Nella sua musica George vuole custodire un messaggio di speranza: Dio è al lavoro con le nostre vite, adottate anche i bambini disabili.

Quello-senza-braccia è il nickname sui social di George Dennehy, giovane musicista americano di 26 anni. Gli pseudonimi virtuali spesso sono scelti per offrirci una maschera, il suo è come un indice puntato. Per tanti anni George è stato additato come quello senza braccia, un handicap che si porta dietro dalla nascita. Da questa invalidità ha tirato fuori un grande talento: suona il violoncello, la chitarra e il piano e lo fa coi piedi.


ANDREA TOMASSINI

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Un certificato di morte sulla culla

George Dennehy è nato in Romania e subito è stato abbandonato in un orfanotrofio a causa della sua grave disabilità. Oltre a essere nato senza braccia era un bimbo gracilissimo, al punto che per lui era già stato scritto il certificato di morte:

A 18 mesi pesava 4 Kg, George racconta che un dottore aveva compilato un certificato di morte e lo aveva appeso alla sua culla, lasciando detto alle infermiere di aggiungere solo la data quando fosse arrivato il momento. (da Nbc16)

Quel momento non arrivò, perché l’uomo può scrivere ma c’è un altro narratore che si prende cura di tenere le fila di certe storie. George non morì, ma trascorse 3 anni terribili in quell’orfanotrofio rumeno:

Mi disprezzavano e mi lasciavano in un angolo – racconta – Ero considerato irrecuperabile, ma i genitori che mi adottarono, per loro non fui affatto irrecuperabile. (Ibid)

Facciamo un balzo in avanti. Ecco di cosa è capace oggi quel piccolo bambino affrettatamente etichettato come irrecuperabile, scarto.

Tra quel bimbo gracile all’orfanotrofio e il ragazzo dalla voce stupefacente di oggi c’è in mezzo una vita non facile. Il lieto fine non arrivò con un colpo di bacchetta grazie alla famiglia adottiva. Quello fu solo l’inizio di un percorso arduo per fare i conti con tutto se stesso, una full immersion nei tanti buchi neri che gli covavano dentro.

Oggi George si mostra in pubblico, i suoi video musicali hanno milioni di visualizzazioni su Youtube. La missione che si prefigge è quella di sensibilizzare le persone verso le adozioni più difficili:

È triste da dire, ma ci sono così tanti paesi in cui i bambini sono scartati – ribadisce – Nessuno crederebbe che ero quasi morto in un orfanotrofio e ora sono qui. E questo è il potere che hanno l’amore incondizionato e la cura verso chi è indesiderato. (Ibid)

La dura scuola della vita

Dalla Romania alla Virginia, dunque. Fu un cambiamento enorme per George, che finalmente entrò in una famiglia dove la sua presenza non fu semplicemente tollerata, ma amata. Ma c’era un mondo fuori dalle quattro mura domestiche, un mondo molto ostile al diverso.

Gli anni scolastici furono un tunnel buio per questo ragazzo, alla svelta etichettato come quello senza braccia. Un piccolo dettaglio basti a dare il quadro della situazione. George ricorda con terrore il momento della mensa, che cercava di evitare il più possibile. Aveva infatto imparato a colmare l’assenza degli arti superiori con l’uso di quelli inferiori e dunque mangiava usando i piedi: mostrarsi ai coetanei a consumare i pasti lo avrebbe esposto a un tremendo ludibrio.

Ho vissuto senza speranza per molto tempo, mentre frequentavo la scuola. Ero convinto di essere qui senza uno scopo. A lungo sono stato arrabbiato, depresso, triste. (da
)

Il confronto con lo spettro della disperazione è uno spartiacque vertiginoso in tante vite. È il ring della libertà, in cui davvero ci si gioca tutto. In quel momento Dio ci chiama  in modo irrevocabile, ma la sua presenza non si impone fino al punto di schiacciare la nostra scelta volontaria di aderire o meno a un’ipotesi di bene. Tanti alleati visibili e invisibili sono accanto a chi affronta la tentazione della disperazione, segni che possono essere colti o trascurati.

Nel caso di George, da quel momento di buio maturò questa consapevolezza:

E poi mi sono reso conto che c’era una scelta. La scelta di dire a me stesso: ci sono cose nella vita che non puoi controllare, sei nato in un certo modo. L’unica scelta che abbiamo è come rispondiamo con la nostra presenza a queste cose che ci sono date. Possiamo tirarne fuori il meglio o possiamo passare il tempo a lamentarci. (Ibid)
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Suonare la speranza coi piedi

Alcuni amici con cui George condivide il suo percorso di fede dicono di lui che la sua presenza oggi esprime questo messaggio forte e chiaro: Dio è al lavoro con la mia vita, mi sta dando molte cose oltre alla condizione con cui sono nato.


JEN BRICKER

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Per usare una metafora, si può dire che da un foglio affrettamente scritto con una sentenza di morte George è passato a uno spartito di lode. Sì, la musica è stata la casa in cui questo ragazzo si è sentito chiamato a esprimere la parte luminosa della sua anima. All’età di 8 anni ha studiato per suonare il violoncello e poi da solo ha imparato a suonare la chitarra e il pianoforte. Credo che lui stesso abbia scherzato sul fatto che suona coi piedi, ma quello che porta ai suoi ascoltatori è tutt’altro che musica da dilettante.

Fare musica per me è abitare la speranza, è il posto dove mi rifugio. La missione che mi propongo scrivendo musica e suonandola è quella di ispirare altre persone a fare un passo nella propria vita, un passo di speranza. (da Youtube)

C’è un canto cristiano a cui sono affezionata e parla di una povera voce che finalmente canta con un perché. So che la storia di George Dennehy può essere facilmente inserita nell’archivio dei casi di disabili che scoprono di avere un talento. Sta sempre a noi decidere come guardare un uomo, e decidere se coinvolgerci o semplicemente assistere allo spettacolo di un caso umano.

Siamo povere voci che possono cantare, questo è il passo che oggi faccio insieme a George. Quando è al meglio, la proposta che il mondo fa a chi è manchevole di qualcosa è l’accoglienza, anche nella miglior accezione del termine. Dio gioca d’azzardo, alza sempre la posta, e l’accoglienza non gli basta. Per Lui le nostre povere voci sono i migliori messaggeri, mandati ovunque riescano per far arretrare anche solo di qualche centimetro l’ombra del nulla.

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