Più interrogativi che interrogazioni, Alessandro D'Avenia torna in classe e riparte dalla lettura in presenza dei Promessi sposi: insegnare è trasmettere una conoscenza che sia amore per la vita?
Presenza
Quando esplose la pandemia ci affrettammo subito a tirar fuori Manzoni e Boccaccio. Erano gli autori nostrani le cui opere più celebri si reggevano sullo sfondo tragico di un contagio: i Promessi sposi e il Decamerone fanno i conti con la peste (due eventi storici diversi, ma umanamente simili). Allora, cioé circa un anno fa, quel riferimento poteva essere solo un appiglio erudito.
Oggi ne vediamo un risvolto diverso e più autentico, perché dentro il contagio ci siamo ancora. Dalle colonne del Corriere, Alessandro D’Avenia racconta una lezione finalmente fatta in presenza e svolta leggendo i Promessi sposi. Un professore, degli alunni e l’illustrissimo Manzoni. Solo una bella ora di letteratura?
Ho cominciato il mio lunedì leggendo D’Avenia sul Corriere ed è stata una colazione dall’ottimo apporto energetico. Caro prof, ma come? Non ha pensato a una lezione coi fuochi d’artificio per il ritorno alla didattica in presenza? Davvero ha interrogato i suoi alunni sui Promessi Sposi? In effetti, il compito affidato alla classe dal prof. D’Avenia era apparentemente consueto: leggere alcuni capitoli del romanzo e raccontarne in dieci minuti i punti forti alla classe.
Ascoltare dei quindicenni, spesso fermi sul mi piace/non mi piace (sinonimo di mi diverte/mi annoia), argomentare per dieci minuti (sfido un adulto a farlo) sul perché di un aggettivo, di una descrizione, di un gesto, o sulle caratteristiche di personaggi che sono ancora dentro e vicino a noi, ha aggiunto fuoco alla mia gioia di rivederli «in presenza».
Non avevamo reso il romanzo utile a fare interrogazioni ma interrogativi, grazie a Manzoni eravamo ancora «più in presenza»: accorti, pazienti, riflessivi. (da Corriere)
Che l’uomo di oggi non sappia più leggere, lo hanno già notato in molti. Che sia un danno molto concreto e grave, non ce rendiamo conto. Siamo abituati alle parole abbreviate delle chat, scorriamo velocemente con gli occhi notizie sugli schermi. Tratteniamo nella testa qualche dato, non lo memorizziamo. Quello che vale con le parole, vale anche per l’esperienza: surfiamo su tutto ciò che ci passa accanto. Abbiamo il modus operandi del ladro che entra in una stanza e raccoglie alla svelta oggetti, poi ne butta via la maggior parte e tiene ciò che può sfruttare. C’è questa malsana idea che ci pervade, l’ipotesi che la domanda giusta per vagliare la realtà sia: a cosa mi serve questo?
Rispetto a ciò, aprire un libro è spostarsi in un’altra galassia dove la vita comincia dall’esclamazione: la realtà è enorme, quanto mi è dato! Leggere ad alta voce, più volte, lentamente, anche solo una manciata di pagine di Manzoni è senz’altro come un giro sulle montagne russe. A un certo punto la giostra ti mette a testa in giù: credevi di leggere per saper rispondere alle domande di un’interrogazione, ti ritrovi a porre delle domande a te stesso.
Gli aggettivi di Manzoni
Breve aneddoto personale: uno degli ultimi esami che diedi all’Università fu sui Promessi Sposi. La prova orale consisteva in un esame che mi aveva terrorizzato per mesi: la docente apriva a caso una pagina dell’ultima versione del romanzo, detta Quarantana, e allo studente era chiesto di saper dire quali aggettivi erano stati cambiati da Manzoni rispetto alla versione precedente, la Ventisettana.
Certo, ero terrorizzata, ma ero stata preparata a sostenere quella prova. Settimana dopo settimana a lezione, quella docente – a cui va ancora tutto il mio affetto incondizionato – ci aveva insegnato a stare sul pezzo. La cura certosina per gli aggettivi non era una preoccupazione formale, ma una battaglia serrata sulla realtà. Come il contadino che vanga, Manzoni era stato attento a ogni zolla del suo romanzo. Non era il gusto estetico a muoverlo, ma l’urgenza di essere fedele al mondo che incontrava oltre l’uscio di casa.
Posso dire di un passante che è carino, ma quando sono innamorata non sceglierei mai un aggettivo banale per descrivere chi amo. Ecco, e se provassi quell’entusiasmo innamorato per ogni presenza che incontro? Manzoni m’insegnò questo.
Uscivo da quelle lezioni con fogli traboccanti di appunti e una gran voglia di guardare i passanti, le case, i miei amici con gli stessi occhi con cui Manzoni non si era permesso di trattare alla leggera il volo di una foglia di gelso caduta a terra.