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Com’era la vita religiosa dei cattolici ad Auschwitz?

AUSCHWITZ

@AuschwitzMuseum

Esteban Pittaro - pubblicato il 28/01/21

Il sacrificio dei cattolici di Auschwitz dalle reti sociali: il ricordo di centinaia di migliaia di vittime e sopravvissuti al suo orrore

Le reti sociali del Museo di Auschwitz riescono a offrire un ricordo permanente pieno di senso e di vita anche da quello che è stato l’epicentro di una delle più grandi tragedie dell’umanità.

Non si tratta di canali di un Museo dedicati solo all’itinerario attuale con cui si vuole perpetuare la memoria del campo di concentramento, ma del ricordo di centinaia di migliaia di vittime e sopravvissuti al suo orrore. Il tutto attraverso un archivio fotografico e documentale eccezionale, liberamente condiviso. Le reti sociali del Museo de Auschwitz sono in sé un museo gratuito permanente e aperto h 24.

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Ogni volto ha un nome e un cognome

Ogni volto presentato su Twitter o Facebook dal Museo ha un nome, un cognome e una biografia, nonché un registro che va ben al di là della fotografia protocollare scattata dai nazisti all’ingresso nel campo.

Marion Elrich, ad esempio, avrebbe compiuto gli anni il 27 gennaio. Nata a Berlino nel 1928, venne trasferita nel novembre 1942 ad Auschwitz. Appartiene al milione di ebrei assassinati nel campo, e il Museo la ricorda con una fotografia della sua allegra giovinezza.

Padre Wincenty Rozmus

In molti casi sono a disposizione solo le foto dell’ingresso nel campo, ma viene ugualmente presentato con la maggior precisione possibile il volto delle vittime, come nel caso di padre Wincenty Rozmus, sacerdote cattolico arrivato ad Auschwitz il 16 gennaio 1943 e morto il 25 febbraio dello stesso anno.

La presentazione delle vittime cattoliche da parte del Museo non esclude alcuni personaggi già beatificati o canonizzati dalla Chiesa, come il beato Roman Sitko o San Massimiliano Kolbe. Di ciascuno viene ricordato il numero di prigionia, e quando è possibile si presenta un dettaglio biografico. Nel caso del sacerdote salesiano Józef Kowalski, ad esempio, si ricorda che venne affogato in un barile di escrementi per essersi rifiutato di calpestare il suo rosario.

Il Museo ha anche una parte del sito che analizza i dettagli relativi al clero cristiano e alla vita religiosa ad Auschwitz, e indica un sacerdote come uno dei primi 100 entrati ad Auschwitz, visto che padre Stanisław Węgrzynowski figura come prigioniero numero 90.

Ad Auschwitz c’erano Cappuccini, Francescani, Gesuiti e anche numerose religiose. Tra le prime donne ad essere trasferite al campo c’era la suora trinitaria Maria Cäcilia Autsch, di cui è in corso la causa di beatificazione. Era la prigioniera numero 512. Sorprende l’allegria del suo volto al momento di essere fotografata dai nazisti. Venne arrestata per aver espresso un commento critico su Hitler.

Messe segrete e Confessioni alle spalle dei nazisti

Le reti sociali del Museo rendono anche conto di quella che era la vita religiosa dei cattolici detenuti nel campo, e documentano alcune Messe segrete celebrate dai sacerdoti e Confessioni che venivano ascoltate alle spalle dei nazisti. Il Museo ricorda anche una borsa in cui venivano poste delle ostie consacrate perché i reclusi cattolici potessero ricevere il Corpo di Cristo. In base alla testimonianza di un sopravvissuto del Blocco 11, entravano in modo clandestino nella baracca in quel modo.

Vengono poi condivise testimonianze di laici impegnati, come Konstanty Kempa, un soldato della resistenza che in una lettera scritta ai suoi genitori poco prima di essere assassinato confessava di essere riuscito a riconciliarsi con Dio nel campo, e di aver anche ricevuto la Comunione nell’anno nuovo.

Le reti sociali del Museo di Auschwitz sono un appello permanente a non dimenticare, come ha avvertito il Pontefice, che cose del genere possono accadere di nuovo, e che la vita, indipendentemente da razza, sesso e religione, è un dono meraviglioso da proteggere e custodire.

Come nel campo, nelle reti sociali si fondono testimonianze e fotografie di ebrei e cattolici. È un’opportunità per ricordare, come chiede Papa Francesco: “Ricordare è espressione di umanità, è segno di civiltà, ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e fraternità”.

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