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Veramente la Chiesa era stata contraria ai vaccini?

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Marco Rapetti Arrigoni - Breviarium - pubblicato il 21/01/21
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Le dichiarazioni con le quali, in una recente intervista televisiva, Papa Francesco, con paterna sapienza e pastorale sollecitudine, ha esortato i cattolici e le persone di retta coscienza a sottoporsi alla vaccinazione contro il SARS-CoV-2, comunicando di essere lui stesso in attesa dell’imminente somministrazione del vaccino (avvenuta, poi, in coincidenza con l’avvio del programma di vaccinazione predisposto per lo Stato della Città del Vaticano il 13 gennaio u.s.), sono state accolte dalla filiale e riconoscente gratitudine dei fedeli provati da ormai un anno di pandemia.

Il Pontefice, richiamando la necessità di vaccinarsi non in ottemperanza ad un obbligo giuridico positivizzato ma in adempimento di un precipuo dovere etico che impegna la responsabilità personale alla tutela della salute propria ed altrui in vista del perseguimento del bene comune, specialmente in riferimento alla persone segnate da una condizione di maggiore fragilità e vulnerabilità, e parimenti esortando le nazioni ad assicurare l’accessibilità universale ai vaccini, si è ancora una volta dimostrato incrollabile ed esemplare testimone della cultura della vita contro la persistente tentazione di anteporre alla salvaguardia ed alla cura del prossimo convinzioni infondate ed irragionevoli vaneggiamenti complottistici che trovano la propria inquinata sorgente nella sterile autoreferenzialità e nell’irresponsabile quanto auto-assolutorio individualismo di cui paiono essere caduti preda i fautori dell’insensato e pernicioso “negazionismo suicida” stigmatizzato dal Santo Padre durante il medesimo colloquio, sovente aderenti agli stessi circoli deprecabilmente dediti a sobillare, attraverso campagne mediatiche intrise di dozzinale cospirazionismo e disinformazione, un biasimevole atteggiamento di ostile dissenso e di sediziosa disobbedienza nei confronti del Vicario di Cristo e dell’episcopato.

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In merito alla responsabilità morale di sottoporsi alla vaccinazione era già intervenuta, il 29 dicembre 2020, una Nota congiunta della Commissione Vaticana Covid-19 e della Pontificia Accademia per la Vita in cui si ribadiva come

Preme precisare che l’intervento del Papa, esprimendo un giudizio etico che, come tale, concerne la morale, al pari dei precedenti sulla medesima materia costituisce esercizio del Magistero ordinario ed impegna i fedeli alla ricezione della dottrina enunciata ed all’obbedienza da tributare all’autorità dalla quale tale pronunciamento promana, rientrando nella fattispecie disciplinata dal can. 752 CIC secondo il quale

Il “religiosum […] intellectus et voluntatis obsequium” da prestare al Magistero ordinario non può essere meramente inteso come un generico rispetto che si estrinseca in un consenso unicamente esteriore od in una deferenza solo formale ma si configura, per i suoi destinatari, come un dovere di sincera ed autentica adesione interiore all’enunciazione così come di reverente sottomissione all’autorità magisteriale che l’ha proposta, proprio poiché pur essendo

Del resto, proprio al fine di conferire effettività alla previsione normativa, il legislatore è intervenuto anche in sede penale attraverso la previsione sanzionatoria ex can. 1371 CIC a carico di chi, anche dopo l’ammonizione della Sede Apostolica o dell’Ordinario del luogo, «respinge pertinacemente la dottrina di cui al can. 752».

Al di là dei brevi cenni di natura canonistica succintamente esposti, il convinto sostegno di Papa Francesco alla distribuzione ed alla somministrazione dei vaccini, al pari della predisposizione di un piano vaccinale per lo Stato di cui è sovrano, si iscrive nello solco dell’azione intrapresa dai suoi predecessori, i quali, all’alba del XIX secolo, si trovarono a fronteggiare gravi epidemie di vaiolo negli anni in cui si andava affermando il pionieristico metodo sperimentato con successo da Edward Jenner attraverso l’inoculazione del vaiolo bovino in un paziente sano al fine di raggiungere l’immunizzazione contro il ben più letale vaiolo umano.

Se già alla metà del XVIII secolo Benedetto XIV si era espresso favorevolmente al ricorso ed alla diffusione della cosiddetta vaiolizzazione, antichissima tecnica che, prevedendo l’innesto nel soggetto da immunizzare del materiale infetto prelevato dalle lesioni di persone affette da vaiolo umano, risultava molto più pericolosa della vaccinazione jenneriana ed a maggior rischio di reazioni avverse, fu Pio VII, dopo una nuova epidemia vaiolosa occorsa nel 1820, a disporre l’emanazione di un editto articolato e minuzioso, a firma del Segretario di Stato card. Ercole Consalvi, che incoraggiava fortemente la profilassi vaccinale nei territori dello Stato della Chiesa attraverso la pianificazione di campagne generali di vaccinazione e la predisposizione a tale scopo di una complesso apparato organizzativo, avendo il Papa

Il provvedimento legislativo (una sorta di agile testo unico in materia vaccinale), promulgato il 20 giugno 1822, si apriva con alcune note introduttive di straordinaria lucidità ed attualità, senz’altro meritevoli di potersi considerare un manifesto di buon governo ispirato alla massima ciceroniana «salus rei publicæ suprema lex esto» (che si invera nel fine della salus animarum quale principio ispiratore dell’ordinamento canonico e legge suprema della Chiesa) e parimenti un richiamo alla responsabilità di ogni cattolico nel tutelare la salute personale, familiare e pubblica.

Nelle righe vergate dal card. Consalvi risulta decisa ed inequivocabile la condanna della “impotente critica” e degli erronei ed ostinati pregiudizi che, nonostante l’acclarata infondatezza, persistevano nel rifiutare contro ogni ragionevolezza l’evidenza dell’efficacia e della sicurezza della tecnica jenneriana inducendo il popolino ad anteporre e privilegiare l’immotivata e sospettosa avversione verso il vaccino all’«amore stesso della prole», con genitori disposti ad esporre i loro figli al rischio di perire piuttosto che a lasciarsi persuadere ad «abbracciare con il più vivo trasporto e praticare con pari riconoscenza l’inoculazione vaccina». Il Papa, per mezzo del suo Segretario di Stato, giungeva a riconoscere il vaccino come un dono che la «divina Provvidenza» aveva messo a disposizione di tutti i popoli e specialmente «dell’Amore Paterno a salvamento della prole», esprimendo una lungimirante e ponderata fiducia nell’arte medica a condizione che fosse posta al servizio della vita al fine di «eliminare i mali che minacciano la debole Umanità», quasi riecheggiando l’esportazione del Siracide a credere che

Su disposizione di Pio VII venivano istituiti una Commissione centrale di Vaccinazione «per la propagazione dell’inoculazione vaccina in tutta l’estensione degli Stati Pontifici» (artt. 1-2, ivi, p.104), chiamata a vigilare sull’operato dei medici vaccinatori «per la buona esecuzione dell’inoculazione vaccina» (art.6, ibid.) secondo le istruzioni della Sacra Consulta, e «sulla conservazione costante di un deposito del virus vaccino sì in Roma, che in tutte le Commissioni provinciali dello Stato» (art. 7, ivi, p. 105), ed un Consiglio di Vaccinazione con funzioni consultive, i cui membri, scelti tra i docenti delle facoltà di medicina delle Università di Roma e di Bologna, erano incaricati «di dare quei consigli che da essi si credono i migliori per il più prospero successo dell’inoculazione vaccina» (artt. 3 e 10, ibid.); si stabiliva, inoltre, la costituzione di Commissioni provinciali di vaccinazione in ogni Legazione, dipendenti dalla Commissione centrale e con poteri di indirizzo e vigilanza analoghi a quest’ultima all’interno del territorio di competenza allo scopo di garantire una disponibilità di vaccini sufficiente «a farne gratuitamente la distribuzione a tutti quei medici e chirurghi, che ne abbisognassero» (artt. 4 e 12, ivi, pp. 104 e 105). Si incaricavano il Gonfaloniere, il medico condotto ed il chirurgo di ciascun comune di provvedere con

L’attenzione del Pontefice si rivolgeva in special modo all’urgenza di proteggere la salute e la vita dei bambini e degli infanti dal letale morbo. I direttori ed i responsabili degli orfanotrofi dello Stato dovevano pertanto inviare settimanalmente alla Commissione centrale una lista dei minori ivi ospitati affinché in ogni istituto i medici provvedessero ad eseguire

stabilendo che «nessun bambino delle Case degli esposti potrà essere consegnato alle nutrici e portato fuori dal proprio ospizio se preventivamente non sarà stato vaccinato» (art. 15, ivi., p.106) e subordinando l’uscita dei bambini dall’istituto al possesso di un «certificato di vaccinazione» (ibid.). Si disponeva che presso l’orfanotrofio comunale, in apposite aree separate da quelle dove risiedevano gli orfani al fine di prevenire ogni pericolo di contagio, si provvedesse a vaccinare anche tutti i minori del comune ed i fanciulli inviati dai paesi vicini (art. 14, ibid.).

Si introduceva, inoltre, la responsabilità dei medici verso il governo per il corretto svolgimento e la regolare e gratuita esecuzione della profilassi vaccinale sugli abitanti della condotta di competenza (art. 16, ibid.), affinché praticassero in ogni comune

mentre sul piano sanzionatorio si prevedeva l’immediata dimissione dalle condotte ricoperte per «i Medici ed i Chirurghi condotti che non volessero intraprendere o trascurassero la vaccinazione» (un eguale provvedimento di rimozione era prescritto per i medici degli orfanotrofi e delle case degli esposti refrattari) fino alla denuncia in caso di violazione delle disposizioni delle Commissioni (art. 18, ivi, p. 107); sarebbero stati parimenti interdetti dall’esercizio della professione quei medici e chirurghi che avessero dimostrato di non conoscere

L’Editto, pertanto, non contemplava margini di tolleranza per i medici indisponibili a vaccinare i loro pazienti, per contrarietà ideologica o per imperizia, e subordinava l’assegnazione delle condotte e di fatto lo stesso esercizio della professione medica al possesso di un certificato attestante la padronanza da parte del medico della tecnica di vaccinazione jenneriana:

In tutti i comuni dello Stato si prescriveva la vaccinazione generale alla quale

Come attività prodromica alla vaccinazione generale medici e chirurghi erano incaricati di stilare per ciascun comune la lista delle persone da vaccinare:

redigendo un verbale da inviare alla Commissione provinciale, e da essa inoltrato alla Commissione centrale, in presenza di genitori che si dichiarassero contrari a far vaccinare i loro figli, indicando

Redatto l’elenco, trimestralmente aggiornato con la nota dei nuovi nati «perché non abbia ad essere interrotta la vaccinazione nel corso dell’anno» (art. 23, ibid.), i medici dovevano procedere all’inoculazione del vaccino

I vaccinatori erano, poi, incaricati di compilare un registro nel quale annotare i dati personali delle persone vaccinate ed il giorno in cui l’operazione era stata effettuata (art. 27) rilasciando i relativi certificati di avvenuta vaccinazione, sui quali doveva venire menzionata la pagina del registro recante il nome del titolare del certificato (art. 28) per prevenirne l’eventuale contraffazione.

All’inizio di ogni semestre, terminata la vaccinazione generale, chirurghi e medici condotti dovevano stilare un rapporto da trasmettere alla Commissione provinciale nel quale trascrivere i nomi di tutte le persone vaccinate nei precedenti sei mesi e segnalare «le cause che ostassero al prospero successo della vaccinazione», allegando l’elenco degli abitanti non vaccinati. La Commissione provinciale doveva a sua volta redigere una nota sul generale andamento della vaccinazione nella propria provincia da inoltrare alla Commissione centrale, facendo menzione delle persone distintesi «col loro zelo onde contribuire al buon esito dell’innesto vaccino» (art. 29, ivi, p. 110). Infine la Commissione centrale era tenuta ad inviare due volte all’anno alla Sacra Consulta una relazione riportante il numero delle persone vaccinate in tutto lo Stato Pontificio,

Per favorire ed incentivare l’adozione di una condotta massimamente diligente e scrupolosa da parte di medici e pubblici amministratori l’Editto prevedeva il conferimento annuale di sessanta medaglie d’argento e cinque medaglie d’oro

e parimenti garantiva ai medici vaccinatori più solerti un trattamento preferenziale da parte dell’amministrazione per le nomine nel settore sanitario in virtù dei

con ulteriore prelazione nell’assegnazione di nuove condotte, a parità di requisiti, per quei sanitari che, oltre a produrre l’indispensabile certificato di “competenza vaccinale” previsto dall’art. 20, avessero ottenuto dal Gonfaloniere del loro comune e dalla Commissione provinciale l’ulteriore certificato attestante l’avere «procurato con particolare zelo la propagazione dell’innesto vaccino» (art. 20, ivi, p. 108).

Sempre allo scopo di incoraggiare la popolazione a sottoporsi alla vaccinazione, abbandonando ogni ingiustificato timore e pregiudizio, il legislatore poneva come condizione essenziale per l’accoglimento delle petizioni avanzate per ottenere benefici, sussidi e premialità che esse fossero accompagnate dal «certificato dal quale risulti che il chiedente essendo padre di famiglia ha fatto praticare la vaccinazione». Era, al contrario, oggetto di esplicita censura e motivo di sfavore da parte della pubblica amministrazione la «riprensibile condotta» di coloro che avessero rifiutato di vaccinarsi: l’art. 32, infatti, stabiliva che tali soggetti, avendo trascurato

Le ultime norme dell’Editto fissavano le misure da adottarsi in caso di insorgenza di focolai di vaiolo per prevenire la propagazione del morbo, introducendo l’obbligo di denuncia dei sospetti di contagio alle autorità sanitarie a carico del capo famiglia o del medico curante che li avesse visitati, disponendo l’isolamento ed il confinamento in casa dei familiari e di tutte le persone venute a contatto con il contagiato e prescrivendo l’avvio della vaccinazione generale da eseguirsi nel comune in cui si fossero manifestate le infezioni.

Pio VII ed il card. Consalvi avevano dunque architettato un’avanzata ed articolata struttura amministrativa e sanitaria incentrata sulla vigorosa promozione della profilassi vaccinale universale e gratuita, da praticarsi fin dall’infanzia, la cui efficienza, in termini di adempimento ed implementazione, dipendeva però dalla solerte collaborazione del personale medico dello Stato e dal suo favorevole e fattivo accoglimento dal parte della popolazione. Purtroppo il Pontefice che aveva coraggiosamente e sapientemente affrontato la tempesta provocata dalla peste rivoluzionaria arrivando a subire per anni la privazione della libertà per difendere i diritti della Chiesa contro le prevaricazioni ed i soprusi napoleonici culminati nell’occupazione di Roma e nell’annessione dello Stato Pontificio all’Impero francese, nello scorcio finale del suo ministero si trovò a fronteggiare non solo il flagello del vaiolo ma anche le resistenze all’attuazione del suo lungimirante progetto di tutela della salute pubblica per l’immotivata ostilità al vaccino (nonostante la gratuità della sua somministrazione) da parte dei ceti popolari maggiormente segnati da ignoranza e «radicato pregiudizio», come lo aveva definito il Segretario di Stato.

Tale opposizione del senso comune al buon senso (per parafrasare Manzoni) finì per lasciare sostanzialmente inattuata l’ambiziosa legislazione sanitaria di Pio VII fino a quando a metà settembre del 1824, a circa un biennio dalla sua promulgazione, Leone XII si risolse revocare l’Editto del predecessore con una circolare legatizia che si limitava a rendere volontaria e facoltativa la vaccinazione ed a preservarne la gratuità.

Lungi da certa narrazione caricaturale di ispirazione anticlericale volta a raffigurare Leone XII come un implacabile nemico del vaccino jenneriano, la decisione del Papa, nel disporre il ritorno alla “libertà vaccinale”, sembrerebbe essere stata dettata da una bonaria ancorché eccessiva indulgenza verso le rimostranze popolari. Dal dato testuale della norma risulta, infatti, evidente che non solo Leone XII non intese in alcun modo introdurre un divieto di vaccinazione ma, al contrario, riaffermò il dovere dei medici di vaccinare gratuitamente coloro che lo richiedessero per adempiere l’obbligo di cura derivante dall’esercizio della loro professione.

Lo stesso favore personale del Papa verso la vaccinazione, peraltro, emerge nitidamente dal riconoscimento, esplicitato nella circolare, del vaccino quale «cura e preservativo» della malattia che si ha «l’obbligo di riparare», considerazione che arduamente si sarebbe conciliata con la contrarietà alla misura. A suffragare tale ipotesi assume rilevanza anche la scelta del Pontefice di conferire proprio nel 1824 l’Ordine dello Speron d’oro, riservato a coloro abbiano contribuito alla gloria della Chiesa, al dottor Luigi Sacco, massimo studioso e propugnatore italiano della vaccinazione jenneriana (e per questo bersaglio dell’ostilità dei no-vax del tempo) ma anche membro della massoneria, proprio in ragione dell’instancabile impegno personale profuso nella diffusione e nella promozione della pratica vaccinale gratuita e per l’omaggio di 108 copie del suo “Trattato di vaccinazione, con osservazioni sul giavardo e sul vajuolo pecorino” che il celebre clinico aveva inviato al Pontefice e che furono distribuite presso gli uffici del dicastero di sanità.

Ma proprio perché, come osservava il contemporaneo prof. Tommasini,

la libertà di vaccinazione venne erroneamente interpretata dalla popolazione come legittimazione o quantomeno tolleranza dello Stato nei confronti di comportamenti imprudenti e negligenti che finivano per trascurare la responsabilità morale di sottoporsi alla vaccinazione, contribuendo in tal modo all’insorgere di nuove e gravi epidemie di vaiolo nel successivo decennio.

Fu Gregorio XVI, attraverso la riforma dell’amministrazione sanitaria, a dare un nuovo forte impulso alle campagne di vaccinazione, recependo larga parte della legislazione pio-consalviana precedentemente abrogata ed istituendo nel 1834 la Congregazione speciale di Sanità

Nel 1841, a seguito di nuove ondate epidemiche, il Papa affidò al card. Mario Mattei, segretario degli affari di Stato interni, prefetto della Sacra Consulta e presidente della Congregazione speciale di sanità, il compito di emanare una notificazione rubricata “Disposizioni ordinate a prevenire e minorare i funesti effetti del vaiolo arabo”, atta a sistematizzare la disciplina normativa vigente in materia vaccinale nello Stato Pontificio2.

Essa accoglieva molte delle misure dell’Editto del 1822 aggiornandole ed integrandole con le prescrizioni successivamente intervenute, affidando «l’alta vigilanza sull’andamento della vaccinazione nello Stato pontificio» (art. 1, ivi, p. 129) alla Congregazione speciale di Sanità, vertice della struttura amministrativa che aveva nelle commissioni provinciali, a livello intermedio, e nelle deputazioni comunali, alla base dell’impianto organizzativo, le proprie ramificazioni territoriali gerarchicamente ordinate.

Il provvedimento, palesando la preoccupazione di garantire l’accesso all’assistenza sanitaria alle persone più vulnerabili a causa delle loro condizioni di precarietà esistenziale, imponeva ai medici e chirurghi di enti caritativi, orfanotrofi, ospizi e ricoveri per bisognosi

e disponeva «la vaccinazione pubblica e gratuita» per i poveri non ospitati in tali strutture in due sessioni annuali, primaverile, nei mesi di aprile e maggio, ed autunnale, nei mesi di settembre ed ottobre (art. 3, ibid.).

In vista dell’obiettivo di raggiungere la copertura vaccinale su tutto il territorio statale la notificazione si premurava di assicurare un costante approvvigionamento di scorte di vaccini tali da garantirne ai medici una sempre sicura e sufficiente reperibilità, incaricando la Congregazione speciale e le commissioni provinciali di provvedere ai necessari rifornimenti secondo le rispettive attribuzioni (artt. 4 e 6, ivi, p. 130). Alle commissioni provinciali era inoltre attribuita la competenza relativa alla «vigilanza e direzione della vaccinazione delle rispettive delegazioni» (art. 6, ibid.).

La normativa tornava a conferire a medici e chirurghi il compito di annotare in un apposito registro l’elenco delle persone vaccinate, da presentare annualmente alla Congregazione speciale (art. 5). Nel mese di gennaio le deputazioni comunali erano tenute ad inoltrare gli elenchi delle vaccinazioni eseguite nell’anno precedente alle commissioni provinciali, le quali, a loro volta, dovevano segnalare alla Congregazione speciale «quelli che si distinguono intra gli altri pel numero e buon’esito degl’innesti relativamente alla popolazione» (art.7, ivi, p. 131).

Assolutamente centrale e prioritario per il legislatore, al punto da essere inserito esattamente al cuore della notificazione, permaneva l’obbligo di medici e chirurghi condotti di vaccinare gratuitamente i poveri (art. 8, ibid.), quali destinatari dell’opzione preferenziale della Chiesa.

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Significativa anche l’attenzione mostrata verso i detenuti, per i quali era disposta la vaccinazione obbligatoria al fine di proteggerli dal contagio (art. 12, ivi, p. 132); sembrerebbe quasi trasparire un’embrionale evoluzione della concezione della pena, da una funzione meramente retributiva-afflittiva ad una rieducativa e risocializzativa, come parrebbe suggerire il riferimento normativo ai detenuti «in età giovanile» che, come tali, si intendeva preservare da una malattia caratterizzata non solo da alti tassi di letalità ma anche dalla capacità di deturpare permanentemente i volti ed i corpi dei guariti con profonde cicatrici, con l’inevitabile stigma sociale che ne conseguiva (e che si sarebbe cumulato a quello derivante dalla condanna alla reclusione per i reati commessi).

Volendo incoraggiare e sollecitare, sul modello dell’Editto di Pio VII, la dedizione e la solerzia medica nell’estirpazione del vaiolo «col mezzo della vaccinazione», si riservava, quale incentivo ad un impegno diligente ed operoso, la priorità nei concorsi pubblici così come nell’assegnazione delle condotte, delle cattedre e degli impieghi nel settore sanitario ai medici che avessero dato prova di adempiere l’obbligo vaccinale con il maggiore zelo (art. 13, comma 1, ibid.) e si attribuiva alla Congregazione speciale la facoltà di premiare i medici che si fossero distinti nella vaccinazione dei poveri con il conferimento di medaglie d’oro e d’argento «che pe’ più diligenti vaccinatori il superior Governo le farà espressamente tenere» (art. 13, comma 2, ibid.).

Come già accennato, veniva reintrodotto il certificato di vaccinazione la cui titolarità diveniva requisito essenziale per ottenere, a parità di condizioni e circostanze, un trattamento preferenziale in materia di «nomine, di gratificazioni, di largizioni e sussidii i quali sogliono darsi o dal pubblico erario, o dai luoghi pii» cosicché si «preferirà sempre a tutt’altri chi sarà munito del certificato suddetto» (art. 14, ivi, pp. 132-133). Il legislatore stesso esplicitava la ratio legis sottesa, sancendo che

La disposizione finale della notificazione, ispirata alla corrispondete norma dell’Editto del 1822, stabiliva

A conferma della centralità dell’istanza etica, in termini di responsabilità personale nei confronti del prossimo, che fonda il dovere di vaccinarsi oggi come nel XIX secolo, la norma si chiudeva con la considerazione:

Per favorire la massima diffusione ed osservanza delle novelle legislative espressione «della sovrana beneficenza, e dell’interesse che prende Sua Beatitudine alla pubblica incolumità» (ivi, p. 133) il card. Mattei dava mandato ai parroci di dare pubblica lettura alla notificazione in modo che anche i ceti non alfabetizzati e scolarizzati potessero conoscerne i contenuti ed adempierne fedelmente i precetti.

I provvedimenti emanati dal Papa camaldolese dovettero dimostrarsi efficaci dato che il suo successore, il beato Pio IX, asceso al Soglio pontificio nel 1846, confermò la legislazione gregoriana in virtù della quale

A seguito di una recrudescenza dell’epidemia vaiolosa, nel 1848 la Magistratura della città di Roma, alla quale l’anno precedente il Papa, nell’ambito del Motu proprio “Sull’organizzazione del Consiglio e Senato di Roma e sue attribuzioni” diretto a riformare l’amministrazione comunale, aveva attribuito la competenza «alla inoculazione del vajolo vaccino» (art. 51, n. 6), promosse una campagna di vaccinazione rivolta agli abitanti dell’Urbe, con particolare attenzione ai poveri che non fossero stati ancora vaccinati, ed organizzata attraverso la suddivisione dei cittadini sulla base delle parrocchie di appartenenza. In particolare la notificazione, datata 13 aprile, non si limitava a confermare la gratuità della vaccinazione ma prevedeva un premio di due paoli per coloro che fossero tornati a farsi visitare otto giorni dopo la somministrazione del vaccino per verificare il successo dell’inoculazione. Un analogo piano vaccinale comunale ed una medesima formula premiale furono riproposti l’anno successivo quando nell’autunno del 1849, a seguito della caduta della Repubblica Romana ed in attesa del ritorno di Pio IX dall’esilio a Gaeta, su disposizione del neo-istituito Consiglio municipale provvisorio venne avviata la vaccinazione dei cittadini romani che non vi si fossero ancora sottoposti, con un premio di venti baiocchi destinato

Lo studio delle fonti storiche e giuridiche inerenti alla politiche sanitarie in materia di somministrazione dei vaccini adottate nello Stato Pontificio nella prima metà del XIX secolo, volendosi limitare ad analizzare l’azione intrapresa in tale ambito dai Pontefici come sovrani il primato di giurisdizione dei quali si estendeva su un’entità statuale dai confini estremamente più estesi di quelli dell’attuale Stato della Città del Vaticano (oltre, naturalmente, a configurarsi come potestà suprema, piena, immediata ed universale sulla Chiesa), attesta come il beneplacito dei Successori di Pietro, da Pio VII a Papa Francesco, alla profilassi vaccinale, fin dai suoi albori, quale misura irrinunciabile per sconfiggere il flagello delle pandemie affondi le proprie radici nella centralità che la protezione della vita umana assume nel Magistero della Chiesa.

È chiaro, infatti, che la ratio e la prospettiva delle normative sanitarie di impulso e promozione delle vaccinazioni emanate dalla Sede Apostolica non fossero limitate alla loro mera esecuzione entro il territorio dello Stato Pontificio ma, in virtù della vocazione costitutivamente universale della Chiesa Cattolica, aspirassero a fare di esse modelli legislativi aperti alla ricezione da parte delle altre nazioni, indicando al contempo ai cattolici la direzione da seguire nel perseguimento della tutela della salute personale e pubblica attraverso la convinta adesione alla pratica vaccinale.

Duole ma non sorprende constatare che, nei tempi attuali come all’epoca dei suoi predecessori, il senso di responsabilità e la lungimiranza del Papa e dell’episcopato nel ponderato e consapevole sostegno alla vaccinazione incontrino l’aperta e deplorevole disobbedienza di taluni, sedicenti cattolici, i quali, sensibili al resistibile fascino di screditati teoremi cospirazionistici e di credenze infondate, fomentano facinorose contestazioni contro gli insegnamenti e gli ammonimenti dell’autorità ecclesiale tra coloro che,

finiscono per divenire facili prede di spregiudicati

Distante dagli echi lontani di sterili vaniloqui, il Magistero della Chiesa continua ad essere proteso alla promozione dell’autentico bene dell’uomo rivelato nel Vangelo ed al servizio dello sviluppo integrale della persona umana nella sua insopprimibile dignità. Emerge così l’intima ed intrinseca continuità tra le legislazioni sanitarie di Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI e Pio IX (pontefici non certo tacciabili di arrendevolezza od acquiescenza verso la mondanità) e gli interventi ed i documenti di Papa Francesco, uniti, a distanza di quasi due secoli, dal comune obbiettivo di assicurare la più ampia disponibilità e l’universale ed equa accessibilità ai vaccini, promuovendone la gratuita distribuzione e somministrazione specialmente a favore dei poveri, dei fragili, dei piccoli e degli ultimi nei quali è possibile riconosce il volto del Signore.

https://youtu.be/9alMV5CLOxA

Nel manifestare la sua partecipe sollecitudine per la difesa della salute e della sacralità della vita umana attraverso la responsabile adesione all’impiego del vaccino quale mezzo indispensabile per la liberazione dalla pandemia, Papa Francesco, sulle orme dei suoi predecessori, esercita con sapiente prudenza e paterna premura il suo ministero di supremo pastore della Chiesa e di maestro di tutti i cristiani guidando e custodendo come buon pastore il gregge che il Signore Gesù, medico dell’amore divino integrale, gli ha affidato quale Suo vicario e fondamento visibile dell’unità della Chiesa.


1: Sullo stesso punto si era precedentemente pronunciata anche la Congregazione per la Dottrina della Fede affermando che «in ogni caso, dal punto di vista etico, la moralità della vaccinazione dipende non soltanto dal dovere di tutela della propria salute, ma anche da quello del perseguimento del bene comune. Bene che, in assenza di altri mezzi per arrestare o anche solo per prevenire l’epidemia, può raccomandare la vaccinazione, specialmente a tutela dei più deboli ed esposti» (Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19, 21.12.2020). 2: Notificazione 15 dicembre 1841 in Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato pontificio emanate nell’anno 1841, Roma, 1842, pp. 128-133.

2: Notificazione 15 dicembre 1841 in Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato pontificio emanate nell’anno 1841, Roma, 1842, pp. 128-133