Il dolore, la perdita, le tante ferite del male sono terribili. Ma ogni nostra lacrima può diventare uno scalino verso il Cielo per noi e per gli altri.C’era una volta una ragazza, giovane, spensierata e serena.
Un giorno la sua famiglia fu sconvolta da un evento, fu come un terremoto, ci furono lacrime, pianti disperati, dolore, tanto dolore che durò mesi. La ragazza si fece forza, reagì immediatamente, cercò di sollevare l’umore dei suoi familiari, era sempre allegra e positiva, sperava che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Ma non poteva esserne certa e dentro di sé era molto turbata e preoccupata per il futuro.
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Portare il dolore
Un giorno decise di andare a parlare con Dio, entrò in chiesa, si inginocchió e si rivolse a Lui nel Tabernacolo:
Signore, so che hai problemi ben più gravi ma questo per me è molto grave e rischia di distruggere un’intera famiglia. Ti prego, permetti che sia io a portare questo dolore, so che posso farcela, ma libera questa famiglia, fai in modo che questa situazione si sciolga e abbia un esito positivo, e guarisci, per quel che è possibile, un po’ di dolore dai cuori di chi sta soffrendo di più.
Trascorsero sei mesi esatti ed arrivò una croce.
Era pesante, grande, e la ragazza guardandola non sapeva bene come caricarsela sulle spalle, non riusciva neanche a vederla tutta, era una croce che aveva la caratteristica di essere permanente, per tutta la vita. Ma lei si fece forza e nel cuore si rivolse a Dio e gli disse:
Ti offro tutto, vedi cosa fare di quello che verrà.
e iniziò la sua personale salita al calvario.
In piedi e in cammino
Trascorsero gli anni e si rese conto che aveva osato poco, aveva chiesto poco a Dio, voleva chiedere di più, non le bastava che quella famiglia rimanesse insieme sulla terra, desiderava che andassero tutti in paradiso. Alcuni di loro erano lontanissimi da Dio, quindi si rese immediatamente conto di cosa chiedeva, ma lo chiese lo stesso. Intanto il suo calvario silenzioso proseguiva e lei affidava tutto questo a Maria, che come fanno le mamme, la consolava, le posava una mano sulla testa e le diceva di non temere, di non avere paura.
Quella croce, quella malattia, sarebbe arrivata in ogni caso, ciò che ha fatto la differenza è stato avergli dato un significato, averla trasformata in un’occasione in più per pregare e chiedere non solo la propria guarigione ma anche quella degli altri.
Ogni storia è diversa, ognuno ha sperimentato un tipo di sofferenza e ha fatto un percorso unico, mai generalizzabile e spesso difficilmente comprensibile da chi ne è solo spettatore. Quello che va sottolineato è che il male, il dolore, la malattia, la perdita, il tradimento sono sempre terribili, mai buoni o positivi, non c’è fortuna nel portare una croce di marmo.
La bellezza nasce nel momento in cui quella persona reagisce e smette di pensare solo al male ma si mette in piedi e prosegue il cammino.
Lì se guardi bene puoi vedere il miracolo.
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La preghiera, il motore del miracolo
La bellezza quindi non sta mai nella croce, ma nei frutti che la croce ha generato. E il motore di tutto, ciò che muove il miracolo è la preghiera, che non è solo un esercizio linguistico, un parlarsi nel cuore, un gesto autocurativo. Se così fosse cambieremmo subito religione! La preghiera è io che parlo con Dio, a volte ringrazio, a volte piango, a volte sono triste, a volte ho paura e altre volte chiedo, chiedo un suo intervento nella realtà, nella concretezza delle situazioni.
E Dio quando gli parli ti risponde subito, il ché non significa che ti arriva una mail celeste o un commento al tuo stato su Facebook, ma qualcosa accade, fuori e dentro di te. I modi, i tempi, i linguaggi di Dio non sono i nostri, non sono umani, è come se fossero in codice, sono criptati e noi invece di stare lì anni a perdere tempo cercando una chiave di lettura che forse mai troveremo, viviamo la nostra vita, facciamo del nostro meglio, ascoltiamo le parole che Cristo ha detto e al resto ci penserà il Padre. Questa storia potrebbe scandalizzare, potrebbe far pensare ad un Dio che distribuisce croci.
Ma la svolta è qui, non è Dio a dare il male, il male esiste e spesso non è neanche riferibile ad un’azione diretta di una persona, c’è e basta.
Lasciarsi andare tra le braccia di Dio
Il passo successivo è se credo che il male possa avere un utilizzo buono, se credo che soffrire possa cambiarmi, possa farmi capire la mia natura estremamente fragile e possa aiutarmi a piegare l’orgoglio e lasciarmi andare tra le braccia di Dio.
Se credo che il male che c’è sulla terra, che tanto fa soffrire le persone, possa essere una via per scardinare il peccato da noi stessi allora forse non è tutto inutile, forse anche il male è necessario. Perché ci sono cuori che senza la sofferenza non avrebbero mai fatto inversione a U nella loro vita, mai, e lo sappiamo tutti, ciascuno di noi ha conosciuto direttamente o indirettamente qualcuno che dopo un fatto doloroso ha cambiato vita in meglio.
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Gesù disse:
[…] tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà.
Quando chiedete se credete che Dio esiste e che vi ascolta, state pur certi che ciò che avete chiesto accadrà.
Ci sono i martiri pubblici, quelli che entrano in chiesa per pregare, in una cattedrale di una grande capitale dell’occidente civilizzato, e vengono accoltellati, e poi ci sono i martiri nascosti, quelli che offrono la propria vita per gli altri, per mandarli in paradiso.
Tutti possiamo offrirci, offrire le piccole croci quotidiane, e stiamo pur certi che Dio non permetterà mai che la nostra croce ci schiacci.
A volte però la paura è tanta, c’è poco da fare, lì abbiamo bisogno di aiuto, di rivolgerci a Dio che si fa carne, abbiamo bisogno dei sacramenti e dobbiamo credere intensamente, perché così è, che ogni nostra lacrima altro non è che uno scalino verso il Cielo.
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