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Il Papa apre a donne lettori e accoliti? Cosa significa?

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P Deliss / Godong

Thomas Michelet - pubblicato il 18/01/21

Innovazione? Eversione? A ben guardare, il motu proprio “Spiritus Domini” del Santo Padre appare piuttosto un atto di ferma restaurazione storica e teologica. Un insigne domenicano ci guida nel capire perché.

Con la Lettera Apostolica Spiritus Domini dell’11 gennaio 2021, papa Francesco ha aperto alle donne il lettorato e l’accolitato. Ci si potrebbe domandare che cosa questo cambi, visto che da tempo le donne leggono le letture a messa, e considerato anche che le bambine erano già ammesse tra i chierichetti (Istruzione Redemptionis Sacramentum, del 23 aprile 2004, nº 47). Stavolta però si tratta di “ministeri istituiti” – quelli che una volta venivano chiamati “ordini minori” – che ricevevano coloro i quali si preparavano al sacramento dell’Ordine e che Paolo VI aveva già aperto ai laici, riservandoli comunque agli uomini (Lettera Apostolica Ministeria quædam, del 15. agosto 1972, nº VII). È questo ultimo limite che papa Francesco ha soppresso, modificando pertanto il Codice di Diritto Canonico (Can. 230 § 1).


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Indubbiamente alcuni vedranno in quest’apertura una rottura nella Tradizione e la porta aperta all’ordinazione delle donne. Altri lamenteranno, al contrario, che non si sia andati più in là in questa direzione. Come sempre, gli estremi si toccano perché condividono il medesimo errore: quello di concepire i ministeri in maniera clericale a partire dal sacramento dell’Ordine.

Al contrario, Papa Francesco rimanda i ministeri istituiti al Battesimo: essi

hanno per fondamento la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel Sacramento del Battesimo; essi sono essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il Sacramento dell’Ordine.

La differenza tra questi due tipi di ministeri, istituiti oppure ordinati, corrisponde dunque a quella dei due sacerdozi – battesimale o ministeriale – i quali «differiscono essenzialmente e non solo di grado» (Lumen gentium 10).

Questo testo segna così un punto di ricaduta di un lungo processo di discernimento ecclesiale avviato dal Concilio Vaticano II, che aveva restituito prestigio al sacerdozio regale dei fedeli attestato dalle Scritture (1Pt 2,9), ma che si era gradualmente perso di vista mano a mano che la liturgia diventava una faccenda del clero.

Nell’Antichità, la Chiesa aveva istituito questi ministeri come dei servizi stabili, nei quali si permaneva a vita, senza con ciò essere vincolati alla preparazione al sacerdozio. Solo a partire dall’alto Medioevo, sotto l’influsso neoplatonico dello Pseudo-Dionigi, furono organizzati in un cursus gerarchico che obbligava a passare necessariamente dall’uno all’altro per approdare al grado superiore. Ne furono allora esclusi quanti non erano destinati al sacerdozio ministeriale, mentre il diaconato stesso scompariva in quanto grado permanente: a quel punto il sacramento dell’Ordine si concepiva in sette gradi – quattro ordini minori e tre ordini maggiori.

Il Concilio Vaticano II ha voluto ripristinare in onore il sacerdozio battesimale e ristabilire il diaconato permanente, non ritenendo per l’Ordine se non tre gradi soltanto: l’episcopato, il presbiterato e il diaconato (Lumen gentium 28). Nella scia di questi provvedimenti, Paolo VI riaprì agli uomini laici – in Ministeria quædam – gli ordini minori, ormai chiamati “ministeri” (non più “ordinati” bensì “istituiti”), dissociati dallo stato clericale, che si acquisisce ormai al diaconato (Can. 266 § 1). Considerando la Tradizione in termini di lunga durata, e dunque non arrestandosi alla sola situazione precedente il Vaticano II, si vede che il collegamento dei “ministeri laicali” al sacerdozio comune dei fedeli procede in realtà meno da una innovazione che da una autentica restaurazione.

Ci sono molti ministeri, ma uno solo è il Signore.

1Cor 12,5

Ciononostante, la riforma di Paolo VI è rimasta per buona parte lettera morta, dal momento che in pochissimi sono stati chiamati a questi ministeri al di fuori del cammino di preparazione al sacerdozio. È dunque lecito sperare che il recentissimo provvedimento induca un nuovo slancio al processo: ciò permetterebbe di evitare l’affidamento estemporaneo (dunque non sempre a persone adeguatamente formate) di questi ministeri sacri. Un effetto secondario di tale riforma (opportunamente compiuta) consterebbe nell’esaltare e rendere più visibile nell’azione liturgica l’articolazione dei due sacerdozi, ciascuno che partecipa a suo modo all’unico sacerdozio di Cristo, grande sacerdote della Nuova Alleanza. I fedeli laici potranno così meglio percepire il loro sacerdozio spirituale mediante la presenza visibile, nel santuario, di ministri laici che li rappresentano, uomini e donne, nella collaborazione diretta coi ministri ordinati.




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Il ministro ordinato, invece, non è al suo posto anzitutto per rappresentare i fedeli, bensì per essere il segno sacramentale di Cristo capo, sacerdote e servo: è solo in quanto segno efficace del Capo che egli rappresenta pure il Corpo nella sua interezza. Essendo poi Cristo un uomo, è necessario che chi ne funge da segno visibile sia anch’egli visibilmente un uomo (maschio); il significante deve avere una certa somiglianza con il significato. Essendo Cristo il visibile del Padre – di un Dio che si rivela come Padre (e non come “Madre” – anche se è un padre che ama con cuore e con viscere di madre) – è pure necessario che chi ne porta il segno sacramentale esprima questa dimensione paterna del sacerdozio.

Chi ha visto me ha visto il Padre.

Gv 14,9

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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