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Prete cattolico da dieci anni, il “già-vescovo” anglicano si racconta 

KATOLICY W NANTES MODLĄ SIĘ PRZED KOŚCIOŁEM
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i.Media per Aleteia - pubblicato il 15/01/21
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Il 15 gennaio 2011 tre “già-vescovi” anglicani, tra cui padre Keith Newton, venivano ordinati preti da mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster (UK). Il giorno stesso, l’Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham veniva fondato a mezzo di un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e padre Keith Newton ne veniva ordinato primo ordinario da papa Benedetto XVI. Dieci anni dopo, i.Media ha intervistato il sacerdote per stilare un primo bilancio e qualche prospettiva sull’avvenire dell’Ordinariato. 

Il 15 gennaio 2011 tre “già-vescovi” anglicani, tra cui padre Keith Newton, venivano ordinati preti da mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster (UK). Il giorno stesso, l’Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham veniva fondato a mezzo di un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e padre Keith Newton ne veniva ordinato primo ordinario da papa Benedetto XVI. Dieci anni dopo, i.Media ha intervistato il sacerdote per stilare un primo bilancio e qualche prospettiva sull’avvenire dell’Ordinariato.


CARDINAL ROBERT SARAH
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Dieci anni fa lei e numerosi anglicani siete entrati nella Chiesa cattolica. Su richiesta di papa Benedetto XVI, poi, quel giorno stesso lei è diventato capo del nuovo Ordinariato “Our Lady of Walsingham”. Come pensa di celebrare questo anniversario? 

Naturalmente abbiamo intenzione di celebrare il decennale. La Costituzione apostolica Anglicanorum cœtibus [che regola l’inquadramento di già-preti e già-vescovi anglicani nella Chiesa cattolica, compresi i preti uxorati, N.d.R.] è stata pubblicata nel 2009, e c’è voluto un po’ di tempo per procedere alla creazione del primo Ordinariato, creato esattamente dieci anni fa – fu un giorno dalle numerose ordinazioni. Chiaramente erano previsti dei festeggiamenti, ma la pandemia ha congelato tutto questo, non possiamo più pensarli a quel modo. Questo 15 gennaio celebrerò la messa, ma sarà soprattutto domani, sabato 16, che una messa solenne sarà trasmessa in diretta perché la gente possa unirsi a noi almeno via etere e web. Ove mai le cose migliorassero nel corso dell’anno, potremo fare qualcosa di più partecipativo. 

Dieci anni dopo… il tempo è già buono per un primo bilancio? 

Credo di sì. Erano in tanti a predire la nostra rapida scomparsa: non è stato questo il caso, siamo sempre qui. Certo, in questi dieci anni abbiamo dovuto fronteggiare numerose sfide, ma penso che siamo più preparati; pronti a guardare verso l’avvenire, perché abbiamo fatto crescere le nostre radici in seno alla Chiesa cattolica, come pure nella società d’Inghilterra e Galles. Abbiamo più di un centinaio di preti, 70 dei quali hanno meno di 75 anni. Una trentina di loro lavora a tempo pieno nelle parrocchie dell’Ordinariato. E gestiamo circa venticinque parrocchie della Chiesa cattolica in Gran Bretagna, cosa che ci permette di esercitare influenza sulle comunità cattoliche locali. 

Quanti fedeli contate oggi? 

Chiaramente non un numero enorme – alcune migliaia – ma tante persone della Chiesa cattolica vengono alle nostre messe [nell’“uso degli Ordinariati”, una forma liturgica della Chiesa cattolica ispirata a tradizioni anglicane, N.d.R.]. E noi apportiamo loro qualcosa di nuovo, nella loro fede cattolica – a loro e più generalmente alla Chiesa universale. Come lei sa, la Chiesa cattolica ha attraversato tempi difficili della sua storia in Inghilterra. Dopo la riforma anglicana del XVI secolo, essa è stata anche proibita, per un certo periodo, e quindi ha qui un posto differente, certo non è lo stesso che in Italia o in Francia. 

Siete anche andati incontro a problemi finanziari… 

Sì, e sono quasi risolti. Abbiamo cominciato con quasi niente: è stato difficile ma siamo riusciti a chiudere il bilancio ogni anno e a tenere la flottiglia a galla. Ora stiamo lavorando su un fondo-pensione per i nostri preti anziani. In questi anni abbiamo aggiunto molte strutture, specialmente materiali, alla nostra organizzazione, con un vicario generale e diversi responsabili… Tutto questo richiede tempo, naturalmente, e avevo sempre detto che sarebbe stata più una maratona che uno sprint! 

Vi siete collocati sotto la protezione di san John Henry Newman, anch’egli passato dalla Chiesa anglicana alla cattolica. È un precursore per voi? 

Sì. Per tutti noi, la sua canonizzazione – nel 2019 – è stata un momento molto importante, toccante. Vedere canonizzata – riconosciuta come un esempio dalla Chiesa – questa grande figura che aveva fatto la scelta di rientrare nella Chiesa cattolica… ci ha particolarmente toccati. 

Avete approfondito il senso della vostra singolarità nella Chiesa universale oggi? 

L’esempio di Newman è per noi di grande ispirazione. Egli stesso, nel XIX secolo, aveva pensato di fondare qualcosa che aveva descritto come una “Chiesa uniate anglicana”. Penso che oggi guarderebbe con benevolenza al nostro Ordinariato, lui che parlava dei suoi «amici che tremavano di freddo alla porta della Chiesa». Credo che uno dei grandi significati che può avere l’Ordinariato nella Chiesa universale sia che essa è capace di trovare in sé stessa delle tradizioni che sono compatibili con la fede cattolica e di aggiungervi degli elementi che sono stati creati nella Riforma anglicana. Ad esempio alcuni elementi liturgici e spirituali, alcune “strategie” pastorali – in sintonia con gli insegnamenti della Chiesa, si capisce. Molti cattolici non si rendono conto, a mio avviso, quanto diversa sia già la Chiesa oggi, e come si possano trarre ricche tradizioni da questa diversità. 

Ritenete di ave trovato il vostro posto grazie alla vostra singolarità? 

Siamo il primo gruppo a fare ufficialmente questo cammino di ritorno alla Chiesa, dalla Riforma in qua, e anche se siamo piccoli – come disse Benedetto XVI – il nostro passo è profetico: mostra che può succedere, che è possibile. La nostra organizzazione si ispira al passato, alle prime conversioni, ai numerosi passaggi autorizzati dal Vaticano che, in particolare dal pontificato di Paolo VI, hanno portato alla situazione attuale. Siamo però soprattutto rivolti all’avvenire, a quel che si può realizzare. In seno alla Chiesa le persone non sono “assorbite”, ma rispettate come uguali nella loro diversità. È questa la forza della Chiesa cattolica: raccogliere in un’autentica comunione differenti gruppi di persone. Nessuna religione oggi riesce a fare questo. 

Che lavoro svolge oggi l’Ordinariato nel perseguimento dell’Unità della Chiesa? Esiste, in particolare, un dialogo avviato con la Chiesa anglicana? 

Non abbiamo relazioni particolarmente forti con la Chiesa anglicana. Personalmente, ho degli amici anglicani, conosco dei vescovi anglicani e spesso ho modo di discutere con loro. Credo che ci sia un po’ di risentimento, dalla creazione dell’Ordinariato in qua, cioè dal passaggio dei nostri membri alla Chiesa cattolica. Trovo che sia stimolante cercare di comprendere questa situazione, perché se diciamo sempre che l’Unità è ciò che Cristo desidera tutto quello che va verso questa unità dovrebbe essere considerato come una cosa buona. Non sempre però si riflette sui mezzi pratici che possono condurre a tale agognata Unità. A quanto ne so, mi pare che siamo gli unici, nella Chiesa cattolica, per cui questo passo verso l’Unità ha avuto luogo. 

Dopo questa prima fruttuosa decade, quali sono i principali obiettivi che vi proponete per i prossimi dieci anni? 

Da qui a dieci anni, speriamo che le venticinque comunità del nostro Ordinariato nel Paese si siano ben consolidate: metteremo tutto il nostro sforzo in questo sviluppo. Questo significa anche che gruppi più piccoli scompariranno: lo sapevamo e ce lo aspettavamo, ma questo non vuol dire che non faremo la nostra parte nella nuova evangelizzazione che sta al cuore della nostra esistenza – perché in quanto evangelizzatori abbiamo una missione che ci impegna verso tutti. Ciò vuol dire, spesso, riportare le persone alla Chiesa – cosa importantissima nella nostra epoca. Abbiamo poi una missione ancora più grande nei confronti del mondo: quella di uscire, di annunciargli la Buona Notizia. 

In questa prospettiva, molte parrocchie in Inghilterra e Galles non sono sufficientemente forti, oggi. Date le nostre radici anglicane, forse siamo particolarmente qualificati per toccare il cuore delle persone che qui sono uscite dal giro della Chiesa: è il vantaggio della familiarità che proponiamo. In quest’ottica, dunque, continueremo a cercare di realizzare la visione di Anglicanorum cœtibus. Lo facciamo coltivando vincoli di amicizia e di unità e promuovendo questo dono prezioso come un mezzo per costruire l’unico Corpo di Cristo, che è la Chiesa, con l’amore.

Dieci consigli del card. Newman per stringere e mantenere relazioni d’amicizia:

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]