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Perché Dio permette che siamo tentati?

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Studio777 | Shutterstock

Adilson Júnior - pubblicato il 13/01/21

Nostro Signore, volendoci guidare sulla retta via della Verità, ha istituito un sacramento indefettibilmente collegato alla Sua conoscenza di noi

“Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Con queste parole, Gesù ci esorta non solo alla vigilanza o all’apprezzamento della vita di preghiera, ma riconosce anche la fragilità della natura umana, che pur se rinnovata dal Battesimo e partecipe della filiazione divina, porta con sé tendenze concupiscenti – inclinazioni naturali alla mancanza di virtù.

In questo modo, si nota l’immutevole collegamento tra il peccato e l’inerzia dell’uomo. Ciò vuol dire che non c’è virtù senza lotta, non c’è salvezza senza violenza contro se stessi, contro la natura corrotta e disordinata, come ci ricorda l’apostolo: “Il regno dei cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11, 12). In questo senso, ecco la necessità renderci conto della nostra condizione, e a partire dalla conoscenza di sé di mettersi diligentemente alla ricerca della virtù.

Conoscere se stessi è un compito difficile, ma intrinsecamente necessario alla ricerca della perfezione. Ad ogni modo, ci si disporrà a percorrere quel cammino e si persevererà in esso solo spinti dalla vera umiltà. È con questa che riconosciamo quanto siamo miserabili, deboli e incostanti, come anche la nostra impotenza di fronte al maligno, dalle cui insidie potremo liberarci solo con l’ausilio della grazia per corrispondere al progetto salvifico di Dio nella nostra storia.

Perché Dio permette che siamo tentati?

Di fronte a queste considerazioni, il “modus operandi” dell’anima che desidera la virtù crea un ambiente di lotta. E questo non è un uniforme, nel senso che un soldato sul campo di battaglia è suscettibile a cadute e a lesioni di vario tipo. Le sue ferite, tuttavia, non significano necessariamente la sconfitta. Al contrario, il merito è proporzionale alla difficoltà del conflitto. Che onore avrebbe un soldato se lasciasse il campo di battaglia illeso, esente da un solo graffio? Allo stesso modo, che meriti avremmo se non fossimo stati tentati, se la nostra fedeltà nei confronti di Dio non fosse mai stata messa alla prova?

È per questo che permette le tentazioni. Ma non è Dio il loro autore: “tentare è proprio del demonio”, come ci ricorda San Tommaso. Questa realtà spirituale a cui siamo esposti non è quindi opera divina, ma azione ordinaria del Male. Secondo lo stesso santo, si verificano, tra gli altri motivi:

  • Per reprimere la superbia: “E perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca” (2 Corinzi 12, 7);
  • “Perché i cristiani diventino più forti, come i soldati tornano più forti dalla guerra”;
  • “Perché riconoscano la loro dignità, perché quando il Diavolo assale qualcuno questo è motivo d’onore, visto che il suo obiettivo sono i santi”.

Cosa fare dopo il peccato?

Visto che “la vita dell’uomo sulla terra è come quella di un soldato” (Giobbe 7, 1), si instaura la previsione razionale circa la possibilità della caduta, ovvero è possibile (e probabile) che anche dopo i voti del Battesimo e aver ricevuto le grazie sovrabbondanti che ne derivano, nell’ambito della lotta quotidiana si cada in determinate occasioni – per debolezza o per viltà. In questo contesto, bisogna capire quale sia la situazione dell’uomo una volta vinto dalla tentazione, e quindi allontanato dall’amicizia con Dio. È forse condannato a rimanere a terra, senza possibilità di rialzarsi? Sarebbe schiacciato dagli avversari a loro piacere, senza che ci sia qualcuno a tendergli la mano?

Il Signore stesso, che viene offeso dal peccato, è disposto a donarci il Suo aiuto nel momento dell’afflizione. Per questo, dobbiamo avvicinarci con fiducia al sacramento della Penitenza (Confessione), preparati da un vero pentimento e disposti a emendarci in modo definitivo, ovvero a non cadere più nelle mancanze passate.

Come fare una buona Confessione, e qual è la sua importanza?

Ecco quindi la verità per la quale riconosciamo le deviazioni della natura, le tentazioni che se ne servono per condurci al peccato, come anche il dovere della lotta quotidiana. In questo modo, il sacramento della Penitenza è un mezzo indefettibile mediante di cui Dio dispone per rinvigorirci nella nostra decisione di vivere secondo la sua Legge e la Sua Volontà.

Non ci si può comunque avvicinare al perdono di Dio con una disposizione qualsiasi. Alla fin fine, una buona Confessione è innanzitutto una Confessione valida, ovvero quella in cui un penitente viene di fatto assolto. In questo senso, la Chiesa è chiarissima al momento di affermare che nel tribunale della misericordia il reo deve accusarsi di tutti i peccati gravi confessi dalla sua ultima visita al confessionale – debitamente accompagnati da circostanze attenuanti o aggravanti, come anche dal numero approssimativo. È inoltre imprescindibile la presenza del pentimento, pur se imperfetto, mosso dal timore, perché la contrizione corrisponde, in verità, alla materia del sacramento – come il pane e il vino sono la materia della Santa Messa e l’acqua del Battesimo. Senza pentimento non c’è assoluzione valida, e diventa impossibile ottenere la misericordia di Dio. “Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento” (Luca 15, 7).

Enorme è la gioia del padre quando il figliol prodigo, contrito e umile, gli chiede perdono e rinnova il suo impegno di fedeltà. Quel figlio beato riceve solo i doni migliori, la restituzione della dignità e una splendida festa in segno di giubilo per il suo ritorno alla casa paterna. È in questo senso che gli antichi chiamavano questo sacramento “secondo Battesimo” o “nuova tavola di salvezza”, perché in essa il penitente trova non solo il perdono delle sue colpe, ma la riconciliazione con Dio, la grazia santificante, la forza dello Spirito e una nuova opportunità per ravvivare il suo cammino battesimale

Accogliamolo, quindi, con umiltà, vista la nostra piccolezza e la nostra miseria di fronte alla Maestà Divina, con fiducia, tenendo conto dell’infinita misericordia di Dio nei nostri confronti, e con frequenza, considerando quello che dice il Catechismo di San Pio X: “Il confessarsi spesso è cosa ottima, perché il sacramento della Penitenza, oltre al cancellare i peccati dà le grazie opportune per evitarli in futuro”.

Per allontanare qualsiasi dubbio, ricordiamo che Dio permette che siamo tentati, ma mai oltre le nostre forze e l’ausilio della Sua grazia: “Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare” (1 Corinzi 10, 13).

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