Francesca Bonaldo vive in provincia di Venezia ed è un’insegnante di scuola superiore. È sposata con Luigi e il 2020 ha portato loro il quarto figlio. Oggi dunque, accanto a Maddalena, Rebecca e Giuseppe, c’è la piccola Teresa a mettere gioia e scompiglio in questa famiglia.
Avevo pensato di fare due chiacchiere con Francesca perché mi sembrava che nella semplicità della sua storia ci fosse il segno di una narrazione del 2020 diversa dallo stereotipo: in questo anno, terribile, la vita e la speranza non ci hanno abbandonati. Lei è una mamma che può dire che l’anno della pandemia è nata la sua quarta bambina, e non sarà un tempo da cancellare.
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Parlando è emerso che il 2020 è stato un anno tostissimo per questa famiglia, cadenzato quasi mensilmente da incidenti (inteso come esperienze che incidono la pelle e l’anima, e fanno male). La fede non è un placebo, è la mano sicura tenendo la quale si può essere liberi di rovesciare la prospettiva e dire grazie di ogni evento. Lascio alla voce di Francesca il compito di farci strada, nel rivivere passo passo questo suo anno, il cui traguardo sofferto era già presente fin dall’inizio: una speranza incarnata.
Cara Francesca, ti ringrazio della tua disponibilità a raccontare cosa è stato per te il 2020 ai lettori di Aleteia For Her. Sembra azzardato dirlo, qualcuno certamente potrebbe scandalizzarsi ma è così: il bene non è mancato. Da dove cominciamo?
Sì, il bene che ci è arrivato in questo anno è strettamente legato ad alcune vicende dolorose e faticose. Ricostruire gli eventi in modo cronologico fa emergere la presenza di un filo rosso che unisce questi fatti, oltre la mera concomitanza. Sono frammenti di vita il cui senso è fiorito proprio nell’essere uno vicino all’altro, anche se temporalmente non sono perfettamente successivi.
E quindi comincerei dicendo che il mio 2020 è iniziato in realtà alla fine del 2019. Luigi, mio marito, mi aveva regalato per il compleanno un corso di ballo di coppia. Tra le varie possibilità abbiamo scelto un corso di tango e, come per tutte le discipline sportive non agonistiche, occorreva il certificato medico per partecipare. Durante la visita, la dottoressa ci ha gelati con una notizia che è stata una doccia fredda: non poteva rilasciare il certificato a mio marito perché sospettava avesse la sindrome di Brugada, detta anche “sindrome da morte improvvisa”.
Forse è stato anche peggio di una doccia fredda. E di cosa si tratta?
Abbiamo scoperto che la sindrome di Brugada é una malattia cardiaca ereditaria e che sostanzialmente dà una predisposizione ad aritmie ventricolari maligne. Può essere causa di morte improvvisa anche in pazienti giovani che hanno un cuore strutturalmente sano. Mio marito ha 36 anni, questa sindrome non si era ancora manifestata in modo esplicito, ma c’era e c’è.
Inoltre si manifesta non sotto sforzo ma a riposo, anche durante il sonno. Puoi immaginare che angoscia ci abbia colpito al pensiero di un’eventualità simile. Dopo quella prima visita sono seguite altre indagini ed esami.
Il 2020 è cominciato in modo paradossale: Luigi doveva fare l’ultimo accertamento necessario per la diagnosi e nel frattempo abbiamo scoperto di aspettare un bimbo, il nostro quarto.
La realtà spiazza, è sempre un passo fuori dalle nostre scatole mentali. Come l’avete presa?
Eravamo grati e stupiti. La situazione era emotivamente indescrivibile, per me. Cominciavo un anno nuovo con la gioia di una gravidanza e insieme col pensiero di avere un marito che avrebbe potuto morire d’infarto da un momento all’altro. Luigi è andato a fare l’ultimo accertamento molto serenamente e anche io ero fiduciosa. L’esame in sé è andato bene, dovevano monitorare le aritmie cardiache sollecitando il cuore con scariche elettriche. Per sicurezza, però, gli è stato messo un holter sottocutaneo grazie a cui la sua situazione è monitorata costantemente.
Non avrei mai immaginato una cosa simile, eppure dico grazie. Sono grata del regalo di mio marito, non solo per il corso di ballo ma perché ci ha permesso di scoprire questo problema cardiaco. Diversamente non lo avremmo mai scoperto, proprio perché si manifesta a riposo. Saperlo monitorato è un motivo di gratitudine.
A questo punto, se fosse un film, ci sarebbe una scena rilassante. Direi che vi meritavate di riprendere fiato e invece …
Sempre verso la fine del 2019 avevamo saputo che il papà di Luigi aveva un tumore. Nell’anno nuovo lo abbiamo accompagnato nel suo percorso di malattia e guarigione. È un viaggio sofferto che in tanti conoscono: abbiamo ascoltato diversi pareri medici e fatto esami. Ci sono state terapie che non sono andate a buon fine e la malattia è molto peggiorata, finché lo scorso ottobre mio suocero è stato operato. Nonostante un decorso post operatorio lunghissimo e pieno di complicazioni – peraltro in epoca Covid, quindi senza la possibilità di andarlo a trovare -, è tornato a casa dopo due mesi e sta bene.
È una malattia tostissima che per ora ha un decorso buono e ha portato, misteriosamente, anche dell’altro buono: i rapporti tra di noi in famiglia sono stati trasformati e ci siamo guardati come da capo, e con più dolcezza.
Il patire insieme può essere come una gestazione in cui nasce uno sguardo liberato dai giudizi stantii, soprattutto tra chi si conosce da tanto. Però c’era anche la tua gravidanza che andava avanti, gli altri tuoi 3 figli erano felici?
Sì! Visto che tutto nella mia pancia procedeva bene, a febbraio abbiamo annunciato alle 2 bimbe e a Giuseppe che aspettavo un fratellino o una sorellina. Intanto dalla Cina arrivavano le voci sul virus, ma sembrava che la situazione non ci riguardasse.
L’annuncio della mia attesa è stato diffuso con entusiasmo dai miei figli a tutti, scuola e amici. Contemporaneamente a quest’euforia, ho cominciato ad avere delle perdite: sono andata dal mio ginecologo proprio il giorno di San Valentino. C’era un ampio distacco di placenta. Mi sono messa a riposo, ho seguito la terapia prescritta dal ginecologo ed ero provatissima. Sono già passata attraverso la perdita in grembo di più di un figlio. Il Signore ci ha protetto e dopo una settimana abbondante la situazione di pericolo è rientrata.
E così arriviamo giusto a un soffio dal lockdown e alla chiusura delle scuole. Insegno latino in un istituto di cui fanno parte un liceo di scienze umane e un liceo linguistico, nell’anno scolastico che si è concluso a giugno avevo due quinte da portare all’esame. Ci siamo tuffati senza paracadute nell’esperienza della didattica a distanza.
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E non l’hai vissuta solo da insegnante ma anche da mamma. Come è andata?
Diciamo che ci sono stata dentro, facendo quel che di giorno in giorno riuscivo. La cosa pesante è stata vedere l’effetto negativo che questa scuola a distanza ha avuto sui miei figli, soprattutto su Rebecca. Era in prima elementare ed era fiera e felice di questa nuova esperienza “da grande”. Ecco, lei ha patito tantissimo il fatto di non essere presente in classe. Non sto parlando di un semplice malessere, ma proprio di una vera depressione. I giorni difficili sono stati la maggioranza, finché non è tornata a scuola a settembre. Allora è rifiorita, come se fosse cominciata una vita nuova.
E a settembre c’era già anche un’altra vita nuova. Quando è nata Teresa?
Teresa è nata ad agosto, e non era scontato data la gravidanza. Il parto è stato naturale e senza complicazioni, ma appena una settimana dopo ci siamo accorti che la bimba non stava bene. Sembrava la stessa sintomatologia che già sua sorella Rebecca aveva avuto, legata a un problema di assunzione del latte materno. Teresa non cresceva e aveva tante scariche di diarrea. Mio marito e io intuivamo fosse lo stesso problema di Rebecca, ma c’è voluto un lungo percorso medico per averne la certezza.
Sono stata ricoverata con lei per un mese all’ospedale Burlo di Trieste, la bimba è stata sottoposta a indagini per nulla piacevoli ma necessarie. Ho sofferto con lei che ha fatto gastroscopia e colonscopia a neanche un mese di vita. Per fortuna, l’esito è stata una diagnosi non grave e grazie a un latte speciale il problema si risolve: proprio quello che era accaduto anche alla sorella.