Fino a non troppo tempo fa, la mortificazione era vista come una pratica necessaria per dominare il corpo, considerato la fonte dei peccati. È ormai superata e superflua allo sviluppo della vita cristiana?
Per realizzare degli obiettivi, indipendentemente dalla motivazione originaria, è indispensabile lo sforzo personale, una vita caratterizzata dalla disciplina. La mortificazione, in senso ampio, è questo: lotta contro tutto che ostacola il raggiungimento di un ideale, che ostacola una meta. Per questo la mortificazione è parte integrante dell’educazione umana.
Ascesi
La mortificazione è un dimensione dell’ascesi. Il termine “ascesi” ha origine greca e significa esercizio compiuto con sforzo e metodo. Per i Greci, l’ascesi indicava qualsiasi esercizio fisico, intellettuale, morale e religioso, realizzato con metodo e disciplina, avendo come obiettivo il progresso costante. Nell’ambito cristiano, soprattutto nel Medioevo, l’ascesi è stata caratterizzata da aspetti negativi.
Per i Greci erano dimensioni dell’ascesi, ad esempio, il soldato che si esercitava nell’uso delle armi, il filosofo che meditava, il saggio nell’esercizio delle virtù e il religioso nella contemplazione di Dio.
L’ascesi non aveva una connotazione negativa. Al contrario, era intesa come qualcosa di necessario allo sviluppo umano, perché stimolava e consolidava la disciplina imprescindibile alla conquista di un obiettivo.
Nella sua assimilazione da parte della cultura cristiana, però, subendo influenze di correnti di pensiero pessimiste e dualiste – dicotomia anima-corpo –, l’ascesi è stata caratterizzata in modo preferenziale dalla dimensione di abnegazione.
Peccati
Per varie generazioni di cristiani, la mortificazione è stata interpretata come morte letterale al corpo, considerato la fonte dei peccati. Il corpo era visto come la sede delle passioni, la parte inferiore dell’uomo, in continua opposizione alla parte superiore, l’anima.
Il Medioevo è stato il periodo delle più dure ascesi corporali. Nonostante l’influenza di Sant’Agostino (354-430) – essendo l’ascesi definita come sforzo per crescere nella capacità di amare – e di San Benedetto (480-547) – enfasi sull’umiltà –, la spiritualità occidentale, in quel periodo, finì in gran parte per aderire alla pratica dei sacrifici fisici.
Vennero perfezionate forme di penitenza corporale come la “disciplina” (autoflagellazione volontaria). Alla fine del Medioevo, la “disciplina” quotidiana venne portata al fanatismo dai “flagellanti”, provocando discredito nei confronti dell’ascesi cristiana.
I “flagellanti” erano i membri di movimenti e confraternite medievali che praticavano la penitenza con flagellazioni pubbliche. Questo movimento raggiunse il suo punto più alto nella seconda metà del XIII secolo. Quei gruppi di persone percorrevano città e campi flagellando se stessi e gli uni gli altri mentre altri pregavano.