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Francesca Salvadori: produco il mio pane in un comune di 3 abitanti

WOMAN, BREAD, HANDS

Africa Studio | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 21/12/20

Una microimpresa domestica: Francesca Salvadori, 27 anni, si è trasferita col marito in una piccola frazione della Valsesia per produrre pane di ottima qualità e portarlo anche nelle grandi città.

Ha 27 anni e un progetto fresco fresco da sfornare. Francesca Salvadori conta di avviare il suo laboratorio di panificazione a fine gennaio. Si tratta di una microimpresa domestica in una microfrazione della Valsesia, precisamente nel borgo di Goreto … 3 anime in tutto.

Dal ristorante al mulino

Nella frazione dove vivo con mio marito siamo in tre abitanti tutto l’anno, ma durante le vacanze estive e invernali la frazione cambia volto con l’arrivo dei turisti e tutto si trasforma, portando più vita e sorrisi. Dopo alcuni anni nella ristorazione vorrei realizzare un mio grande sogno, aprire un micro panificio di alta qualità. La passione per il mondo della panificazione è iniziata circa sei anni fa, il mondo del lievito madre è stata una rivelazione e ora vorrei che diventasse un lavoro a tutti gli effetti.

WOMAN EATING

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Con questa presentazione Francesca Salvadori ha lanciato la sua campagna di crowdfunding su GoFundMe, con l’obiettivo di raccogliere 3600 euro. Pochi? Sufficienti per avviare un progetto piccolo che potrà lievitare come il suo pane che – c’è sa scommeterci! – sarà buonissimo.

Fare il pane, è questo l’obiettivo di Francesca. Farlo semplicemente bene, con i pochi ingredienti che fanno la differenza:

Utilizzerò lievito madre, impasterò a mano utilizzando farine biologiche, finora mi sono appoggiata solo a un determinato mulino. Spero anche di poter proporre altri prodotti come pasticceria e colombe.

Da Varese alla Valsesia

Francesca è originaria di Varese, dove ha studiato alla scuola alberghiera. Il lavoro l’ha poi portata a spostarsi nel vicino Piemonte, per sei anni ha fatto esperienza in un ristorante di Alagna. Lì è nata la passione della panificazione e l’ha approfondita. E’ maturata così in lei l’idea di una microimpresa domestica per produrre pane fatto in casa. Si è trasferita con il marito nel borgo di Goreto, i cui abitanti si contano sulle dita di una mano e da qui, proprio dalla cucina di casa, vuole sfornare un prodotto di qualità.

Siamo in alta Valsesia, quindi parliamo di impasti fatti con l’acqua di montagna, farine del territorio macinate al mulino del paese, lievito madre fatto e “coccolato” dalla stessa Francesca. Ma non è esattamente un’idea di nicchia, semmai è il giusto punto di partenza.

L’idea di Francesca non è un prodotto gourmet per pochi intenditori; vuole produrre un buon pane da distribuire anche nelle grandi città. Il microcontesto sociale e la cucina domestica le permette di preservare la qualità della panificazione, il cui segreto è proprio nei pochissimi ingredienti scelti e necessari. Acqua, farina, lievito e tutto il tempo necessario.

SOURDOUGH BREAD
ShotnCut | Shutterstock

In fondo il suo trasferimento da Varese alla Valsesia non è geograficamente enorme, ma è significativo. Per fare qualcosa bisogna spostarsi, una buona idea ci schioda dallo status quo. Mai come in questo tempo c’è il rischio stagnante della lamentela. Prendersi dei piccoli rischi coraggiosi per scommettere su un progetto buono è alla nostra portata.

Il grande pubblico applaude le imprese cosmiche di Elon Musk che punta a Marte-e-chissà-dove. Francesca scommette sul pane quotidiano e non credo che la sua presenza sia così irrilevante rispetto a chi ragiona in scala universale. Il cambiamento e l’operosità viaggiano a meraviglia senza scomodare gli anni luce come unità di misura. Più che puntare ad altri pianeti, mi sento di scommettere su chi sta con la mani al lavoro su un piccolo pezzetto della nostra terra.

Francesca in cucina

Mi sono appoggiata all’associazione “Cucina nostra” della Valsesia, grazie a loro ho avuto le informazioni necessarie per sviluppare una microimpresa domestica e quindi a fine gennaio dovrei partire. (da NotiziaOggi)

Speriamo proprio che l’impresa di Francesca Salvadori decolli con il nuovo anno. Un piccolo forno che apre nel 2021 è un’immagine perfetta per riassumere il bene e il buono che vogliamo custodire dentro la tempesta di questa pandemia: il pane è umile e essenziale, richiede un lungo tempo di lievitazione, ci ricorda che abbiamo bisogno di essere sfamati.

Ci pensavo mentre leggevo che Francesca Salvadori è molto impegnata anche su questioni molto pratiche per aprire il suo forno: userà proprio la cucinadi casa sua come laboratorio di panificazione e riuscire ad adattarla in modo da rispettare tutte le norme di legge è una bella sfida. Che vale la pena accettare, ovvio.

PIECZENIE CHLEBA
Zivica Kerkez | Shutterstock

Ecco, sono io la prima a cadere nella trappola di una grande distribuzione che mette una gran varietà di pani e focacce in reparti allestiti ad hoc per sembrare ambienti domestici, piccoli forni della Provenza, et similia. Poi sull’etichetta leggi: prodotto surgelato.

Tenere la propria cucina come elemento imprescindibile mi pare un bel segno nella storia di Francesca. Chesterton diceva che l’anima umana è stata fin troppo strapazzata per adattarsi alle condizioni, e dovrebbero essere invece le condizioni a servizio dell’anima umana.

Fa bene la Salvadori a non mettere in discussione la sua cucina e a non trasferirsi in un asettico laboratorio. E non è un discorso solo green o da bio-addict, anche se a queste etichette si può ridurlo. La qualità di un prodotto fatto in casa non riguarda solo i suoi valori nutrizionali, ma anche morali. Se il lavoro ci “sfratta” da casa nostra, c’è qualcosa che non va (intendo la “casa” anche come unità di misura dei valori di dignità e rispetto).


GRAZIAMARIA TIOZZO

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Fornai anche noi

Anch’io voglio diventare fornaia, mi sono detta. Mi entusiasmo sena freno, quando leggo storie di piccola creatività operosa. E in effetti per noi cristiani parlare di pane contiene sempre un suggerimento propositivo. Ci sarà da porgere – quasi come facendolo da capo, come l’abc – agli uomini e donne che ci stanno accanto nel quotidiano la carezza di un Dio che si è fatto e si fa pane. Compagnia presente, che nutre e unisce. Sarà un bene di prima necessità, già lo è. La tentazione della disperazione e le voci sempre più gridate di un pensiero dominante alla deriva spalancano scenari cupi.

Chiudiamo la porta, cioé: non curiamoci dell’astratto, del vago e delle voragini della paura. Curiamoci degli ingredienti della nostra cucina, facciamo dar loro frutto in modo che la speranza abbia volti, sapori e odori.

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