Confermando il posto centrale di san Giuseppe nella storia della Salvezza, papa Francesco mostra come Dio abbia scelto il potere creativo dei più umili per rovesciare la logica schiacciante della forza e della potenza.
Papa Francesco non ha finito di sorprenderci. Spesso presentato, nella Chiesa come nei grandi media internazionali, come l’alfiere del progressismo, eccotelo qua che nella solennità dell’Immacolata concezione pubblica una lettera apostolica – Patris corde – «in occasione del 150º anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale patrono della Chiesa universale». Con ciò si tornava ad onorare una delle devozioni più apparentemente “vecchiotte” della fede cattolica, segnata dallo spirito sulpiziano della fine del XIX secolo.
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Ammettiamolo francamente: non possiamo dire che dopo il Vaticano II la devozione a san Giuseppe sia stata tenuta in grande considerazione, nel cattolicesimo. Papa Francesco ricorda invece che egli s’inscrive nella scia e nella fede dei suoi predecessori, i quali «hanno approfondito il messaggio contenuto in
hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza: il Beato Pio IX lo ha dichiarato «Patrono della Chiesa Cattolica»,[2] il Venerabile Pio XII lo ha presentato quale “Patrono dei lavoratori”[3] e San Giovanni Paolo II come «Custode del Redentore».[4] Il popolo lo invoca come «patrono della buona morte».[5]
La cura degli umili
La proposito del santo Padre
è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia.
Papa Francesco desidera rendere omaggio a tutti quelli che, nella vita quotidiana, si impegnano al servizio dei fratelli e della società, lontano dalle telecamere e dal circo politico-mediatico. Egli ha voluto condividere delle “riflessioni personali” per incoraggiarle e sostenerle:
Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine.
Foss’anche solo per questo, il nostro papa guadagna qui la nostra gratitudine col suo pensiero per gli umili, per gli invisibili della storia ufficiale, per quelli che, a partire da un impegno personale, tessono malgrado tutto i legami di cui le società individualiste hanno tanto bisogno.
Accogliere la propria debolezza.
In un passaggio di grande finezza psicologica e spirituale, il Santo Padre spiega:
Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza.
In poche righe il papa confonde lo spirito del mondo – di cui conosciamo il principe –, spirito che vorrebbe che fosse la sola forza a permettere di vincere. L’accogliere in noi le nostre fragilità e debolezze, sotto il tenero sguardo di Gesù, è condicio sine qua non per la carità verso il nostro prossimo. Quest’esperienza si vive in particolare nel sacramento della penitenza. Evocare il rischio della tenerezza è dunque un passaggio di particolare intensità.
Trasformare un problema in soluzione
Papa Francesco si propone di restituire coraggio ai semplici fedeli che siamo:
A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza.
Quanta speranza in queste righe, per noi che effettivamente troppo spesso abbiamo la sensazione che le nostre vite siano ormai alla mercé di forze che ci soverchiano. Il Santo Padre ci invita al coraggio “creativo” (come gli amici del paralitico che finiscono per passare dal tetto della casa).
Con questo testo assai forte, papa Francesco si staglia nettamente sopra le abituali politiche in cui troppo spesso i commentatori analizzano il suo pontificato, la sua politica, i suoi gesti e le sue dichiarazioni. Come per tutti i papi, è proprio lì che lo aspettiamo, come un padre che «spalanca sempre spazi all’inedito».
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]