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Il “bambino del miracolo” nato in Libano il giorno dell’esplosione

JAD HOLDS HIS SON NABIL
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Maria Lozano - pubblicato il 15/12/20
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“Dico continuamente a mio figlio ‘Sei vivo perché Cristo ti ha salvato. Tua madre ed io siamo rimasti entrambi feriti, ma tu non hai riportato un graffio. Non dimenticarlo mai’”Il 4 agosto avrebbe dovuto essere il giorno più felice della vita di Jad, un giovane libanese. Era il giorno in cui la moglie Christelle ha partorito il loro bambino, Nabil, al St. George’s Hospital di Beirut, in Libano.

La loro felicità è durata appena 15 minuti, perché alle 18.07 di quel giorno 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio sono esplose all’Hangar 13 del vicino porto di Beirut. Più di 200 persone sono morte, e oltre 6.500 sono rimaste ferite.

“Tutto volava per aria; ho pensato che fosse scoppiata la guerra. Il mio primo pensiero è stato per mia moglie e mio figlio. È stato un miracolo. Quando vedo la culla in cui giaceva Nabil posso solo rendere grazie a Dio. Stava direttamente sotto la finestra, coperto da schegge di vetro che si erano conficcate nelle lenzuola come piccole lance. Ma Nabil è rimasto completamente illeso”, ha riferito l’insegnante 32enne ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).

Jad ha preso il bambino in braccio e si è meravigliato. Qualcosa di simile dev’essere accaduto nella stalla di Betlemme, a circa 200 chilometri a sud di Beirut, quando Giuseppe ha posato per la prima volta gli occhi sul neonato. All’epoca, 2.000 anni fa, Dio ha protetto anche quel Bambino.

Il St. George’s Orthodox Hospital, il più antico e uno dei tre più grandi ospedali del Paese, è stato quasi completamente distrutto. Christelle ha dovuto essere trasferita con Nabil in un altro ospedale a più di 50 chilometri di distanza.

Sono stati momenti molti difficili per il giovane padre, la cui vita è stata cambiata radicalmente come è cambiata quella di San Giuseppe quando, dopo essere stato avvertito dall’angelo in sogno, ha preso il bambino e sua madre ed è fuggito in Egitto (Mt 2, 14).

“L’esplosione ha cambiato la mia vita”, ha confessato Jad ad ACN. Nonostante tutte le difficoltà, dice di aver lavorato e lottato per costruire il Paese “che amo”.

“Per rimanere, però”, ammette, “abbiamo bisogno di sicurezza e della sensazione che qualcuno si prende cura di noi cristiani. Ci sentiamo soli, abbandonati, dimenticati”.

Gli effetti delle deflagrazioni sono stati tremendi. 300.000 persone sono state direttamente interessate dall’esplosione, che ha devastato soprattutto il quartiere cristiano della città. Migliaia di persone si chiedono come sopravvivranno all’inverno.

Ancora una volta, Beirut ricorda Betlemme, dove non c’era spazio per Dio nel primo Natale. La crisi sociale, politica ed economica del Libano aveva già fatto sprofondare il Paese in una profonda povertà.

In tutta questa oscurità, Jad ricorda ogni giorno il miracolo della nascita del suo primogenito: “Dico continuamente a mio figlio ‘Sei vivo perché Cristo ti ha salvato. Tua madre ed io siamo rimasti entrambi feriti, ma tu non hai riportato un graffio. Non dimenticarlo mai’”.

“Gesù era con te in quel momento. Non avere paura, sarà sempre con te”.

I tre Re Magi hanno portato in dono al Bambino a Betlemme oro, incenso e mirra. Che dono desidera Jad per suo figlio? Il giovane padre risponde senza esitazione: “Pace, sicurezza – e la forza per portare la croce di Cristo”.

“Essere vicini a Cristo significa portare su di sé la croce. Mio figlio ha vissuto questa realtà fin dal suo 15° minuto di vita, e noi cristiani in Libano lo sappiamo fin troppo bene”.

“Abbiamo vissuto guerre e persecuzioni. Siamo vivi perché abbiamo una missione da compiere. Dobbiamo testimoniare Cristo. È questo che implica la croce”.

Nella fotografia, Jad tiene in braccio Nabil (© ACN)

Questo articolo è stato pubblicato originariamente da Aiuto alla Chiesa che Soffre ed è ripubblicato in questa sede per gentile concessione. Per ulteriori informazioni sulla missione di ACS in aiuto alla Chiesa sofferente, visitate il sito https://acs-italia.org/.