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Giovanni Battista ci mette in guardia dal pericolo di “convertirci per finta” 

St. John the Baptist

Anton Raphael Mengs (1728–1779) | Google Art Project

Fr. Jean-Thomas De Beauregard, o.p. - pubblicato il 07/12/20

Se durante questo periodo di Avvento apriamo il nostro cuore, confessando i nostri peccati e rimettendo nelle mani di Dio il nostro desiderio di conversione, allora il nostro cuore non sarà un “villaggio Potëmkin”, ma un luogo in cui Gesù sia davvero a casa sua. 

Si racconta che nel 1787, quando l’imperatrice Caterina II (“la Grande”) di Russia intraprese una visita della Crimea, allora ai confini del suo impero, il suo ministro Grigori Potëmkin avesse camuffato la povertà dei villaggi disponendovi delle magnifiche facciate di cartapesta per fare buona impressione. Della fondatezza storica dell’aneddoto si hanno ragioni di dubitare, ma resta solida la locuzione “villaggi Potëmkin” che ad esso si riferisce.


THE BIRTH OF Saint John THE BAPTIST

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Quando Giovanni Battista, in questo Avvento, ci esorta a «preparare le vie del Signore» (Mc 1,1-8), non facciamo spesso del nostro cuore un villaggio Potëmkin? Uno sforzo qua, una preghiera là… ed ecco che una superba facciata viene a camuffare le rovine del nostro cuore. Abbiamo preparato la strada per l’arrivo del Signore… solo che Gesù Cristo non s’inganna facilmente come Caterina II! Egli sonda le reni e i cuori e conosce tutte le nostre miserie.

Fortunatamente, però, egli è pure più misericordioso dell’imperatrice e non ci manda a morire in Siberia. In tal senso scherzava sul letto di morte il poeta tedesco Heine, agonizzando: «Ma certo che Dio mi perdonerà: è il suo mestiere!». Senza dubbio, perdonarci è il mestiere di Dio, ma questo esige da parte nostra una reciprocità di amore che comincia col desiderio della conversazione. Non è poi molto, anzi è cosa infima e perfino ridicola in rapporto all’immensità della gioia in cui il perdono divino ci introduce, ma questo semplice desiderio di conversione è assolutamente necessario.

Non facevano finta

Per esortarci alla conversione, Giovanni Battista si ritira nel deserto. Quel luogo di solitudine e di lotta spirituale diventa rapidamente il crocicchio delle nazioni, tanto la sua (pure non tenera) predicazione anima le folle. Come il Curato d’Ars o padre Pio, Giovanni Battista attira migliaia di persone in un luogo isolato con la sola forza della sua parola e del suo esempio. Bisogna credere che siano l’esigenza e la radicalità ad attirare – e non soltanto il gusto dello spettacolo e del meraviglioso –, perché le parole di Giovanni Battista (come quelle del Curato d’Ars o di padre Pio) possono essere dure. I profeti dell’Antico Testamento non avevano lavorato poi malaccio, se il popolo giudeo si precipitava in massa nel deserto per confessarsi peccatore, proclamare il proprio desiderio di conversione e disporsi a ricevere il perdono che Dio voleva dare.

Quegli uomini che venivano a incontrare Giovanni Battista non assumevano pose: volevano veramente preparare i loro cuori, e non passarci sopra una mano di religiosità senza scartavetrarne l’empietà. Certamente non saranno mancate le curiosità mondane, attorno al profeta irsuto – questo sant’uomo marginale che vestiva in pelli di cammello e mangiava insalata di cavallette (molto più del suo “successore” Gesù, aveva il profilo del leader religioso, lui!). Quell’angoletto di deserto era diventato the place to be. Chi ci andava, però, si recava a confessare pubblicamente i suoi peccati e a ricevere un battesimo di conversione – doveva esserci insomma una motivazione propriamente spirituale.

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Public Domain

Il grido del peccatore

Attraverso la voce di Giovanni Battista quelli che erano attratti da lui sentivano il grido dei loro padri nella fede. Nella Genesi, il sangue di Abele aveva gridato verso il Signore per ottenere la riparazione del crimine di Caino. Poi sarebbe stata Rachele a gridare verso Dio perché i suoi figli erano morti. Il grido del popolo giudaico attraverso le età è quello del giusto che sperimenta la forza distruttiva del peccato fino alla sua conseguenza ultima, che è la morte. I giudei si precipitavano nel deserto confessando il loro peccato perché ne hanno sperimentato fin troppo gli effetti lungo tutta la loro storia. Contrariamente a noialtri postmoderni, l’esperienza del peccato che li circondava conferiva loro la lucidità necessaria per riconoscere il peccato in loro stessi. Quando Giovanni Battista grida nel deserto, i giudei accorrono perché egli annuncia colui che sulla Croce avrebbe dato una risposta definitiva a tutte le loro invocazioni.

La preghiera del cuore

La prima risposta di Gesù sulla Croce è anzitutto un grido che riecheggia quello del suo popolo “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Gesù è solidale con la sofferenza dell’umanità, che egli ha assunto incarnandosi. Se si fosse fermato a questo, Gesù non sarebbe stato che un profeta fra gli altri, un portavoce di Dio e del suo popolo, ma privo di reale efficacia. Soltanto che un secondo grido risuonò, dalla Croce, e dopo di quello Gesù consegnò lo spirito. La seconda risposta di Gesù sulla Croce è un grido di fiducia e un grido d’amore col quale egli dona la sua vita per la salvezza degli uomini.

È per prepararci ad accogliere questo secondo grido di Gesù sulla Croce che Giovanni Battista ci esorta a convertirci, durante l’Avvento. Gesù, che è il Verbo incarnato, la Parola di Dio, non poteva limitarsi semplicemente a “dire” il suo amore per noi e la sua obbedienza al Padre – il suo è dunque stato un grido. E per dirla tutta, quello spirito che egli consegnò dalla Croce aveva la maiuscola, era lo Spirito santo che ci offriva il mezzo per una vera conversione, che comincia con la “preghiera del cuore” cara agli ortodossi: «Signore Gesù, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me, peccatore». La si può recitare in ogni istante, soprattutto durante l’Avvento.

Nella mano di Dio

È dunque lo Spirito santo che suscita, assiste e corona i nostri sforzi di conversione in questo Avvento. Attenzione qui a distinguere bene tra ascesi eroica o attivismo religioso da una parte… e santità dall’altra. Non sono le nostre opere a salvarci, né il nostro sforzo ascetico e di unione con Dio, ma l’efficacia della Croce di Cristo: è Dio che ci eleva, non siamo noi che ci eleviamo verso di lui. Per dirlo con una formula triviale, non si tratta di stringere le chiappe – l’ascesi eroica – né di sgomitare – l’attivismo religioso –, ma di aprire il nostro cuore – l’accoglienza filiale della grazia –. O per dirlo più elegantemente con le parole del cardinale Daniélou:

L’eroismo mostra quel che può l’uomo, la santità mostra quel che può Dio; ed è per questo che nessuna disposizione umana condiziona la santità – essa non richiede se non la fede.

Non si tratta, evidentemente, di negare il valore dell’ascesi o delle opere, per rifugiarsi in una sciagurata ignavia spirituale col pretesto (fallacemente pio) di onorare l’onnipotenza e l’esclusività dell’iniziativa divina. Combattere il pelagianismo mettendosi in pantofole per attendere la grazia non è il miglior cammino verso la santità… Ma essere veramente cristiani consiste nel mettere tutto il nostro impegno per questo avvento nelle mani di Dio, che sa il nostro desiderio. Se apriamo il nostro cuore durante questo periodo d’Avvento, confessando i nostri peccati e rimettendo nelle mani di Dio il nostro desiderio di conversione, allora il nostro cuore non sarà un villaggio Potëmkine ma un luogo in cui Gesù è di casa: il sobborgo di Betlemme, dov’è nato, quello di Nazaret, dov’è cresciuto, o ancora la Gerusalemme celeste che ci attende. E vi porrà la sua dimora.

San Giovanni Battista, il primo hipster della storia:

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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