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Perché pregare, se Dio sa già tutto?

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Jonas Allert/Unsplash | CC0

Adilson Júnior - pubblicato il 03/12/20

Quando preghiamo, ci apriamo all'azione dello Spirito Santo, che ci santifica e ci rende capaci di rispondere alla chiamata di Dio

Nelle sue catechesi, Papa Francesco parla spesso del tema della preghiera. L’intento è chiaro: promuovere nella Chiesa nuovo coraggio, speciale apprezzamento ed enorme affetto per questo mezzo – il più nobile – mediante il quale si realizza il nostro rapporto con Dio. Ed ecco che la richiesta del Sommo Pontefice nell’affrontare questa materia è diventata così espressiva che una volta, quando una persona gli ha detto “Lei parla troppo sulla preghiera. Non è necessario”, la risposta del Papa è stata decisa: “Sì, è necessario. Perché se noi non preghiamo, non avremo la forza per andare avanti nella vita. La preghiera è come l’ossigeno della vita. La preghiera è attirare su di noi la presenza dello Spirito Santo che ci porta sempre avanti. Per questo, io parlo tanto sulla preghiera”.

Ma alla fin fine a cosa ci sta esortando il Papa? Perché si parla tanto del fatto di pregare quando potremmo fare qualcosa di più concreto, che dia risultati immediati e visibili?

Attualmente si constata una tendenza crescente a sminuire la vita spirituale, la cui base è senz’altro la preghiera. Questa indifferenza si basa fondamentalmente su questa domanda: “Se Dio sa tutto, perché dovrei esporgli le mie necessità, frustrazioni, gioie? Perché sprecare tempo dicendo a Dio quello che sa già?”

Pregare non presuppone il fatto di dubitare dell’onniscienza di Dio. Di fatto, essendo Egli il Creatore di tutte le cose, il Sommo Bene che sostiene l’esistenza in Sé, è impossibile che esistano barriere che offuschino il Suo sapere, e Gli è noto assolutamente tutto.

Dipendenza da Dio

Preghiamo, quindi, non per informare Dio delle varie vicissitudini della nostra vita quotidiana – come se Egli ne avesse bisogno. No! Preghiamo perché di fatto ci riconosciamo creature, e questo fatto implica dipendenza da Dio; anzi, implica la nostra sincera volontà di abbandonarci nelle Sue mani, come chi aspetta tutto sapendo di non meritare nulla, confidando senza riserve nella Sua Provvidenza, come ci ricorda il Pontefice: “La preghiera di Gesù infine è abbandonarsi nelle mani del Padre, come Gesù nell’Orto degli Ulivi, in quell’angoscia: ‘Padre se è possibile …, ma si faccia la tua volontà’. L’abbandono nelle mani del Padre. È bello quando noi stiamo agitati, un po’ preoccupati e lo Spirito Santo ci trasforma da dentro e ci porta a questo abbandono nelle mani del Padre: ‘Padre, si faccia la tua volontà’”.

Nonostante quello che credono molti, pregare non è una ripetizione superflua di formule pronte, né una pratica frivola e imprescindibile destinata in modo ristretto alle anime contemplative. Per tutti coloro che cercano di configurarsi a Cristo e di edificare in Lui la vita, sulla base della Verità, è una cosa intrinsecamente necessaria alla fortificazione della fede mediante la quale siamo salvi e la cui ascesa non si verifica in modo soddisfacente solo in ambito intellettuale, ovvero ha bisogno di essere coltivata nello spirito, in cui Dio ci parla. In questo senso, pregare non è altro un gesto di conformità nei confronti del progetto salvifico di Nostro Signore che si instaura nella storia di tutti i battezzati.

Quando preghiamo, ci apriamo all’azione dello Spirito Santo che ci santifica e ci rende capaci di rispondere alla chiamata di Dio, di ordinare la nostra vita all’ascolto e all’obbedienza alla Sua Parola.

Non preghiamo da soli

Grande è tuttavia l’equivoco di chi si ritiene capace di ottenere, per i propri meriti, le grazie derivanti dalla preghiera. Ciò si giustifica col fatto che non preghiamo da soli, né per i nostri meriti irrisori. Lo facciamo in comunione ecclesiale e per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo. È la Sua voce che il Padre deve ascoltare quando preghiamo. Alla fine, il corpo della Chiesa, in quanto partecipe al sacerdozio di Cristo, trova nell’esercizio della preghiera questa prerogativa singolare: estendere il dialogo tra l’Eterno Padre e il Divin Figlio, partendo dall’azione santificante dello Spirito Santo – azione che unifica la Chiesa e le fa raggiungere il valore salvifico di questo dialogo. Per questo, se preghiamo lo facciamo per Cristo, con Cristo e in Cristo. È in Suo nome e per i Suoi meriti infiniti che otteniamo le grazie abbondanti che derivano dalla preghiera.

È in questo senso che Papa Francesco ha affermato magistralmente in una delle sue catechesi: “Gesù non è solo testimone e maestro di preghiera, è di più. Egli ci accoglie nella sua preghiera, perché noi possiamo pregare in Lui e attraverso di Lui. E questo è opera dello Spirito Santo. È per questa ragione che il Vangelo ci invita a pregare il Padre nel nome di Gesù. San Giovanni riporta queste parole del Signore: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio»”.

Potere trasformatore

In sostanza, prescindere dalla preghiera non è un atteggiamento da vero discepolo di Gesù. Al contrario, questa fuga implica l’autosufficienza dell’uomo, che ha preso da subito la risoluzione di vivere lontano da Dio, risoluzione che nell’eternità potrà diventare definitiva. Nostro Signore ci invita a pregare con Lui, a riporre la nostra fiducia nel Suo Ausilio Divino perché, uniti gli uni agli altri e nel Suo Nome, camminiamo verso la preghiera perfetta, quella che si verifica nella gloria dei cieli.

Non allontaniamoci, quindi, da un dono così sublime! Preghiamo, e preghiamo molto, perché, come ci ricorda il Papa, “la preghiera ha il potere di trasformare in bene ciò che nella vita sarebbe altrimenti una condanna; la preghiera ha il potere di aprire un orizzonte grande alla mente e di allargare il cuore”. Di fatto, senza di essa diventiamo sterili rispetto all’azione di Dio, anemici nell’amore per il prossimo e vacillanti nel cammino di salvezza.

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