7 domande alla regista Elisa Fuksasdi Gloria Satta
A 39 anni, la regista Elisa Fuksas ha trovato la fede. Si è battezzata sfidando la propria educazione laica, le sue certezze, il suo ambiente di sinistra. E ha raccontato questo inaspettato percorso spirituale nel romanzo autobiografico «Ama e fai quello che vuoi» (Marsilio), profondo ma al tempo stesso disincantato, scandito come l’anno liturgico. E sempre sincero.
È esagerato parlare di conversione?
È più esatto dire che il battesimo è stato l’evento epocale della mia vita. La prima, vera rivendicazione di autonomia, la fondazione della mia identità e la scoperta della dimensione spirituale. Prima, per me, le chiese erano solo dei luoghi d’arte.
È cresciuta agnostica?
Più che agnostica, sono stata una persona moralista, fortemente ideologizzata. In linea con il mio ambiente: malgrado le continue rivendicazioni di libertà, la sinistra esprime un deciso dogmatismo.
Ed è stato difficile far capire la sua scelta a parenti e amici?
Sì. Nel mio mondo chi crede è considerato strano, qualcuno che si è perso o si è aggrappato alla fede in seguito a un dramma personale. Niente di più lontano dal mio caso: mi sono avvicinata a Dio gradualmente, grazie all’incontro con alcune persone che mi hanno aperto gli occhi.
Quali?
Un prete che vedendomi terrorizzata dalla morte mi ha suggerito di battezzarmi, monsignor Giuseppe Betori (cardinale, arcivescovo metropolita di Firenze, ndr) che a 45 anni dal matrimonio civile ha sposato in chiesa i miei genitori, un collega di lavoro che mi ha parlato della fede. E oggi credo in maniera razionale, senza fanatismi.
Pensa di essere molto cambiata?
Sì, mi sento finalmente libera. Ma sono rimasta la stessa di ieri con le mie virtù, i dubbi e i difetti. Non rinnego il passato.
È casuale il fatto che l’incontro con la fede si sia intersecato con la sua scoperta di avere un tumore alla tiroide, circostanza da lei raccontata nel film «iSola»?
Nello stesso periodo ho saputo che anche la mia migliore amica aveva un brutto male… Sono convinta che Dio non ci metta alla prova o ci punisca, eppure ho vissuto la scoperta della malattia durante il lockdown e l’operazione affrontata a un anno esatto di distanza dal battesimo come circostanze non casuali che mi spingevano a confrontarmi sempre più con il nuovo percorso di vita. In poche parole, come dei segni di Dio.
La nuova condizione di credente influirà sul suo lavoro?
Senza alcun dubbio. Sto pensando a un nuovo film e faccio fatica a trovare una storia che non aggiunga rumore al rumore in cui siamo immersi, confusione alla confusione. Una storia che sia davvero necessaria. La troverò.