Gli oratori di un simposio a New York esortano a fare più attenzione alla persecuzione religiosa in AfricaUn sostenitore dei cristiani in Medio Oriente vede gli stessi modelli che li minacciano ripetuti in Nigeria e in altri Paesi africani.
Stephen M. Rasche, co-fondatore e direttore esecutivo dell’Institute for Ancient and Threatened Christianity, ha affermato che negli ultimi tre anni si è verificato un “drammatico aumento della violenza contro i cristiani in Nigeria”. Insieme a questo, ha constatato un “miscuglio tossico di fanatismo religioso che crea metastasi su uno sfondo di Governi profondamente corrotti, complici o indifferenti e una situazione economica ed educativa al collasso”. Questi modelli, ha affermato, stanno portando all’aumento della violenza religiosa contro persone innocenti, “in cui vengono simultaneamente messe in atto motivazioni parallele per ottenere guadagni materiali illegali”.
Rasche, che è anche vice-cancelliere dell’Università Cattolica di Erbil, nel nord dell’Iraq, ha partecipato a un simposio a New York concentrato sulla persecuzione dei cristiani nel mondo. L’incontro, intitolato Act In Time (Agire In Tempo), è stato convocato dalla Anglosphere Society, e ha riunito oratori sia in presenza che virtualmente per esaminare le tendenze in atto in varie parti del mondo, tra cui Medio Oriente, Africa e Cina.
Co-sponsorizzata dai Cavalieri di Colombo, dal Center for Religious Freedom at the Hudson Institute, dall’Institute for Ancient and Threatened Christianity e dalla Catholic Near East Welfare Association, la conferenza era dedicata alla memoria di Andrew T. Walther, ex Cavaliere di Colombo che ha dedicato buona parte della sua carriera alla protezione e al sostegno ai cristiani perseguitati in Medo Oriente e altrove, morto a 45 anni di leucemia il 1° novembre.
“La minoranza religiosa perseguitata dell’Iraq non aveva amico migliore”, ha commentato l’arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda di Erbil. “Il fatto che Andrew sia morto il giorno di Ognissanti non è per me un caso. Ci mancherà più di quanto possiamo esprimere”. Le considerazioni finali della conferenza sono state affidate al cardinale Timothy M. Dolan di New York.
La Nigeria sull’orlo del baratro
Rasche ha avvertito che mentre i cristiani in Nigeria affrontano pressioni crescenti, “gli analisti e i policy makers internazionali continuano a concentrarsi esclusivamente sulle motivazioni materiali della violenza, e fin troppo spesso giungono alla contorta conclusione per la quale a verificarsi sono dispute territoriali ed economiche prive di qualsiasi violenza dettata da motivazioni religiose”.
Queste conclusioni, ha affermato, “non reggono di fronte agli indicatori principali sul terreno: le testimonianze delle vittime”.
A sostegno di questa affermazione, ha mostrato video di testimonianze di numerose vittime della violenza in Nigeria, dove il suo Institute for Ancient and Threatened Christianity sta iniziando a documentare l’oppressione.
La violenza, ha osservato, consiste in attacchi che hanno una base religiosa, parzialmente o del tutto. Agli sfollati e ai sofferenti, poi, non sta arrivando alcun aiuto governativo o internazionale, offerto solo da ONG con base ecclesiale o private.
“Allo stesso modo, non si sta fornendo né offrendo protezione e giustizia ai cristiani afflitti”, ha sottolineato Rasche, indicando che “un tema ricorrente è invece il fatto che il Governo nella migliore delle ipotesi non sta facendo niente, e nel peggiore è complice”.
Un vescovo nella sede del califfato
Al simposio hanno offerto la propria testimonianza anche il vescovo Matthew Kukah, alla guida della diocesi di Sokoto, in Nigeria, e Steven S. Enada, co-fondatore di International Committee on Nigeria.
Enada ha affermato che negli ultimi 10 anni sono stati uccisi più di 62.000 Nigeriani, oltre 500 chiese sono state distrutte e più di 3 milioni di persone sfollate. Oltre a questo, “più di 35.000 ragazze sono oggetto di traffico sessuale nel Mediterraneo”.
Il vescovo Kukah si è riferito a Sokoto come alla “sede del Califfato, più o meno un Vaticano dei musulmani in Nigeria”.
Se alcuni osservatori attribuiscono la violenza al cambiamento climatico o “semplicemente a un conflitto tra agricoltori e allevatori Fulani”, il vescovo ha affermato che molti ignorano la questione centrale della persecuzione dei cristiani.
“E i sacerdoti vengono uccisi. Gli uomini e le donne di Chiesa sono stati uccisi nelle loro chiese, e queste sono state distrutte in tutto il Paese”, ha lamentato.
Oltre a questo, nella maggior parte degli Stati nigeriani a maggioranza musulmana, i governatori non sono disposti a firmare certificati di occupazione e a mettere a disposizione dei terreni per la costruzione delle chiese. “Se sto cercando un appezzamento per costruire una chiesa, devo comprare la terra e per altri mezzi fare mille giri per riuscirci”, ha lamentato il vescovo.
Nel frattempo, ha aggiunto, il 99% delle moschee nel nord della Nigeria viene costruito dai Governi statali e con fondi statali.
Verso una soluzione
Gli oratori hanno proposto varie idee su come affrontare la questione. Rasche, il cui istituto lavora per preservare le culture e i popoli cristiani antichi e minacciati, ha espresso la speranza che la politica estera della nuova Amministrazione statunitense inizi ad “affrontare onestamente ciò che sta avendo luogo in Nigeria e non trascuri la voce dei cristiani oppressi e perseguitati che cercano disperatamente di dire al mondo la verità su ciò che sta accadendo qui”.
Il vescovo Kukah ha parlato della necessità di una risposta economica alla crisi e dell’importanza di impegnare la “comunità di fede”.
“Dobbiamo incoraggiare il Governo a portare avanti alcune delle cose che il Presidente Trump e pochi altri hanno provato a fare, ovvero vanno coinvolte le comunità di fede”, ha detto il presule, “perché nella maggior parte dei Paesi africani, se si chiede alla gente per strada, è più probabile che ascolti i vescovi e i leader ecclesiali piuttosto che i politici. Abbiamo capito che c’è un grave deficit di fiducia nella classe politica, mentre si confida molto nei leader religiosi”.
“Da punto di vista della responsabilità, della trasparenza e così via”, ha concluso il vescovo Kukah, “se vengono coinvolte le comunità di fede possiamo essere quasi certi 1) di avere garanzie per il futuro della cristianità e 2) di avere garanzie per il futuro dell’umanità”.