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La storia di un bambino dato per spacciato e oggi atleta paralimpico

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Jenny Sturm | Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 23/11/20

La testimonianza di una madre ed una famiglia coraggiosa che ha adottato un bambino con grave disabilità esorta i medici a sostenere sempre la speranza dei genitori e lottare con loro

Ci sono delle storie che aprono potentemente il cuore e la mente alla speranza: quella di Giusy Amato e della sua famiglia è una di queste, e stimola in tutti noi riflessioni e interrogativi molto profondi. Ce la racconta Giovanna Pasqualin Traversa sull’Agensir.

Nel dicembre di 23 anni fa Giusy come ogni giorno si reca all’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo dove come psicologa si occupa dei bambini oncologici, spesso in fase terminale, e dei loro familiari, oltre a sostenere il personale sanitario che di fronte a queste terribili esperienze rischia di scivolare in burn out.

Mario 15 mesi e solo 6 chili di peso oggi atleta paralimpico

Per questo ultimo motivo quella mattina incontra un’infermiera mentre sta preparando Mario, un bambino di 15 mesi e soli 6 chili di peso, che non parla e non cammina, il quale deve sostenere il suo quindicesimo intervento neurochirurgico.

“Mi sono innamorata subito di quell’uccellino ferito”

Nato prematuro, con spina bifida, idrocefalo e piedi torti, il bimbo è stato subito abbandonato, per cui non c’è nessuno ad accompagnarlo in pre-anestesia.

Mi sono innamorata subito di quell’uccellino ferito, stanco, che si lamentava senza nemmeno la forza di piangere e ho capito che non l’avrei più lasciato. (Ibidem)

Giusy Amato lo stringe a sé mentre lui la fissa un momento con uno sguardo che sembra chiederle se verrà abbandonato anche stavolta, e poi si addormenta.




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Già mamma di 5 figli

Giusy ha già maturato la sua decisione: appena torna a casa parla di quell’incontro con il marito medico, allora vicedirettore sanitario dell’ospedale, e con Valentina la figlia dodicenne.

La famiglia è già numerosa, perché oltre ai genitori ci sono 5 figli, tre maschi e due femmine, che con Mario diventerebbero sei.

“Dove stiamo in cinque possiamo stare in sei”

Di fronte alla proposta della madre di accogliere Mario a casa loro nel periodo di Natale, Valentina non ha esitazioni:

Qual è il problema? Dove stiamo in cinque possiamo stare in sei. (Agensir)

Il 23 dicembre, nonostante i tentativi di scoraggiare questa scelta da parte di molti, Mario entra in casa Silvestri da cui non uscirà più.

Dopo 1 anno di affido iniziano le procedure per l’adozione

Fino a quel momento è stato poco stimolato e ha rimesso 6-8 volte al giorno: in poco tempo il vomito diminuisce con il conseguente aumento di peso. Dopo Capodanno, sentendo i fratelli, comincia a pronunciare “mamma” e “papà”, e rapidamente il suo vocabolario si amplia: dopo un anno di affido viene attivata la procedura per l’adozione.

Il percorso di miglioramento non è semplice: in Italia gli viene pronosticato un futuro in allettamento, mentre un centro di riabilitazione pediatrico tedesco sostiene la speranza che la fisioterapia continua potrà portare ad esiti ben diversi.

Mario oggi ha 24 anni ed è un atleta paralimpico

Oggi Mario ha 24anni, un diploma di ragioniere ed è un atleta paralimpico nella specialità lancio del disco.

Come dice la madre ha imparato a gestire i suoi limiti nella memoria a breve termine con idonee strategie di compensazione. Cosa ha significato Mario per la famiglia Silvestri? È sempre Giusy a rispondere:

Molto di più di quanto non abbia ricevuto. È il nostro raggio di sole ed è stato un modello pedagogico perché ha educato i fratelli a ridimensionare le proprie difficoltà e delusioni e a comprendere quali sono le priorità, le cose davvero importanti nella vita. (Ibidem)

ANNALISA SERENI

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L’accorato appello di Giusy

Quando le si ricorda che in Olanda è stata introdotta l’eutanasia, dopo quella per i piccolissimi 0-12 mesi e gli over-dodicenni, anche per i bambini da 1 a 12 anni, questo è il suo accorato appello:

Si parla di interruzione di vita intenzionale concordata tra medici e genitori; ma quale genitore “concorda” di uccidere il proprio figlio? Le stesse persone – anche medici – che 23 anni fa mi consigliavano di abbandonare Mario al suo destino dandolo per spacciato, vedendoci oggi dicono che non avrebbero mai immaginato che potesse vivere così a lungo e raggiungere i traguardi che ha conseguito. (Agensir)

Medici, non chiudete mai le porte di fronte a un bambino terminale

E proprio a tutti i medici che ragionano così io vorrei dire, in base alla mia esperienza: non chiudete mai le porte di fronte a un bambino terminale o in condizioni gravi o gravissime. Non togliete la speranza ai genitori. Sono fragili, smarriti. Io capisco la loro disperazione: vedono il figlio soffrire e si sentono soli e impotenti… Non si devono sentire abbandonati. Non hanno bisogno di questo tipo di “soluzioni” ma di essere accompagnati e sostenuti, di medici che dicano loro: siamo con voi. Proviamo a lottare insieme! (Ibidem)

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