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Giovane star di MasterChef Junior muore di tumore a 14 anni

BEN WATKINS

Inside edition | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 19/11/20

Ben Watkins era affetto da un tumore che colpisce solo sei persone al mondo. Nel 2017 aveva superato un'altra grande tragedia: l'omicidio-suicidio dei suoi genitori.

È morto lunedì scorso per un rarissimo tumore ai tessuti molli chiamato istiocitoma fibroso angiomatoide. La storia di Ben Watkins è difficile quanto pronunciare il nome della sua patologia, un tumore molto raro – e nella forma che ha colpito Ben sembra addirittura rarissimo –  “con basso grado di malignità che colpisce i tessuti molli prevalentemente degli arti in bambini e giovani adulti” (cfr EJPD).

Era apparso nella sesta edizione americana di MasterChef Junior nel 2018, guadagnandosi l’affetto di tutti e stupendo anche Gordon Ramsay per le qualità culinarie. Quell’esperienza televisiva gli era servita per superare un altro grave lutto: nel 2017 il padre di Ben aveva ucciso la madre e poi se stesso.


ALBERTO MERONI

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Una foto con mamma e papà

A mettere in fila i tasselli di questo racconto torna alla mente Giobbe. E resta aperta la domanda: perché questo accanimento della sventura?

Nel 2011 la famiglia Watkins si trasferì a Gary in Indiana per sfuggire all’alto tasso di criminalità di Chicago, Ben aveva 5 anni. Per sei anni il loro ritratto di vita è fatto di una quotidianità semplice, addirittura idillica dal gennaio 2017.

Leila, la mamma di Ben, aveva un negozio di vetri artistici accanto al ristorante che il marito era riuscito ad aprire, il Big Ben’s Bodacious BBQ – nome scelto pensando al figlio. E Ben in quel ristorante ci lavorava insieme al padre, stava alla cassa, prendeva gli ordini e offriva i dolci fatti con le sue mani. Sognava di diventare grande e aprire un locale tutto suo.

Il 16 settembre dello stesso anno, la tragedia familiare: omicidio-suicidio. Il padre Mike uccide la moglie Leila e poi si suicida. Ben perde entrambi i genitori e non ci sono ragioni evidenti che giustifichino l’atto paterno (ma esiste forse una ragione in grado di spiegare fino in fondo un gesto simile?)

Gli restano la nonna e lo zio, che lo crescono. Ha scelto lui la foto da mettere sulla tomba dei genitori:

“Voglio una foto di mia madre con mio padre” – ha detto il ragazzino di 11 anni mentre cercava sull’IPad la foto giusta dei genitori deceduti. (da Chicago Tribune)

Un gesto fortissimo: da figlio ricuce ciò che si è lacerato. Talvolta le preghiere migliori non sono espresse con parole.

MasterChef Junior

Prima che i suoi genitori morissero, Ben aveva aiutato nel ristorante di famiglia che portava il suo nome. Anche se il ristorante è stato chiuso dopo la tragedia familiare, l’aspirante chef è rimasto appassionato di cibo. (da Today)

All’indomani del lutto terribile, la comunità cittadina attorno alla famiglia Watkins ha accompagnato il bambino rimasto orfano istituendo un fondo per permettergli di proseguire gli studi. Accanto a lui, a sostenerlo ogni giorno, c’erano lo zio Edward e la nonna Donna:

“Sta facendo i conti con la cosa, ovviamente. Ma è bravo, tutto considerato – ha detto lo zio Edward mentre Ben finiva la cena – Prendiamo un giorno alla volta”

“E preghiamo molto” ha aggiunto la nonna. (da Chicago Tribune)

La partecipazione a MasterChef Junior l’anno seguente alla tragedia familiare è stato un momento di grande gioia ed entusiasmo per Ben. Nel ricordarlo, oggi che è scomparso, anche il giudice e cuoco Gordon Ramsay lo ha definito estremamente dotato nel cucinare.

Forse la mia voce di madre apprensiva e vigile prevale nel guardare questi fatti, un gran timore mi tratterrebbe dall’esporre alla grande platea mediatica un bambino con una ferita così grande nel cuore. Ma posso immaginare che altrettanta premura ci sia stata da parte della nonna e dello zio. Avranno senz’altro vagliato il bene che poteva nascere dal fargli vivere un’esperienza che lo catapultava nel mestiere a cui sognava di dedicarsi.

A volte in quel programma ci sono sfide davvero assurde, ingredienti impossibili da combinare. E gli chef dicono Devi tirare fuori il piatto. Devi essere abile e creativo abbastanza da trovare la ricetta innovativa e giusta in cui i sapori s’incontrino. Fuori dalla cucina piena di riflettori è più dura. Gli ingredienti della vita di Ben paiono frutto di un piano perfido.

Tumore

Dopo un anno e mezzo di lotta col cancro, lunedì pomeriggio il nostro Ben è tornato a casa per riunirsi con sua madre – hanno scritto [la nonna e lo zio – NdR] – dopo aver perso entrambi i genitori nel 2017 ci siamo meravigliati della sua forza, del coraggio e dell’amore per la vita. (da Western Journal)

Nel 2019 Ben ha scoperto di essere stato aggredito da un rarissimo tumore ai tessuti molli – solo 6 persone al mondo ne sono affette. Non ha cause ereditarie, non c’è altra spiegazione se non ammettere che il suo destino sembra tenuto sotto tiro da un cecchino. Si è curato mantenendo la forza positiva che tutti gli riconoscono, alla fine i polmoni non erano più in grado di respirare.

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L’intero staff di MasterChef Junior lo piange insieme ai suoi cari e a chi lo ha conosciuto anche solo guardandolo in TV. E facendo un giro su alcuni dei tanti siti che rilanciano questa triste notizia si trovano parole bellissime, di stima, di apprezzamento, di compassione. Giustissimo, per carità. Ma ripercorrere la pura cronaca di vita di questo giovane ragazzo di 14 anni non dovrebbe riempirci di una rabbia viscerale per l’impressione evidente che sia profondamente ingiusto ciò che è capitato a Ben?

Perché?

Sono la prima che quando non si vuol far coinvolgere da un fatto, tira fuori la carta della Provvidenza. La uso come il jolly, tanto per mollare in fretta le redini di certi pensieri che – presi sul serio – farebbero davvero scuotere le viscere. Affidarsi all’imperscrutabile volontà di Dio non può essere una scusa per tamponare in fretta ferite che bruciano.

A maggior ragione, in questo nostro mondo che è fiero di mostrarsi liberato dalle grinfie di un Dio Onnipotente, non ci si dovrebbe stracciare le vesti nel raccontare la storia di Ben? Non sarebbe lecito aspettarsi tutto le stridore di sentirsi schiacciaci dentro un cieco e cinico caso?




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Leggere articoli molto ponderati e positivi e melensi, su una vicenda che non ha nulla che la nostra ragione possa accettare, mi dà i brividi. Mi suggerisce un’anestesia preoccupante rispetto alla vertigine della nostra creaturalità e una fuga velocissima dalll’orrore di guardare in faccia la morte.

Per fortuna (nel senso che mi ha aiutato a discernere un’ipotesi non solo lamentevole) ho letto di recente un’intuizione di Anna Maria Canopi in un suo scritto comparso sull’ultimo numero de I luoghi dell’infinito:

Perché? È una domanda che affiora sulle labbra umane fin dalla più tenera infanzia. […] è la domanda del credente quando la luce della fede sembra soffocata dalle tenebre di una notte oscura e senza stelle. È – osiamo dire – il gemito dello Spirito in noi. […] Perché? È la domanda che dà dignità all’essere umano e fa di lui un profeta, una sentinella nella notte del mondo: fa di lui l’uomo per gli altri, che non teme di rivolgere a Dio la sua domanda angosciosa.

Non c’è bisogno di consolazione, ma di una scossa. Essere per gli altri, in questo tempo, forse vuol far salire alla bocca il grido sincero di angoscia quando la realtà brucia. L’anestesia distribuita dai giornali è fittizia: meglio addormentare tutti con un discorso, anziché svegliarli con l’onestà di un grido. Perché il grido presuppone che ci debba essere Qualcuno a cui rivolgerlo …

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