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Come ripartiremo? I quattro scenari possibili per il dopo-Covid

FOULE DANS LA RUE

© blvdone - shutterstock

Pierre-Yves Gomez - pubblicato il 18/11/20

Fra le prospettive per il mondo che uscirà dalla crisi sanitaria, il più probabile è senza dubbio quello di una ripartenza sfumata, ma se le vere trasformazioni che puntano a un'economia più ragionevole non si consolidano, il rischio di una forte crisi sociale è fin troppo concreto.

Lo scorso 14 maggio pubblicavo sull’edizione francese di Aleteia una tribuna che suggeriva quattro scenari per l’indomani della crisi sanitaria [in italiano avevamo invece tradotto questa, alla fine di marzo, N.d.R.]: il ritorno alla “normalità” del capitalismo speculativo; una ripartenza economica in modalità scalata; una rottura sociale brutale o una transizione verso un’economia ragionevole. Sei mesi dopo a che punto siamo? Quali scenari si mostrano più probabili?




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I quattro scenari possibili

Questi quattro scenari si fondano su due semplici ipotesi: da una parte la crisi sanitaria poteva essere percepita come un semplice accidente passeggero o, al contrario, come una rottura economica forte. D’altra parte, il contratto sociale – vale a dire gli equilibri che permettono alle differenti parti di una società di stare insieme – poteva subire (o no) una degradazione da parte della crisi. Donde risultavano logicamente i quattro scenari possibili:

4-Scenari-post-Covid.png
Giovanni Marcotullio
© Pierre-Yves Gomez

Sono scenari, non profezie. Diciamo due linee tracciate per mettere un poco di ordine nella profusione delle informazioni. Non annunciano niente ma si propongono come punti d’orientamento per interpretare i segni dei tempi.

Colpo d’arresto sulla logica speculativa

Lo scenario 1 segnerebbe un semplice ritorno al passato, poiché suppone che la crisi sanitaria non venga percepita come una rottura e che il patto sociale non si degradi? Quella che viviamo sarebbe dunque una semplice parentesi? Impossibile, perché non si potrà tornare come se niente fosse all’economia e alla cultura del periodo precedente la crisi del Covid-19. Abbiamo fatto, individualmente e collettivamente, delle esperienze incancellabili, come quella della quarantena, del telelavoro, dello stop ai viaggi, di ordini e contrordini in fatto di organizzazione, di contraddizione fra scienziati e dell’impotenza della scienza…

Questo ha modificato il nostro modo di consumare, di dare valore alle cose, di dare fiducia a chi governa o di utilizzare gli strumenti tecnologici. Non si può seriamente pensare che la vita riprenderà come se tutto questo non fosse stato vissuto, come se di tante esperienze nessuna traccia dovesse rimanere. Quando non si hanno le risorse intellettuali, culturali, spirituali per immaginare un’economia diversa da quella a cui eravamo abituati fino a quel momento, si può certo ritenere che la crisi sanitaria sia stata un momentaccio da far passare e che dobbiamo tornare alla “normalità” – cioè trovare nuove ragioni per tornare ad agitarci e a speculare per alimentare la macchina economica e mantenere il medesimo livello di attività “di prima”. È uno scenario a cui non crede più quasi nessuno.

Perché? Sembra che si sia rotto qualcosa, nella logica speculativa precedente la crisi. L’agitazione permanente che serviva a molti da euforizzante ha perso potenza. Certamente abbiamo voglia di tornare a uscire e a spostarci facilmente, vogliamo tornare ai viaggi e al consumo frivolo, e in un certo senso a questo torneremo – la società ha l’horror vacui.

È certo che si parlerà, in primavera o in estate, di una straordinaria ripartenza di compere, di un’inaudita ripresa dell’attività. Dopo la depressione brutale che abbiamo conosciuto, tutto sarà sovrainterpretato come un ritorno alla “normalità”. Dubito però che la “normalità” sia nel 2022 la medesima che nel decennio finito nel 2020. La domanda di senso è divenuta patente, e il rischio epidemico tornerà a planare su di noi per anni, e impregnerà ancora a lungo le nostre mentalità.




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Un fondo di scetticismo

Ma non sarà proprio la presenza ossessiva di questo rischio a portarci a una speculazione sulle tecnologie e sugli investimenti destinati a disfarcene? È una possibilità, ma ne dubito perché un secondo effetto ha disinnescato la logica speculativa degli anni 2010: la gestione della crisi sanitaria ha segnato una profonda diffidenza nei confronti delle élites, come pure degli uomini di scienza, degli esperti e delle loro tecnologie.

E anche su questo non vorrei sottovalutare l’energia che speculatori di ogni risma metteranno nello spiegarci che per l’avvenire potremmo essere liberi da rischi pandemici affidando il nostro destino ai robot, alle intelligenze artificiali, ai database e ad altre tecnologie presentate alla pubblica superstizione come soluzioni magiche.

Già ci promettono dei vaccini miracolosi, delle macchine esperte per individuare le epidemie in anticipo, per controllare la nostra salute fin nei dettagli eccetera… Salvo amnesia generale, però, ci ricorderemo sempre che per mesi nessuna tecnologia e nessuno specialista ci ha avvertiti di un virus a torto giudicato insignificante.

Abbiamo fatto l’esperienza dello scarto tra le certezze perentorie dei “saccenti” e l’efficacia pratica delle loro azioni. Ciò lascerà uno strascico di scetticismo nelle mentalità, che renderà meno facilmente persuasive le promesse speculative di domani.




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Una ripartenza in modalità scalata

Allora cambieremo epoca? Non sembrerebbe necessario, se riusciamo a precisare lo Scenario 2: esso si fonda sull’ipotesi che, sebbene la crisi sanitaria abbia colpito fortemente l’economia, il patto sociale abbia retto a sufficienza da evitare una crisi generalizzata. Gli aiuti pubblici hanno permesso di bilanciare la crescita delle ineguaglianze ed hanno attenuato le incertezze sull’avvenire. Il debito pubblico è servito da paracadute, mentre alcune fasce di privati hanno accumulato miliardi di risparmio – miliardi che bisognerà ben investire.

Su questa base, l’economia potrà ripartire, ma in modalità scalata, vale a dire senza l’entusiasmo frenetico degli ultimi decenni, senza convinzione, come costretti a farlo per evitare il fallimento delle imprese. La forza delle abitudini, la necessità di far ripartire gli affari per salvare gli impieghi, una certa voglia di chiudere con ogni sorta di restrizione, ma soprattutto la paura di una trasformazione troppo radicale dei nostri modi di vita condurrà la maggior parte della gente ad accettare che le cose ripartano apparentemente “come prima”.

Nel breve termine, è lo scenario sfumato quello che mi pare più probabile. Il che significa che il patto sociale si sbriciolerà; lo scarto con le élites, la perdita di senso e di progetto comune, le aspirazioni a una società più giusta e più confortevole saranno accentuate ma, una volta di più, velate dalla necessità di far carburare a ogni costo la macchina economica.


Sister Helen Alford

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Vere trasformazioni sono in corso

Vale a dire che abbiamo perso l’occasione di promuovere un’economia più ragionevole, cioè meno costosa in termini energetici (fisici o umani), meno centrata sul rendimento e sulla valorizzazione illimitata del capitale?

Paradossalmente, lo Scenario 3, che anticipa una tale economia, mi sembra nel tempo il più sicuro. Prima o poi saremo obbligati ad arrivarci. La crisi sanitaria sarà forse stata l’occasione di farlo più rapidamente, ma – oltre alle già evocate ragioni per “ripartire come prima” – una rottura brutale nel nostro stile di vita, anche perché esso diventi più ragionevole, avrà una forte risonanza sociale, poiché poco a poco tutti i settori economici dovranno radicalmente riformarsi. Pochi dirigenti pubblici o privati sono pronti ad accettarne le conseguenze.

Eppure le trasformazioni sono già in corso: con la crisi abbiamo fatto esperienza di stili di consumo più giusti, abbiamo preso coscienza dei limiti della globalizzazione, abbiamo visto l’effetto diretto della produzione sull’ambiente, abbiamo attivato nuove forme di solidarietà. Certo, Amazon ha conquistato nuovi settori di mercato, come del resto tutto l’e-commerce, ma parallelamente sono state confermate e incoraggiate delle iniziative di trasformazione economica locale.

L’educazione del consumatore resta da fare: richiederà del tempo, come pure l’adattamento delle imprese alle esigenze di un’economia più ragionevole. Il processo, però, è avviato e la crisi sanitaria ha confermato che si può produrre e consumare con più ragionevolezza e sensatezza.




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Una corsa contro il tempo

Di conseguenza, con lo Scenario 2 – che a oggi considero il più probabile – parte una corsa contro il tempo. Al di là dell’impressione di un “ritornare a come prima”, le trasformazioni verso un’economia più ragionevole continuano, sotterraneamente, portate da migliaia di iniziative locali e servite da politiche pubbliche e private illuminate.

Allora o a piccoli passi ci dirigiamo verso un nuovo sistema di produzione e di consumo oppure ci ingolfiamo in questo falso “ritornare a come prima” e, per viltà individuale e collettiva, ritardiamo le mutazioni del nostro apparato produttivo; le ineguaglianze si intensificano, la diffidenza verso le élites si conferma, la perdita di fiducia nell’avvenire si generalizza, il patto sociale si tende fino a sfuggire improvvisamente: è quello che annuncia lo Scenario 4, quello della rottura sociale inattesa e violenta, che ci costringerebbe ad attuare con urgenza e per necessità le riforme che la saggezza non fosse riuscita a imporre.

Scopri il cammino di una giovane economista verso i voti religiosi:

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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