San Felice (Nola, seconda metà del I secolo d.C. – Nola, 15 novembre 95) era stato ordinato sacerdote da Massimo, vescovo di Nola, sotto la persecuzione dell’imperatore Decio. Essendo fuggito Massimo, Felice era stato preso, messo in prigione e caricato di catene. Ciò nonostante il vescovo Massimo, nel deserto in cui si era ritirato, era vicino a morire di fame e di freddo, mancando di tutto e carico di anni di tristezza e di inquietudine per il suo gregge.
La fuga di Felice
Ma Dio, che veglia sempre sui suoi, non l’abbandonò. Nel mezzo della notte, un angelo del Signore apparve nella prigione di san Felice di Nola e lo risvegliò con le sue parole e con lo splendore della sua luce. Felice credeva dapprima che stesse sognando. L’angelo gli comandò di alzarsi. Le catene caddero dalle sue mani e dai suoi piedi, le porte si aprirono. Le guardie erano addormentate, allora Felice esce, e per strade sconosciute giunse fino al deserto dove era il santo vegliardo Massimo, vicino a rendere l’ultimo respiro.
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Il grappolo d’uva
San Felice avendolo riconosciuto, lo abbraccia, lo bacia con rispetto. Ma lo trova senza polso, senza voce e senza movimento. Non gli rimaneva che un leggero soffio di respiro. Nel suo imbarazzo, Felice scorge sulla sua testa un grappolo d’uva appesa a dei rovi. Lo prende, lo accosta alla bocca del vegliardo morente che, aprendo le sue labbra già disseccate, schiaccia il grappolo e ne riceve il succo.