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Emanuele ce l’ha fatta, è nato prematuro e pesava appena 800 grammi

ATTILIO BARBARULO, PEDIATRA
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Annalisa Teggi - pubblicato il 12/11/20
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A dare la splendida notizia da Nocera è il pediatra: «Emanuele significa Dio (è) con noi. Quando salvi un bambino, hai salvato il mondo intero».Gli ospedali sono al centro della cronaca, anche i neonati lo sono stati nelle ultime settimane. C’è stato il caso del neonato abbandonato a Ragusa (che ora sta bene) e c’è stata la tragedia del bimbo appena nato che la mamma di 17 anni ha gettato dalla finestra a Trapani, uccidendolo. Non solo il virus, ma tutte le incognite che travagliano l’umano rendono la vita ai nostri occhi qualcosa di tanto prezioso proprio perché fragile.

Negli ospedali si muore, lo leggiamo a numeri cubitali sugli aggiornamenti quotidiani. Ma si nasce anche. E c’è chi dà tutto se stesso affinché si nasca anche quando gli ostacoli sembrano grossi. Ne è testimone il piccolo Emanuele tenuto in braccio dal pediatra Attilio Barbarulo.

 

 

 

 


NEWBORNS, HOSPITAL
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800 grammi di forza

Dall’ospedale Umberto I di Nocera, in provincia di Salerno, è arrivata una splendida notizia grazie alla condivisione su Facebook del dott. Barbarulo. Che in migliaia abbiano commentato e rilanciato il post, ci testimonia che possiamo raccontarci tante teorie astratte ma poi siamo tutti aggrappati a quel miracolo che accade quando la vita prevale sulle ombre della morte.

Tre mesi fa nel reparto di Terapia intensiva neonatale dell’Umberto I è venuto alla luce Emanuele, con un parto pretermine e una storia familiare molto triste:

«La mamma aveva già alle spalle otto-nove gravidanze fallite – rivela il pediatra –, l’ultima delle quali terminata al sesto mese. Ventisette settimane non rappresentano una prematurità estrema, ma a preoccuparci era soprattutto il basso peso del bimbo. Tutto però è andato per il meglio: dopo il parto d’urgenza c’è stato qualche problema infettivologico, ma lo abbiamo poi risolto». (da Corriere)

Alla nascita il neonato pesava solo 800 grammi e da quel momento è stato accompagnato da medici e infermieri a crescere, nutrirsi e respirare. Oggi sono tutti commossi e felici nel salutarlo, perché finalmente è pronto per andare a casa.

Non si conosce nel dettaglio la travagliata esperienza della madre, quali scelte e quali sofferenze abbiano accompagnato il suo desiderio di avere un figlio e i numerosi lutti affrontati. La presenza di Emanuele è fuor di dubbio un segno eclatante di bene, di quel bene che spesso attecchisce invisibile quanto l’evangelico granello di senapa e poi cresce di giorno in giorno. Questo bimbo così piccolo ha già vissuto sulla sua pelle una coscienza che da adulti non dobbiamo dimenticare: siamo un non-nulla, presenze tanto fragili la cui forza è proprio la tenacia di un Padre ci ha stappati al nulla.

Dio con noi

I giornali che hanno riportato la notizia si sono dovuti confrontare, alcuni glissando altri no, con le parole del pediatra Attilio Barbarulo che si è preso cura del neonato:

Emanuele è un nome che deriva dall’ebraico e significa: Dio (è) con noi…

Che non sia solo una citazione di passaggio, lo dimostra l’ulteriore affondo che lo stesso medico ha fatto, intervistato dal Corriere:

Ma cosa si prova a salvare una vita appena sbocciata? «È il nostro dovere, lo facciamo di lavoro – dice il dottore –, ma poi quando i genitori ti ringraziano ti rendi conto di ciò che hai fatto. È commovente. Allo stesso modo, quando non ci riusciamo è sempre una “mazzata” incredibile. Ma siamo nelle mani del Signore, è lui che decide. Come scriveva Carl Sandburg, “un neonato rappresenta il convincimento di Dio che il mondo debba continuare”». (Ibid)

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Momma Loves CC

Questa chiarezza di sguardo è da apprezzare, un medico che mette il proprio mestiere al posto giusto: collaboratore di un evento lieto, senza la tentazione di proclamarsi artefice della salvezza. E da questa posizione decentrata, in cui ci si sente parte di un progetto che abbraccia più di quel che le nostre mani possono, la gioia è più grande. Perché trabocca di gratitudine, sapendo che si agisce in uno spazio segnato da limiti enormi.

Sono certamente di parte, e lo ripeto come una noiosa cantilena, ma anche Dickens scelse il pianto di un neonato – di nome Oliver Twist – per portare ai suoi contemporanei l’ipotesi che quando nel mondo le cose si mettono male, e l’uomo è schiacciato da pesi più grandi delle sue spalle, è proprio nei suoni rumorosi che accompagnano una nascita che Dio si mostra ancora nostro compagno di viaggio.



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Un bambino è nato per noi

In questo periodo dell’anno mi esce un sorriso amaro nel vedere che si moltiplicano i calendari d’avvento senza Avvento. Bellissimi oggetti, tutti pupazzi e animaletti, dietro ogni casella un cioccolatino o un pensiero. Nessuna presenza vera a cui andare incontro, però. Allora cosa stiamo aspettando? O meglio: se avvento è qualcosa che ci viene incontro, sappiamo ancora riconoscere chi è che viene?

Per quanto siamo ormai abituati alla cosa, resta paradossale che del Natale – la festa «personale» per eccellenza – ci resti solo una intensa esultanza vagamente pervasa di luce. Non posso non notare, dunque, che la cronaca in modo casuale eppure così puntuale supplisca alla smemoratezza generale. Ci manda segnali d’avviso come il trillo di un cellulare.

È nato Emanuele e sta bene nonostante le molto difficoltà del suo parto prematuro. Ehi ma ti ricordi? La festa verso cui ci incamminiamo è proprio simile: nacque un bambino – ed era proprio l’Emmanuele, Dio con noi – in circostanze nient’affato facili, in un posto nascosto. Oggi come allora la speranza è nella piccolezza di un neonato. Siamo disorientati e smarriti in un grande impero pieno di allarmi e proclami, ma è Lui che viene l’unica cosa che conta.

 

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