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Luis de Moya, il sacerdote tetraplegico che amava la vita

LUIS DE MOYA

fluvium.org

Dolors Massot - pubblicato il 11/11/20

Aveva 37 anni quando un incidente lo lasciò su una sedia a rotelle motorizzata. Il suo esempio ha cambiato l'opinione di molti sull'eutanasia

Il sacerdote Luis de Moya è morto il 10 novembre a Pamplona (Spagna). I 67 anni della sua vita sono stati caratterizzati da due eventi: l’ordinazione sacerdotale nell’agosto 1981, quando aveva 27 anni, e un terribile incidente automobilistico avvenuto nel 1991.

Il sacerdote è sopravvissuto ma è rimasto tetraplegico, e il suo lavoro pastorale si è visto apparentemente ostacolato dalle sue limitazioni fisiche.

Chi ha conosciuto la sua storia sa però che don Luis, come lo chiamavano, ha guardato la Croce vedendovi Gesù sofferente per Amore nei nostri confronti.

Era questo che gli dava l’impulso per approfondire la sua condizione di sacerdote per sempre (sacerdos in aeternum, come dice il salmo 109) e per rispondere ogni giorno a quell’Amore con la A maiuscola, sia nel trattamento persona che attraverso Internet.

“Come un milionario che ha perso dieci euro”

Il sacerdote non ha solo accettato il suo stato fisico, la sua “disgrazia”, ma l’ha affrontata pensando a tutto quello che Dio gli aveva dato, e diceva di sentirsi “come un milionario che ha perso dieci euro”.

Continuava ad essere allegro, entusiasta e umile per sapere che dipendeva sempre dagli altri.

Medico

Nato a Ciudad Real (Spagna) nel 1953, era andato a Madrid a studiare Medicina. Lì aveva chiesto l’ammissione nell’Opus Dei, e in seguito si era trasferito a Roma e si era laureato in Teologia e in Diritto Canonico.

Era stato cappellano di una scuola media, e poi di una scuola familiare agraria. Nel 1983 aveva difeso la tesi dottorale in Diritto Canonico.

L’anno successivo era stato nominato segretario del Consiglio della Cappellania dell’Università di Navarra (incarico che avrebbe mantenuto per tre anni) e cappellano della Scuola di Architettura. Aveva anche iniziato ad assistere spiritualmente, insieme ad altri sacerdoti, il Colegio Mayor femminile Goroabe.

“Non mi cambierei per niente e per nessuno”

Il 3 aprile 1991 aveva subìto l’incidente. Nulla sarebbe stato uguale, ma don Luis de Moya diceva che era “la condizione in cui Dio mi vuole”.

“Non mi cambierei per niente e per nessuno”, ripeteva con un sorriso da una sedia a rotelle motorizzata che muoveva con il mento.

Era un uomo che andava aiutato anche a compiere azioni di base come nutrirsi o lavarsi, cosa di cui si incaricavano dei membri dell’Opus Dei che vivevano con lui e molti studenti che collaboravano per quanto potevano. In questo modo celebrava la Messa, visitava altri malati, confessava…

Senza volerlo, è diventato un esempio e un canto alla vita. Il suo atteggiamento era un NO deciso all’eutanasia come rimedio al dolore: “Per un malato grave come me, la cosa ragionevole è lasciarsi curare, non chiedere l’eutanasia”, diceva.

Dall’Università di Navarra ha continuato a svolgere una grande azione pastorale. Era assistito e si lasciava assistere. Ha aiutato molte persone (soprattutto studenti universitari), e il suo esempio di vita è arrivato in particolare ai malati.

Nel 1996 ha pubblicato il libro Sobre la marcha, in cui ha espresso le sue riflessioni personali. L’opera è stata tradotta in italiano, francese e portoghese.


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Mar adentro e l’eutanasia

Di lui si è parlato molto quando è uscito il film Mar adentro di Alejandro Aménabar, impiegato energicamente dalla corrente d’opinione a favore dell’eutanasia in Spagna.

Il sacerdote aveva fatto visita al protagonista reale della storia, Ramón Sampedro, che purtroppo alla fine ha deciso di suicidarsi.

Moya insisteva, come medico e in base alla sua esperienza personale, sul fatto che “quando un malato incurabile riceve le cure palliative e psicologiche adeguate non chiede l’eutanasia”. Nel film è stata data un’immagine falsa, deformata e denigrante di quell’incontro.

Moya era il maggiore di 8 fratelli. Poche ore dopo aver saputo della sua morte, la sorella Rocío ha detto qualcosa condiviso da tutti: “Come in tutte le famiglie in cui c’è un malato, lui era il più amato da tutti”.

Riposi in pace.

Ecco la toccante intervista realizzata dalla giornalista Erika Brajnovik a Luis de Moya:

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