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Dal 23 febbraio al 3 novembre, ecco tutti i dpcm dell’emergenza

GIOVANNI CONTE

Silvia Lore I NurPhoto

Giuseppe Conte, Public Administration Minister, during the presentation of would-be cabinet team ahead of elections on March 4 made by the leader of the Italy's populist Five Star Movement, Luigi Di Maio, on march 01, 2018 in Rome, Italy. (Photo by Silvia Lore/NurPhoto)

Agi - pubblicato il 11/11/20

Passo per passo l'andamento dell'epidemia e le misure per contrastarla: una media di due decreti al mese

Dal 23 febbraio, all’indomani della scoperta dei primi casi ufficiali di Covid in Italia, a Codogno, fino al 3 novembre, giorno dell’ultimo provvedimento: quasi 9 mesi di incubo coronavirus, punteggiati dai molti provvedimenti varati dal governo, in particolare i dpcm, acronimo che gli italiani hanno imparato a conoscere bene, i decreti del presidente del Consiglio che poi il premier Conte, quasi sempre, ha illustrato in conferenza stampa.

Una media di due decreti al mese

Sono stati ben 19, una media di due al mese, concentrati soprattutto nel primo periodo, quando lo tsunami che ha travolto la Lombardia, il Nord Italia e in misura minore il resto del Paese ha costretto l’esecutivo a fronteggiare una crescita impetuosa (e imprevista). Con alcuni provvedimenti poi imitati pedissequamente dagli altri Paesi, come la Francia, che hanno assistito attoniti nelle prime settimane alla tragedia italiana per poi venire travolti a loro volta. Seguire il percorso dei Dpcm significa ricostruire sommariamente l’andamento dell’epidemia e la risposta del Governo. Con il fondato timore che altri ne arriveranno.

Il primo del 23 febbraio

Il primo: dopo la scoperta di Mattia, il paziente 1 (che poi non era il primo, ma si è scoperto molto più tardi), si corre ai ripari con la quarantena di oltre 50 000 persone in 11 comuni diversi del Nord Italia. Sono zona rossa dieci comuni del lodigiano e il comune di Vo’ Euganeo nel Padovano: chiuse le scuole, sospese tutte le iniziative, stop ai negozi, ai musei, ai luoghi di cultura. Non lo sapevamo, ma era l’antipasto del lockdown.

Quelli di marzo

Il primo marzo nuovo Dpcm: l’epidemia non si ferma, gli ospedali lombardi sono già vicini al collasso e i decessi aumentano in modo esponenziale. Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e le province di Pesaro e Urbino e di Savona diventano zone rosse, con lo stop di scuola e università, divieto di pubblico negli eventi sportivi, le prime raccomandazioni per favorire il lavoro da remoto.

Mentre in Lombardia e nel Piacentino si acuisce la stretta, con la sospensione delle attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali.

Il resto d’Italia è toccato appena: il provvedimento stabilisce lo stop alle gite scolastiche e la raccomandazione allo smart working. Ma le cose cambiano rapidamente: il 4 marzo è chiaro che la situazione è fuori controllo. Arriva un nuovo Dpcm: le scuole chiudono i battenti in tutta la Penisola (riapriranno solo 9 mesi dopo), e con loro gli stadi.

Verso il lockdown

Si stringono le maglie per visitare i parenti negli ospedali e nelle carceri. Nella notte tra il 7 e l’8 marzo, quando l’indice Rt è stimato addirittura tra 2 e 3 e i contagi (e i decessi) raddoppiano nel giro di tre giorni, arriva il Dpcm che prelude il lockdown: per ora si sceglie di chiudere sostanzialmente tutto in Lombardia e in 14 province del Centro-Nord, quelle più flagellate dal virus: Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia, per un totale di 16 milioni di persone. La fuga di notizie in serata porta alle celebri scene dell’”esodo” improvvisato dal Nord al Sud.  E i comuni del Bergamasco e del Lodigiano cessano di essere zona rossa, essendolo diventato tutta la Regione, decisione successivamente al centro di numerose polemiche (e anche di inchieste).

La chiusura totale

Ma passano solo poche ore: il Dpcm del 9 marzo prelude alla chiusura totale: le misure restrittive sono allargate all’intera Penisola, che diventa una gigantesca zona rossa.

L’11 marzo è il giorno del lockdown.

Annunciato da un drammatico discorso di Conte in tv, in cui il premier annuncia agli italiani che è il momento “di stare lontani per tornare ad abbracciarci in futuro”, il Dpcm dall’eloquente titolo “Io resto a casa” cambia la vita di tutti gli italiani: non si può uscire se non con la celebre “autocertificazione”, per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa. Tutto il resto è chiuso: negozi, scuole, ristoranti, eventi pubblici di ogni tipo.

Le città sono deserte, mentre la corsa dei contagi, nel mesto rito quotidiano del punto stampa in Protezione Civile, non accenna a rallentare. Tra metà e fine marzo è il momento più duro, con la sfilata dei carri dell’esercito carichi di bare a Bergamo e il Papa che a piedi in una via del Corso spettrale invoca la protezione della Vergine, mentre le vittime sono quasi mille al giorno. Tanto che il 22 marzo arriva una nuova stretta:  chiuse anche le attività produttive non essenziali o strategiche. Aperti solo alimentari, farmacie, negozi di generi di prima necessità e i servizi essenziali.

Nessuno può spostarsi da un Comune all’altro se non per comprovate necessità. Il primo aprile arriva un nuovo Dpcm, ancora annunciato dal premier in tv, ma era nell’aria da giorni: il lockdown è prorogato fino al 13 aprile.

La proroga

Il 10 aprile, e anche qui era scontato (sono i giorni del picco di ricoveri in terapia intensiva, oltre 4mila) nuova misura e nuova proroga: il lockdown finirà il 3 maggio. Intanto, finalmente, dal lungo “pianoro” fatto di migliaia di casi e centinaia di morti al giorno si inizia a uscire e inizia la discesa: è il momento di provare a ricominciare.

La fase 2

Il Dpcm del 26 aprile finalmente istituisce la ‘Fase 2’: “Grazie ai sacrifici fin qui fatti – scandisce Conte in diretta – stiamo riuscendo a contenere la diffusione della pandemia e questo è un grande risultato se consideriamo che nella fase più acuta addirittura ci sono stati dei momenti in cui l’epidemia sembrava sfuggire a ogni controllo”.

Ora si può andare a trovare i “congiunti” (con l’infinita querelle su cosa si dovesse intendere con questo termine), andare al parco, dal parrucchiere, negli stabilimenti balneari e fare sport individuale liberamente.

Addio autocertificazione

Il 16 maggio nuovo Dpcm e nuovo allentamento della stretta: “I risultati epidemiologici sono incoraggianti”, assicura il premier. Si può uscire liberamente, addio quindi all’autocertificazione. Sono limitati solo gli spostamenti interregionali. Riaprono tutti i negozi, e anche le chiese.

Torna la libertà

E’ il momento della rinascita, che culmina l’11 giugno con un nuovo provvedimento del Presidente del Consiglio, che sancisce l’avvio di fatto della ‘Fase 3’: aperti centri estivi per i bambini, sale giochi, sale scommesse, sale bingo, così come le attività di centri benessere, centri termali, culturali e centri sociali. Riprendono, inoltre, gli spettacoli aperti al pubblico, le sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto, e riparte lo sport professionistico, per ora a livello di allenamenti individuali.

Proroghe

Misure che un altro Dpcm il 14 luglio proroga fino alla fine del mese, poi fino al 7 settembre e infine fino al 7 ottobre. E’ la fase dell’estate pazza, delle discoteche, del ‘non ce n’è coviddi’ che tutta Italia saluta con una risata liberatoria. Che dura poco però.

Nuovo peggioramento

I casi a settembre iniziano a risalire, tornano a superare quota mille e in poche settimane addirittura quota 10mila, peggio che nella prima ondata.

Tornano i Dpcm

E’ il momento dei nuovi Dpcm: il 13 ottobre si inaugura la seconda ondata: le mascherine sono oblligatorie sia all’aperto che al chiuso, tranne ovviamente che a casa propria. E ancora evitare feste, cene con la massimo sei persone, addio al calcetto e teatro e cinema a numero chiuso.

Seconda ondata seconda stretta

Il 18 ottobre nuova stretta, che he consente ai sindaci di disporre la chiusura di strade e piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, dopo le 21, vieta attività convegnistiche o congressuali, e sagre e fiere di comunità, consente alle scuole superiori di organizzare attività di didattica a distanza e alle Università di organizzare le proprie attività in base alla situazione epidemiologica del territorio.

All’inseguimento del virus

Ma il virus non aspetta, e i Dpcm lo inseguono: il 24 ottobre ne arriva uno ancora più restrittivo: non è ancora il lockdown ma è abbastanza per assistere a diverse manifestazioni di piazza, anche accese, nelle grandi città. Stop a  palestre, piscine, centri benessere, teatri, cinema, centri natatori, centri benessere e termali; chiusura dei ristoranti alle 18, incremento della Dad alle superiori e l’invito a non spostarsi, se non per situazioni di necessità.

Il numero 19

Infine, il Dpcm numero 19 è il più recente, datato 3 novembre. Coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle ore 22.00 alle 5.00 del mattino successivo, Dad obbligatoria nelle scuole superiori, stop ai centri commerciali nei weekend, riduzione del 50% della capienza dei mezzi pubblici. Nasce anche il sistema dei “colori”, con le tre fasce di rischio gialla, arancione e rossa da assegnare settimanalmente alle Regioni in base agli indicatori di monitoraggio. E’ il momento attuale: il premier più volte ha ribadito di voler evitare un nuovo lockdown nazionale, ma se l’epidemia non rallenta è più che probabile che la lunga galleria di decreti si allunghi.

Qui l’originale

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