Il caro amico don Andrea Lonardo dice che «Abbà» in realtà era una parola che compariva spesso sulla bocca di Gesù. Ha sicuramente ragione però, in tutti e quattro i Vangeli, questa è l’unica volta dove compare la parola «Abbà», che vuol dire papà, babbo. Gesù chiama Babbo il Padre mentre gli chiede di allontanare da Lui l’amaro calice. Capite che la scommessa sull’identità di Gesù è fondamentale? O è un malato di mente a dire quelle parole oppure è il Figlio di Dio. Questa è la vera scommessa, molto più intensa di quella pascaliana: non chi è Dio ma chi è Gesù? Gesù prega il Padre chiamandolo come fanno i bimbi piccoli, e quindi non muore da solo.
L’obiezione classica è quel grido di Gesù sulla croce:
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Matteo 27,46).
Ora, innanzitutto queste parole sono anche l’inizio del Salmo 22, che inizia con un lamento angosciato simile a un De profundis ma termina con un inno di gloria e di lode al Signore re, una specie di Magnificat o Te Deum, una conclusione piena di fede.
Poi, sappiamo che le ultime parole di Gesù in croce, le ultimissime, ce le ha riportate il Vangelo di Luca. Luca non c’era, ha fatto ricerche accuratissime e intervistato, lo dice, i testimoni oculari. E sotto la croce, c’era lei, l’unica che sapeva tutto di Lui, Maria. E dal Vangelo di Luca sappiamo che le ultime parole di Gesù sono state:
Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Luca 23, 34)
e poi
Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Luca 23, 46).
Gesù non è morto da solo e non è morto nel dubbio e su questo punto è stata fatta della teologia semplicemente vergognosa, caricando sulle parole di Gesù tutta quella paura di estinguersi, di essere soli e abbandonati che è molto umana ma non divina e che certamente non era nelle intenzioni di Gesù, quello stesso Gesù che chiama il Padre “Babbo” e che prima di spirare consegna nelle Sue mani il Suo spirito.
E lo stesso Gesù di questo passo del Vangelo, che l’ho già detto, desidero al mio funerale: Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:
«Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23, 39-42).
Altro che paura! E se a un povero malfattore, il Figlio di Dio dice queste parole, a me cambia la vita. Perché significa che Gesù Cristo non è morto da solo e che quando sarà il mio turno anche io, con i Sacramenti, posso essere unito a Lui e, grazie a questa unione, percepire e pronunciare le Sue stesse parole: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». E vuol dire che, nei momenti di commozione che mi porteranno alla malattia e alla morte, potrò gridare “Abbà”, Padre.
Questo a me cambia la vita perché la paura muore se c’è un Tu. L’orrore, il terrore della malattia e della morte cambiano se hai accanto un Tu forte, se ci sono persone che ami e che ti sostengono in quei momenti. La malattia resta malattia ma assume sembianze diverse perché hai vicino chi ti aiuta a vivere e sopportare il dolore e l’ansia. E se questo è vero allora perdoniamo la bellissima frase che qualcuno ha scritto su un muro qui vicino: «Fear is a liar», la paura è una bugiarda.
Leggi anche:
Ricordiamoci che nessuno può morire da solo
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG DI COSTANZA MIRIANO