Creato cardinale da Giovanni Paolo II, il domenicano Yves Congar fu uno dei teologi più importanti del Concilio Vaticano II. Nella sua biografia del domenicano appena pubblicata in Francia per l’editrice Salvator, lo storico Étienne Fouilloux mostra quanto la sua teologia del laicato e il suo pensiero sul ruolo dei laici nella vita della Chiesa abbia segnato per l’avvenire l’orizzonte ecclesiale.
Yves Congar è stato uno dei teologi più prolifici del XX secolo. Libri, articoli, conferenze: non ha cessato di pubblicare e di predicare fino a che la malattia non glie l’ha impedito, a partire dal 1987. È stato fra i teologi più influenti del Concilio Vaticano II, e con Marie-Dominique Chenu, Henri De Lubac e Jean Daniélou formò un gruppo di teologi in prima linea nel proporre riforme e rinnovamento della vita ecclesiale. Dopo il Concilio la sua aura era immensa. Invitato in numerosi paesi e università, potè esprimere più liberamente le sue intuizioni e i suoi pensieri per la Chiesa. Letto e apprezzato da Giovanni XXIII e Paolo VI, fu creato cardinale alla sera della sua vita da Giovanni Paolo II, nell’autunno 1994, pochi mesi prima della sua morte – sopraggiunta nel giugno 1995.
Un pensatore dell’ecumenismo
Congar si è molto interessato all’ecclesiologia e all’ecumenismo. Ha pensato l’unità della Chiesa e la riunione dei cristiani dispersi. Nato nel 1904 e morto nel 1995, la sua vita ha inglobato quasi totalmente tutto il XX secolo, da lui vissuto nel pensiero e nella carne condividendo le speranze e i drammi degli uomini e della Chiesa. Nato a Sedan, entrato tra i domenicani, fu mandato a studiare a Saulchoir nel 1926. All’epoca, il convento di formazione e di studio dei domenicani era situato in Belgio per via dell’espulsione dal territorio francese delle congregazioni religiose (1903). Fu solo nel 1939 che i religiosi poterono tornare in Francia, installando il Saulchoir a Évry e poi, nel 1971, a Parigi.
L’esperienza della guerra e della prigione
Giovane teologo brillante e promettente, si fece conoscere nel corso degli anni 1930 con le sue pubblicazioni audaci e per la direzione di numerose riviste e dossier di studio. Strinse amicizia con un gran numero di teologi e di filosofi, domenicani e non, cosa che gli avrebbe assicurato un avvenire intellettuale dei più brillanti. La guerra intervenne a scompigliare questa carriera incipiente. Coscritto come ufficiale, diresse un battaglione fin dal 1939. Fatto prigioniero nel 1940, restò in prigione fino al 1945, venendo spostato di campo in campo a seconda delle pieghe che prendeva la guerra e delle direttive dei carcerieri. I suoi diari di guerra mostrano il disappunto, perfino la depressione, nel subire la cattività, la noia e l’impossibilità di ogni lavoro intellettuale… per non parlare dell’angoscia nel non sapere quale sarebbe stato l’avvenire né quando sarebbe stato liberato.
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Nel campo di prigionia, Congar scoprì un nuovo apostolato, quello di cappellano dei prigionieri, molti dei quali praticamente non avevano alcun contatto con Dio. L’aridità intellettuale dei campi di prigionia si rivelò l’inattesa occasione di una fecondità apostolica e della scoperta di un mondo da lui ignorato. I suoi diari di guerra ci consegnano questa riflessione, che può risuonare nelle orecchie di quanti vivono la fede in modo un po’ troppo intellettuale:
Forse che quando abbondavano carta, inchiostro, libri e ore di solitudine, non ho cercato meno la Chiesa stessa che la teoria della Chiesa, meno Cristo che la cristologia?
L’esperienza della prigionia e dell’allontanamento dai libri e dalle biblioteche fu occasione di un approfondimento mistico e di un incontro più personale con Cristo.
Dall’allontanamento al cuore di Roma
Se gli anni 1950 furono segnati dal sospetto del Sant’Uffizio in merito ad alcune delle sue tesi, il Vaticano II fu il suo momento di gloria teologica, poiché la maggior parte delle sue intuizioni e dei suoi pensieri andò a nutrire la redazione dei testi del Concilio, specialmente la sua teologia del laicato e il suo pensiero sul ruolo dei laici nella vita della Chiesa – probabilmente il più grande apporto del Concilio per il seguito immediato della vicenda ecclesiale.
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L’immensa speranza di una nuova Pentecoste fu poi frustrata, dopo il Concilio, dai turbamenti e dalle tempeste che la Chiesa conobbe tra gli anni 1970 e 1980. Avendo conosciuto l’esilio, le persecuzioni e la prigionia, Congar sperava vivamente una riunione dei cristiani in un rinnovato ecumenismo, aspettava il Soffio dello Spirito. Vide invece accumularsi le tempeste. La biografia che Étienne Fouilloux consacra a Yves Congar (Salvator, 2020) permette di conoscere meglio la vita della Chiesa nel XX secolo e di ricollocare le difficoltà del post-concilio nel più lungo periodo di un secolo in cui teologi ed eminenti personaggi della Chiesa hanno sinceramente creduto a una riconciliazione con il mondo e a un superamento degli attacchi e delle crisi che avevano caratterizzato il periodo tra il 1880 e il 1920.
Un’eredità
La vita di Yves Congar permette di conoscere più a fondo quegli anni di fervente produzione teologica in cui brillarono numerosi intellettuali francesi. I nomi di De Luca, Congar, Chenu, Daniélou e Bouyer sono forse un po’ meno noti oggi, e le loro lotte, le loro passioni, le loro tensioni sembreranno forse sorpassate, o lontanissime. Faremmo però male a dimenticarli. Da una parte perché appartengono a una storia intellettuale e filosofica molto ricca di cui siamo eredi; d’altra parte perché le piste seguite da questi uomini di fede e di lotta possono nutrire molti pensieri e riflessioni anche oggi. Hanno dalla loro l’amore per Cristo e per la Chiesa, l’intenzione di parlare al mondo, una conoscenza profonda della patristica e delle Scritture.
Allo stesso modo in cui bisogna leggere i classici, in letteratura, è pure essenziale leggere i classici in teologia, perché il cristiano è sempre erede di una lunga storia, coi suoi drammi e le sue speranze.
Etienne Fouilloux, Yves Congar (1904-1995), Salvator, ottobre 2020, pp. 350, € 22,80
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]