La pittrice Roberta Dallara ha cercato (e trovato) i tratti della santità nell’uomo della porta accanto, volti di oggi col riverbero dei grandi Santi della storia. “Nessuna delle persone a cui ho chiesto di posare mi ha mai detto di no, ma ognuno mi ha detto un sì diverso”. Sono stata felicemente sorpresa di ricevere una mail da una pittrice il cui lavoro avevo già ammirato, pur essendoci viste di persona una volta sola. Avevo pubblicato il podcast del lunedì dedicato ai Santi e in risposta lei mi ha mandato “una festa di Santi”. La sua ultima impresa artistica è tutt’uno con una grande scommessa umana: ritrarre il volto della santità andandolo a cercare tra le persone che ci stanno accanto.
Roberta Dallara vive a Bologna con la sua famiglia, è diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. È un’artista figurativa in un tempo in cui il figurativo non è senz’altro il trend in auge. Ma cosa significa “figurativa”? Significa, nel caso di Roberta, guardare ciò che si ha di fronte e scendere nel particolare. Non è affatto tentare di fare una fotocopia della realtà; si tratta invece di guardare il reale come trampolino imprescindibile da cui si genera una visione più profonda. Ad esempio, la luce che entra da una finestra e si posa sui mobili, parla di un’altra Luce ma passa proprio da quella finestra lì.
Dietro al progetto dedicato ai Santi c’è un’intuizione simile, fiorita in Roberta quando si dedicò alla decorazione della sacrestia nelle Chiesa della Madonna della Neve a Cervia. Le era stato chiesto di realizzare una teoria dei Santi del canone romano.
Nella sua memoria c’erano le teorie dei santi bizantine, ma in quell’occasione sentì la necessità di dare un volto autentico ai Santi, senza cadere nello stereotipo. Chiese al capocantiere e agli imbianchini di posare per lei e fu un’esperienza così feconda di gioia che gettò un seme nel cuore. Con l’arrivo della famiglia, Roberta è scesa dai ponteggi e la sua arte è passata dai muri alle tele. Ha portato a termine tante mostre e lavori, ed è arrivato anche il tempo di portare a compimento quel desiderio di ritrarre il volto contemporaneo della santità.
Oggi possiamo ammirare il frutto di questa fatica piena di entusiasmo in una mostra che s’intitola Santo io, Santo tu alla basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano a Bologna (proprio sotto le due torri) fino all’8 novembre. Mi auguro che molte altre parrocchie e associazioni culturali possano ospitare la luce di questi dipinti!
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Santo io, santo tu
Di Roberta Dallara
Era da diverso tempo che volevo realizzare questo progetto e finalmente ho trovato il tempo di dedicarmici: volevo dare un volto contemporaneo ai Santi e non è una cosa nuova. Anche Caravaggio dava un volto contemporaneo ai suoi soggetti. Quello che cercavo io non era appena una persona che mi facesse da modello, volevo proprio che la persona avesse un senso rispetto al santo che impersonava. La parte più viva e fondamentale di tutto il progetto è stata, ed è tuttora, quella di andare a cercare il modello. La proposta che muove tutto è “Santo io, santo tu”: voglio che quel tu sia proprio un tu, riconoscibile e incontrabile.
Il lavoro che porta alla realizzazione dei quadri parte dalla scelta del santo. Ne studio la storia e la tradizione in modo approfondito e quando credo di averlo fatto mio, apro la porta di casa e vado a cercarlo nella fetta di realtà attorno a me. Guardo tutti, a partire dal mio vicino di casa. Vado alla ricerca di quell’incontro che mi fa dire: ecco, sei tu! Il mio riferimento è l’enciclica di Papa Francesco Gaudete et exsultate e quel passo che dice:
Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova.
Ho preso sul serio questa proposta dei santi della porta accanto. Di solito dopo aver identificato il soggetto, ci penso un po’ sopra e poi vado dalla persona in questione e le faccio la proposta di posare per me. Nessuno mi ha mai detto di no, ma ognuno mi ha detto di sì con un’emozione diversa. E da quel momento la gioia è tutta mia, quando dipingo. Stare dentro all’emozione che si crea è molto di più che «fare un quadro».
Le persone che hanno posato per me sono tutte di Bologna e mi capita, girando per strada coi quadri, che qualcuno riconosca la persona ritratta e dica: «Ma quello è proprio lui?». E in fondo è questo il vero tema della santità: vuoi che proprio io, proprio tu, proprio quello lì possiamo diventare santi?
Tutti i quadri hanno la stessa dimensione e la stessa impostazione. Sono ritratti a mezzobusto. Le mani sono fondamentali in ogni tela, parlano molto: le ho messe così in evidenza che sembrano più grandi come proporzioni. Il soggetto guarda sempre negli occhi lo spettatore. Dietro ciascuno c’è una mandorla mistica ovale che è anche un richiamo all’«occhio di bue» (la luce teatrale che si concentra su una presenza singola). Nei quadri gli attributi tradizionali di ogni santo sono tutti presenti, anche se resi con un linguaggio pop.
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Santa Caterina da Bologna
Santa Caterina de Vigri nacque nel 1413, era una ragazza bellissima e raffinata, di buona famiglia. Conosceva tutte le arti: sapeva dipingere, suonava la violetta (nel quadro è in alto a destra) e scriveva poesie. Nell’immagine ho raccolto la sua dedizione alle arti nella posizione di lei che tiene in mano un libro in mezzo a cui ci sono i pennelli e la spatola. Lo sfondo prevalente è il giallo perché nella sua storia è importantissima la luce.
Caterina era in odore di santità già da viva; quando morì la badessa la seppellì in fretta perché la sua presenza stava generando un po’ di traffico in monastero. Fu sepolta nella terra e dopo 18 giorni quel luogo ha cominciato a sprigionare un grande profumo di fiori e una luce fortissima. Il corpo fu disseppellito e trovato incorrotto, profumato e flessibile. Fu chiaro che si era di fronte a un fatto miracoloso. Da lì è iniziato il culto di questa Santa, il cui corpo è ancora esposto nella Santuario del Corpus Domini a Bologna.
Ho cercato di portare la luce nel quadro e ci ho messo delle spatolate di colore a ricordare il profumo dei fiori. In alto a sinistra c’è l’ovale della clausura che è tutto colorato perché per lei era una letizia poter servire il Signore nella preghiera.
La persona che mi ha fatto da modella è mia nipote e l’ho scelta perché nella sua storia c’è qualcosa che me l’ha fatta avvicinare a Santa Caterina. E’ una ragazza dotata artisticamente e ha tanti talenti, ma come molti adolescenti ha tante insicurezze. C’è tanta bellezza in lei, deve scoprirla. E mi pareva che avvicinarla a Santa Caterina fosse confermarle che quando ci sono dei segni buoni, fioriranno.
Santi Vitale e Agricola
In questo quadro ho usato mio figlio come modello per San Vitale, ma non per la volontà di metterlo in mostra. Il lavoro che ho fatto su San Vitale si basa sulla frase evangelica «se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli». La storia di questi due santi è meravigliosa: Vitale, servo, si fa testimone di conversione e di martirio per Agricola e quest’ultimo guardando come il servo sta di fronte al martirio prende forza e anziché rinnegare Gesù, come gli era intimato sotto minaccia, resta fedele.
Anche Agricola viene martirizzato e la forza per affrontare la prova gli viene da Vitale. Quando ho pensato a come tradurre tutto ciò in pittura mi è venuto in mente mio figlio e il suo padrino della Cresima. Lo sguardo di un Vitale-bambino ha la purezza da cui noi adulti possiamo trarre forza.
La mandorla mistica che abbraccia Vitale e Agricola è rossa come segno del martirio, anche le palme sono simbolo di martirio ma sono dorate perché entrambi non hanno avuto un momento di esitazione. L’oro richiama lo splendore di Dio, è un segno dell’abbraccio divino del Padre. In ciascuno di questi quadri c’è un elemento, piccolo o grande che sia, realizzato in foglia d’oro, perché volevo rimanere fedele alla tradizione delle icone.
Il fondo del quadro è bianco, in segno di purezza assoluta. Il ragazzino ha sulla maglia una croce a T che è uno dei loro attributi iconografici. L’ho colorata di arancione fluo che è un colore artificiale contemporaneo perché questo Vitale è un giovane del 2020.
Mio figlio è stato bravo a posare, gli ho raccontato la storia e lui ha capito perfettamente tutto. Gli ho spiegato perché dovesse tenere la mano in quella posizione, sul cuore. Di fianco c’è Agricola che ha la mano destra orante e la sinistra che regge il gomito. E’ un dettaglio presente in una formella in terracotta che c’è nella basilica di Santo Stefano a Bologna, lì i due Santi sono rappresentati accanto a Gesù che compiono questo stesso gesto con le mani. Il senso è bellissimo: Agricola dichiara attraverso il braccio che regge il gomito che la sua conversione passa da Vitale, che lo sorregge.
Pensare che la conversione di un padrino passi dall’accompagnare un ragazzo a ricevere la Cresima significa che noi adulti possiamo rinnovare lo sguardo della nostra fede grazie ai piccoli. I figli ci rigenerano.
Santa Rita
Anche per questa santa sono presenti tutti gli attributi canonici, le rose, il crocifisso, la spina sulla fronte. L’elemento personale che ho aggiunto sono i guanti gialli. Lo sfondo del quadro è verdone, a richiamare il tema della natura legato alle rose. La texture della mandorla è quella di una carta da parati che richiama la vita domestica.
Leggendo la storia di Santa Rita noi percorriamo la vita di una donna che prima diventa moglie e madre e poi entra in monastero. Ma quando sceglie il convento? Conosciamo le sue vicissitudini, in particolare la tragedia del marito che viene ucciso e i figli vogliono vendicarlo. Sappiamo che Santa Rita affida i figli a Dio prima che si macchino del peccato di omicidio. Mettendo in fila la sua cronaca si potrebbe concludere: una volta libera dai vincoli familiari, Rita entra in convento. E invece no. Lei con estrema devozione è moglie, con grande devozione è madre e quando ha adempiuto fino in fondo questi compiti fa la scelta altrettanto devota di entrare in monastero.
Santa Rita entra in convento con grande stile, che ho voluto rappresentare nel gesto di lei che si toglie i guanti gialli da cucina. Si sfila questi guanti con un’eleganza come se fossero guanti di raso, alla Audrey Hepburn. C’è riconoscenza per ciò che è stato e libera adesione a ciò che viene da quel momento in poi.
La vita di Rita ci testimonia che la santità non è solo per chi è in convento ma c’è anche nello stare dentro la vita quotidiana. Sei santa anche quando lavi i piatti. La mia Santa Rita è un’amica – che nella vita è la moglie di quello che è diventato il mio San Francesco. Tutto questo progetto dei Santi è nato attorno a San Francesco, perché da tempo avevo inquadrato il volto di questo nostro caro amico di famiglia: è stato lui a darmi la conferma e la spinta a intraprendere sul serio quest’ipotesi dei santi della porta accanto.
Sua moglie è diventata Santa Rita proprio per questo legame personale che abbiamo; di solito quando ci vediamo è in occasione di momenti conviviali di famiglia e faccende domestiche. Lei per me è un richiamo al senso della mia vocazione dentro la quotidianità in famiglia.
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San Francesco
Questo San Francesco ha come logo sulla felpa il lupo di Gubbio, è un San Francesco delle periferie: ha le spalle larghe e le mani sbucciate. È un uomo che si sporca le mani. Come Santo ha risollevato fisicamente la Chiesa e questo l’ho sottolineato dietro: la mandorla è fatta di mattoni, metà più ordinati e metà un po’ distrutti. Vuole rappresentare sia la costruzione della Porziuncola, sia il compito che gli chiede il Papa di ricostruire la Chiesa.
Gli ho fatto indossare la felpa perché lo vedo come un uomo in mezzo a noi, ma ha le Stimmate. Ci sono i rami di ulivo e la colomba dorata, simbolo dello Spirito Santo. C’è anche la foglia di castagno, perché la sua storia è molto legata al boschi, da La Verna a tanti altri episodi in cui lui trova riparo sotto i castagni. Gli volano attorno dei pettirossi e il petto rosso di questo uccellino è proprio un richiamo al Sangue di Gesù.
Ha le braccia conserte come di chi sta per dire: «Ok, adesso cosa c’è da fare?». E il ragazzo che ho scelto come modello ha proprio questa tempra, di chi è pronto all’opera, a fare. Francesco ci è compagno nel fare della Chiesa casa nostra, il posto dove noi siamo presenti e chiamati a edificare o sorreggere il pezzettino che ci è affidato.