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Il giorno in cui ho trovato il mio nome su una tomba

WOMAN,PRAYING,CEMETERY

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Sarah Robsdotter - pubblicato il 04/11/20

“Sarah Jane”, diceva la lapide, e allora mi sono fermata per un po'

È accaduto l’anno scorso di questi tempi, quando la luce dell’autunno si arrende a un inverno precoce, che mi sono trascinata fuori casa frustrata e infastidita. I venti invernali soffiavano
forte quasi quanto i bambini rumorosi che avevo lasciato con mio marito. Il dovere costante di nutrire semplicemente i miei figli mi stava facendo impazzire – le loro allergie, l’essere schizzinosi e il metabolismo rapidissimo mi stavano schiacciando.

In quel giorno ventoso ho lasciato la mia cucina affollata per una passeggiata, e ho subito iniziato a respirare un po’ più a fondo. Le foglie scricchiolavano sotto i miei piedi, e ho perso la cognizione del tempo. Alla fine sono entrata nel cimitero locale, dove vado spesso quando ho bisogno di pensare. Non lo ritengo un luogo lugubre, ma un posto accogliente in cui ogni lapide racconta una storia.

Il sole iniziava a tramontare mentre camminavo tra le file di tombe. Alla fine ho imboccato un vialetto che non avevo mai notato prima, e quasi immediatamente ho visto il mio nome – “Sarah Jane. Nata nel 1891 – Morta nel 1952”. Mi sono seduta sull’erba e sono rimasta per un po’ a fissare la lapide, poi ho seguito quelle lettere familiari con il pollice, pensando al memento mori – un giorno saremo tutti lì. Mi sono anche presa un po’ di tempo per pensare a quell’altra ‘Sarah Jane’ e a come doveva aver vissuto.

Due guerre mondiali, e la grande Depressione…

Aveva perso il marito nella I Guerra Mondiale? E forse un figlio nella II?

Ho toccato gli agnelli in gesso lì vicino, che rappresentavano i bambini che Sarah Jane aveva perso. Mi sono venuti in mente i miei neonati, August e Henry, salvati dalla medicina moderna; uno ha avuto bisogno di un eliambulanza, ed entrambi di un sostegno alla respirazione che non esisteva all’epoca di Sarah Jane.

Mi sono venute le lacrime agli occhi. All’improvviso le frustrazioni che mi avevano spinta a uscire sembravano diverse, soprattutto mentre immaginavo come questa mamma dell’epoca della Depressione avrebbe fatto i salti di gioia di fronte alla mia dispensa che scoppiava di cibo.

La temperatura è calata, ma sono rimasta vicino alla lapide di Sarah Jane, chiedendomi come vivesse, come fosse l’esistenza prima dell’invenzione della lavatrice. Ho immaginato una donna in un dignitoso abito da casa che mi salutava con la mano attraverso lo spazio e il tempo. Rideva mentre lavorava, mettendo le mollette sui panni stesi mentre un bambino sguazzava in una tinozza ai suoi piedi.

Mi sono alzata per cercare dei fiori, ma sono riuscita a raccogliere solo foglie rosse. Lasciandole sulla lapide, ho notato quanto fosse modesta – “Era della classe operaia, come me”, ho pensato. “Suo marito doveva essere un minatore coperto di fuliggine”.

“Prega per me”, ho chiesto ad alta voce, sentendomi più grata di quando ero arrivata, e anche un po’ meno sola.

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