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La vita che ci hai donato è un invito e il Tuo regno una festa!

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 03/11/20

La parabola che usa Gesù ci mostra come il nostro desiderio di pienezza sia spesso ostaggio di tre idoli: il possesso, il commercio e il piacere. Se siamo realmente affamati e poveri sapremo accogliere l'invito del padrone di casa e partecipare al Suo banchetto.
In quel tempo, uno dei commensali disse a Gesù: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!».
Gesù rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti.
All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto.
Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi.
Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto.
Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia.
Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena».
(Luca 14,15-24)
Sono estremamente convinto che la prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”.
Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione. E per fare ciò racconta una parabola mettendo in scena un banchetto a cui alcuni sono invitati. È un chiaro riferimento all’opera di Dio che ha pensato la vita come un invito e il regno di Dio come una festa.
Ma quelli che ufficialmente sembrano avere le carte a posto per entrare e sedere a mangiare, rifiutano con dei “validi” motivi che potremmo sintetizzare in questo modo: il possesso, il commercio e il piacere. Se ci pensiamo bene queste tre grandi scuse sono ciò che solitamente tengono la nostra vita in ostaggio. Avere fede, infatti, significa smettere di trovare rassicurazione nel possesso delle cose, ma in realtà quasi mai siamo disposti a liberarci da questa latente idolatria. A noi piace usare le cose per sentirci sicuri e non per incontrare ciò che conta davvero, così alla fine sono le cose stesse a possederci e non il contrario. Allo stesso tempo preferiamo sempre una logica di vita commerciale a una forma di vita gratuita.
Commerciare significa fare le cose sempre con un tornaconto, quando invece Dio ci chiede di imparare la gratuità delle cose. La ricerca del piacere è l’ultimo impedimento che potremo definire come il possesso delle persone. È sempre d’impedimento all’incontro con Dio chi usa le persone per star bene lui, riducendo l’altro a oggetto e non incontrandolo mai veramente. Allora gli unici che mangeranno di quella cena saranno quelli che per un motivo o per un altro sono affamati, e hanno smesso di sentirsi sazi di cose che non contano nulla.
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