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I cappellani: “Così facciamo assistenza spirituale ai malati gravi di covid”

PRIEST HOSPITAL

Stéphane OUZOUNOFF I CIRIC

03 juin 2000 : Denis LEDOGAR, prêtre assomptionniste, aumômier à l'hôpital de Hautepierre à Strasbourg (64), France.

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 03/11/20

Viaggio tra i sacerdoti che trascorrono le giornate negli ospedali dove sono ricoverati i malati in fin di vita di coronavirus. La loro è una mediazione continua con le famiglie, abbattute per la paura di perdere i loro cari

Viaggio tra i preti che fanno assistenza spirituale ai malati gravi di covid, alcuni dei quali in fin di vita. La missione del sacerdote, in quei momenti, è di stare accanto alla persona e poi ai familiari. Come dimostrano le testimonianze dei cappellani ospedalieri intervistati da Avvenire, 2 novembre.

Le benedizioni di don Luca a Pisa

Don Luca Casarosa, cappellano del Nuovo ospedale Santa Chiara di Pisa Cisanello, da marzo a oggi, ha fatto assistenza spirituale a più di 130 di persone poi morte per Covid. Anche giovani. «Sono stato con loro fino alla fine dando a tutti benedizione e preghiera, ho coinvolto medici e infermieri, ho fatto da ponte con i familiari, li ho coinvolti per telefono, li ho benedetti. Ma non è stato facile. Vedi tutti quei malati soffrire così tanto, la maggior parte intubati, mentre si lamentano che gli manca l’aria». Eppure don Luca non si è mai tirato indietro, con il suo stile. «In quei momenti devi imparare a stare zitto, a pregare e soffrire con loro, in silenzio».

PADRE JOSE LUIS
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Don Paolo risolleva le famiglie a Sassari

Anche don Paolo Mulas, cappellano dell’Azienda ospedaliera universitaria di Sassari, non smette di stare accanto ai malati di Covid. «Ora c’è maggiore consapevolezza, c’è la paura della morte, della sofferenza, della solitudine, e poi del dolore». Come quello che si prova a vedere le stanze affollate di malati di qualsiasi età, immobili. «In qualche modo cerchiamo di preparare anche le famiglie. Mi sento con loro sia al momento del ricovero che quando poi qualcuno di loro muore. Provo a fargli capire che non erano da soli, che non hanno sofferto. Ma c’è lo strazio di non aver dato un’ultima carezza».




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Don Nunzio tra preghiera e sconforto al Gemelli di Roma

Racconta don Nunzio Currao, che fa assistenza spirituale e pastorale del personale del Policlinico Gemelli di Roma: «Ormai si sono dovuti richiudere i reparti, i parenti non possono entrare, i pazienti Covid vivono di nuovo nella solitudine. Per questo si cerca di potenziare la presenza del personale medico infermieristico, o più in generale degli operatori sanitari, perché stiano accanto ai malati».

Può capitare che di fronte a un giovane morto, magari coetaneo dello specializzando che l’ha in cura, lo sconforto prenda il sopravvento. Il dolore lascia tutti attoniti. «Allora cerco di confortarli – spiega Currao – preghiamo insieme. Ho con loro una presenza continua, quotidiana, fatta di silenzio, di sguardi. Tutti alla fine trovano questa modalità di grande supporto per assistere i malati».

ECUADOR
Junta de Beneficencia

Le beatitudini di don Isidoro ad Aosta

Conclude don Isidoro Mercuri Giovinazzo, cappellano dell’Azienda ospedaliera della Valle d’Aosta, Ospedale Beauregard e Parini, e direttore dell’Ufficio di Pastorale della salute della diocesi di Aosta: «Ogni giorno impariamo che accompagnare alla morte terrena significa accompagnare alla beatitudine un’anima che si apre a Dio». Così l’assistenza spirituale ai malati più gravi di covid, diventa anche l’occasione per un trapasso quanto meno doloroso possibile.


JULIAN LOZANO

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