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José Hinostroza, il sacerdote che è arrivato a Dio grazie al karate

JOSE HINOSTROZA

Parroquia Cristo Rey Guayaquil

Pablo Cesio - pubblicato il 28/10/20

Una bella testimonianza di fede per festeggiare la Giornata Mondiale del Karate

José Hinostroza (38) è un giovane sacerdote ecuadoregno, attualmente parroco della parrocchia di Cristo Re a Guayaquil. Da un momento all’altro, tra le sue attività pastorali, ha ricevuto una telefonata di Aleteia. Per lui è stata una sorpresa, ma non ha esitato un istante a offrire la sua testimonianza sulla pratica di una disciplina di cui il 25 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale e che in qualche modo lo ha aiutato a scoprire Dio e la sua vocazione.

José ci ha raccontato che ha iniziato a praticare il karate a 14 anni, ma ha dovuto abbandonarlo quando ne aveva circa 20 per problemi di salute (da quel momento ha cominciato a praticare il nuoto).

Quando praticava karate, desiderava l’autocontrollo, il dominio, il fatto di aiutare gli altri, e non sapeva dove cercare. La sua famiglia, ha ricordato, non era molto religiosa, e lui è stato battezzato quando aveva 10 anni.

“La mia anima era alla ricerca di qualcosa, e visto che non praticavo la vita religiosa vedevo nel karate qualcosa che la mia vita desiderava”, ha detto. “Quella disciplina sportiva è stata un preambolo della mia vocazione sacerdotale”.

In un articolo pubblicato da El Universo nel 2016, José ricordava che una domenica, durante la Messa, ha iniziato a voler ripetere un giorno quello che diceva l’officiante, ed è stato quando il sacerdote diceva: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”.

JOSE HINOSTROZA
Parroquia Cristo Rey Guayaquil

Il karate e i suoi valori

Approfondendo il legame tra la sua vocazione e il karate, padre José ha detto ad Aleteia che questo sport gli è “servito moltissimo, perché si basa su norme si rispetto ed etica. Ha un’origine che si ritrova nel cosiddetto bushido, il ‘cammino che faceva il guerriero’. È il codice samurai, élite militare con privilegi e doveri”.

“Tutti i samurai si basavano su sette princìpi, e se li traduciamo nel cattolicesimo sono valori importantissimi che tutti devono avere. Ad esempio, avevano molto forte il principio dell’onore, e insieme ad esso quello della lealtà e del dovere. Allo stesso tempo, erano coraggiosi. Tutto, però, era mescolato con la giustizia. Era gente sincera, compassionevole. Tutto era unito alla cortesia”, ha continuato.

José ha ricordato che per essere samurai la persona doveva appartenere a quella élite e avere spirito militare, ma anche modi raffinati.

“La persona faceva sacrifici, ma allo stesso tempo aveva anche modestia, purezza e pietà. Erano come i requisiti per poter appartenere a quell’élite militare. Da questo deriva il karate, la disciplina sportiva. Il dominio e il controllo sono molto importanti”.

È per questi princìpi, ha detto José, che si è orientato al karate.

Un’altra confessione: non ha visto la famosa serie che fa riferimento a questa disciplina, il sequel di Karate Kid, Cobra Kai (Netflix), ma adora i film di samurai – anche se non ce ne sono molti –, perché gli permettono di apprezzare quei valori.


PELE

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Sette anni di sacerdozio e molti frutti

Padre José non è più nella direzione delle Pontificie Opere Missionarie. Ad ogni modo, la sua attività pastorale in parrocchia dopo quasi sette anni di sacerdozio porta molti frutti. Attualmente è anche vicario del sobborgo di Guayaquil (gestisce insieme alla sua una trentina di parrocchie) ed è cappellano del Benemerito Corpo dei Pompieri di Guayaquil.

“Ho seguito il corso da pompieri. Sì, sono anche pompiere”, ha raccontato con un sorriso José, che è anche consulente di gruppi pro-vita e guida delle coppie.

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