Nonostante io abbia qualche santo speciale che mi ha sempre accompagnata nelle varie fasi della vita, tappa fissa per novene e piagnucolamenti vari, in generale vado molto a sentimento e mi lascio ispirare per essere supportata, o meglio, sopportata, dallo sventurato di turno (o sventurata, non facciamo scherzi eh, come un Francesco e dei “fratelli” di mia conoscenza!).
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Al tempo del liceo, mi accompagnava Pier, alias Beato Pier Giorgio Frassati.
Mi piaceva sentire che lui poteva veramente capirmi. Al contrario della maggior parte delle persone che ricerca miracoli ed effetti speciali (più sono speciali più il santo è uno tosto!), quello che mi è sempre piaciuto dei santi non sono i miracoli strabilianti ma le difficoltà, soprattutto se sono le stesse che vivo io.
Così pensavo a Pier, alla sua croce di scegliersi un futuro che avesse il sapore della pienezza, o di lasciare un amore sincero a cui non avrebbe mai voluto rinunciare. Così leggevo di lui e tra tutte le citazioni, quella che ho sempre cercato di tenere a mente è :
“Finché la fede mi darà la forza sarò sempre allegro!”
La chiave del cristiano vero, quello che, come diresti tu Pier, non vivacchia ma vive!
O meglio, quello dove non vivi più tu, ma Cristo attraverso il tuo corpo, le tue braccia, le tue mani ( “Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me” – San Paolo, lettera ai Galati, 2,20) .
Sei stato felice?
La coincidenza (quella dove c’è sempre un po’ del Suo) ha voluto che questo periodo mi tornasse alla mente una lettura di Don Epicoco: la prima cosa che Gesù ci chiederà di questa vita e di cui dovremo rendergli conto sarà “Sei stato felice?”.
Ed è scattato di nuovo qualcosa al suono di questo “essere felice”.
In questo momento dove si corre per gli obiettivi, per i risultati, per dimostrare qualcosa agli altri ma soprattutto dimostrare a noi stessi di valere qualcosa, sembra quasi una bella favoletta il “dover essere felici”.
Sembra quasi un per di più, un’idea messa lì a dirottarci, un’esca per rallentare i creduloni e fargli perdere la corsa al “fare”.
No, non conta più l’essere. O fai qualcosa o sei sprecato.
Subito dopo il fai viene l’ “hai”, perché non è possibile perdere tempo in cose fini a se stesse.
Perché se il tuo “fare” non ha prodotto per te le soddisfazioni di questo mondo (fama, soldi, sesso), beh mi spiace per te ma è stato tutto sprecato.
E allora non sembra poi così difficile pensare che le mamme sono viste come le schiave del nuovo secolo, irretite dalla gabbia del matrimonio, per non parlare delle suore, e dei manicomi moderni, soprattutto quelli delle monache di clausura!
Un biglietto da visita che sorride per Cristo
Fatto sta che c’è una cosa su cui nessuno potrà mai mentirvi, qualcosa per cui non avrete bisogno di grandi discorsi per esserne da subito convinti, qualcosa che non ha bisogno di mappe concettuali e strani sillogismi per arrivare al cuore della questione, qualcosa che anche senza conoscere, qualsiasi persona, grande o piccola, può capire al volo: il sorriso.
Certamente non quello che si fa davanti alle foto.
Non ho la lista dei nomi illustri di santi di cui guardare le foto per vedere e fare i confronti tra chi indossava il sorriso più smagliante (anche se le rughe di Madre Teresa la dicono lunga).
Perché il sorriso di cui parlo io è sempre uno e uno solo: il Suo.