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Pronti a rendere ragione di fede e speranza… ma senza aggressività

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Pierre Vivarès - pubblicato il 20/10/20

Le conversazioni o i dibattiti che ci impegnano a rispondere della nostra fede sono spesso venati di aggressività. Dietro le domande poste, ci sono spesso ferite personali: come accoglierle senza rinunciare a quel che si è, con delicatezza e rispetto?

Una giornalista di France Culture mi ha recentemente contattato perché rispondessi a delle domande piuttosto precise in vista di una serie di trasmissioni sulle religioni e dunque, fra le altre, sul cattolicesimo. Mi è allora tornata alla mente quella celebre frase della prima lettera di san Pietro: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Meditando su questa frase di Pietro, mi domandavo anzitutto come avrei dovuto “rendere ragione”: la giornalista era affabile, benevola e non avvertivo da parte sua alcuna animosità contro il cattolicesimo. Al contrario, mi dissi che era un segnale interessante il fatto che il servizio pubblico prepari trasmissioni sul fatto religioso dando la parola a persone che ne sanno qualcosa.

Le questioni del nostro tempo

Per preparare la registrazione, chiesi alla giornalista quali fossero gli argomenti che desiderava di toccare e compresi meglio allora il senso del “rendere ragione”. Perché il modo in cui le domande venivano poste lavava spesso trasparire i sottintesi che le precedevano: le proibizioni, le esclusioni, un’obbedienza servile, la paura, l’incomprensione… Non si tratta di malevolenza perché, come ho detto, la giornalista era positiva, però poneva le domande del nostro tempo e dava voce a quel che si muove nei cuori dei nostri contemporanei quando si pronuncia la parola “cattolicesimo”.




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Quando vogliamo annunciare l’Evangelo o difendere la fede, spesso ci leghiamo a quel che ci preme dire… mentre dovremmo cominciare dall’ascoltare la domanda cercando di sbirciarvi quanto in essa si solleva in termini di paure, ferite, fragilità, e permettere che quei sentimenti vengano espressi, invece di avere l’ansia di rispondere. La domanda potrà essere aggressiva o di scherno perché la persona che la pone sarà stat ferita, oppure avrà anche solo l’impressione di esserlo stata. Siamo capaci di ascoltare quella ferita “con delicatezza e rispetto”, prima di giustificarci con la nostra risposta? La domanda potrà essere angosciata, perché magari la persona che la pone ha paura di essere respinta. Siamo capaci anzitutto di annunciare la misericordia e l’amore di Dio che ristabiliscono le persone nella loro dignità prima di richiamare le esigenze dell’Evangelo? La domanda potrà essere pratica o pragmatica, perché la persona che la pone avrà in mente un interrogativo preciso. Siamo formati (e ne abbiamo l’umiltà), quando ignoriamo la risposta, di prenderci il tempo di informarci per dare una risposta giusta e chiara alle persone che ce la chiedono?

Spesso è una domanda molto personale

Negli animosi dibattiti sull’internet o nelle conversazioni da bar, ciascuno cerca di avere ragione sull’altro e di “vincere”. Le grandi discussioni politiche che possono infiammarci riguardano la gestione del Paese, le leggi, l’economia, ma di solito non toccano quel che c’è di più intimo nel cuore dell’uomo: tutt’altro avviene per la fede. Quando si discute di fede, non amo le grandi discussioni con molti partecipanti, perché sono convinto che spesso i partecipanti abbiano ciascuno una questione molto personale che vorrebbero vedere affrontata e, per scrupolo di delicatezza, di precisione e di discrezione, nonmi posso permettere di spaccare le risposte con l’accetta.




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Non si tratta mai di vincere una disputa verbale. Gli appassionati dibattiti sulla religione non permettono un vero dialogo, cioè un ascolto benevolo di quel che l’altro vuol dire e un lavoro volto a cercare di comprendere quale sia la vera questione, che renda giustizia a tutto quel che la persona ha passato nella sua vita. La nostra risposta sarà recepita proporzionalmente all’amore con cui la persona sarà stata ascoltata e dell’amore con cui la risposta sarà stata data. L’amore è anzitutto accoglienza dell’altro così com’è, e non può esserci evangelizzazione senza amore. Come battezzati abbiamo una missione fraterna di ascolto e di annuncio dell’Evangelo: dobbiamo riflettere sul modo in cui la svolgiamo.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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