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Un missionario nell’Amazzonia venezuelana e il suo amore per gli Yanomami

VENEZUELA

José Rafael Boscán Baldó

Macky Arenas - pubblicato il 20/10/20

Ha deciso di dedicarsi ai più sofferenti, vittime dei cercatori d'oro

L’11 settembre, festa della Madonna di Coromoto, José si trovava in un gruppo di preghiera. In precedenza aveva assistito alla Messa. All’improvviso hanno annunciato che una religiosa salesiana avrebbe presentato un progetto di volontariato per lavorare nella foresta con le comunità indigene.

Il cuore gli è balzato nel petto. Era un progetto d’amore, dedizione e impegno. Del resto, si chiamava Proyecto de Amor (Progetto d’Amore). “Era il giorno decisivo della mia vita”, ha raccontato. “Era arrivato, lo avevo aspettato per tanto tempo!”

Era un movimento cattolico che esortava ad addentrarsi nel mondo missionario per lavorare con gli indigeni nella foresta amazzonica venezuelana. I Salesiani sono attualmente i religiosi più attivi, e hanno da molti anni varie missioni nella regione.

“Come tanti giovani con queste inquietudini, ho sempre sognato una cosa del genere per la mia vita. Ho accettato subito di partecipare al progetto, e senza pensarci due volte ho detto di sì ai Salesiani, e ovviamente ai miei fratelli Yanomami”, ha ricordato.

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José Rafael Boscán Baldó

Molti sono i chiamati, pochi gli eletti

José Boscán Baldó è il giovane protagonista di questo racconto che ha voluto raccontare ad Aleteia la sua esperienza. Come tanti, voleva conoscere un mondo diverso, stimolato dalla testimonianza dei sacerdoti salesiani che dicevano meraviglie dei missionari e raccontavano il bene incredibile che hanno apportato all’umanità nel corso del tempo. Il contributo esperienziale che ha ricevuto è stato determinante per decidere di compiere il grande passo.

José non sapeva come avrebbe reagito la sua famiglia.

“I miei genitori sono consapevoli del mio impegno con Dio, e sapevano che ero preparato. Abbiamo iniziato a sistemare tutto per la partenza. Un’amica mi ha detto che era brutto che ci separassimo, ma io le ho assicurato che l’opera di Dio non separa, piuttosto unisce, e l’affetto si rafforza nel cammino di lavoro fraterno e missionario qui sulla Terra”.

Sappiamo che “molti sono chiamati, ma pochi gli eletti”, e questo si è realizzato in José. Moltissimi volevano andare in missione, ma José è stato scelto, e si è messo in marcia.

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José Rafael Boscán Baldó

Padre Júlio Maria De Lombaerde

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Destinazione foresta

José è arrivato alla missione salesiana di Puerto Ayacucho (capitale dello Stato venezuelano Amazonas), e ha trovato un gruppo di sacerdoti anziani, di quelli che trascorrono decenni nella foresta e non se ne vogliono andare più. Maria Ausiliatrice li protegge e li guida. Molti di loro sono europei, ed “è stato così interessante condividere con loro!”, dice. “Soprattutto i gesti di affetto e le dimostrazioni di fede da parte del vescovo, che mi ha sorpreso molto, specialmente con le sue raccomandazioni, di cui ho fatto tesoro”.

“Per arrivare alla nostra meta siamo passati per Okamo, un villaggio pittoresco e colorato, sede di una comunità missionaria e in cui ho visto per la prima volta gli Yanomami. Mi sono venute le lacrime agli occhi. Avevo immaginato tutto, il loro colore, i tratti somatici… ed eccoli lì, pieni di curiosità nei confronti di noi forestieri, con il volto umile e lo sguardo pulito”. A Mawaka hanno ricevuto una calorosa accoglienza da parte dei maestri della missione.

È così iniziata la routine giornaliera in Amazzonia. A José non è costato adattarsi, e la vita era simile a quella che aveva in mente – incontri con i giovani catecumeni, canti, lezioni e attività sportive. “È stato bello condividere tutti i pomeriggi con i figli della piantagione, organizzare circoli di preghiera, contribuendo a mantenere vivo il seme in molti giovani che assistevano alle riunioni in cui ogni settimana si impartiva una formazione attraverso il sistema radiofonico Paulo Freire. Un’esperienza davvero indimenticabile!”, ha riconosciuto José.

Gli Yanomami sono un popolo molto ricco a livello di costumi e convinzioni. “Mi sono dedicato soprattutto a chi ha sofferto per la tragedia di Haximú, una comunità di nativi logorati dai cercatori d’oro”.

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José Rafael Boscán Baldó

La strage

Nel 1993, 16 indigeni sono stati assassinati da minatori illegali brasiliani nel villaggio di Haximú. Nella zona operano numerosi cercatori d’oro illegali che hanno attaccato la comunità. C’è chi dice che le vittime siano state 80. I sopravvissuti erano a caccia, mentre la casa comunale yanomami veniva divorata dalle fiamme.

In quell’occasione, il direttore di Survival International, Stephen Corry, ha dichiarato: “Questa è un’altra brutale tragedia per gli Yanomami, che subisce crimine dopo crimine. Tutti i Governi amazzonici devono porre fine all’attività sfrenata dei minatori, al disboscamento e all’occupazione illegale nei e dei territori indigeni. Questo porta inevitabilmente al massacro di uomini, donne e bambini indigeni”.

Nel 2008 cinque indigeni sono morti nella comunità di Momoi, intossicati dal mercurio usato dai cercatori d’oro, che aveva contaminato i terreni e i fiumi della zona.

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“Dio mi aiuterà a trovare i testimoni”

Il luogo della tragedia si trova a un’estremità dello Stato venezuelano di Amazonas, alla frontiera col Brasile, a sei settimane di cammino da Parima, il centro abitato più vicino. Né le autorità venezuelane né le organizzazioni indigene sono riuscite ad arrivare fin lì per verificare ciò che era accaduto. Luis Shatiwë, rappresentante dell’organizzazione indigena Horonami, ha testimoniato al riguardo, ma non è stato creduto. “Ora non mi credono”, ha affermato, “ma Dio mi aiuterà a trovare i testimoni”.

Per episodi come questo, la Corte Interamericana per i Diritti Umani ha sottoscritto un accordo con lo Stato venezuelano in cui questo si impegna a garantire l’integrità del popolo yanomami. Il documento è stato firmato il 20 marzo 2012, e obbliga il Venezuela a fare giustizia nel caso del massacro di Haximú e a prendere misure di protezione e assistenza delle comunità indigene. Per quanto sappiamo, finora non è stata fatta giustizia.

La comunità è rimasta molto traumatizzata, non solo dal massacro in sé, ma anche per il modo dispregiativo e insensibile in cui la sua tragedia è stata trattata dalle autorità.

“Ho ritenuto che il mio dovere come soldato di Cristo fosse quello di accompagnarli ed evangelizzare”, ha spiegato il nostro missionario venezuelano José Boscán. “Andiamo avanti con la forza dei Figli di San Giovanni Bosco e con l’amore delle Figlie di Maria Ausiliatrice”.

Per molto tempo, José ha vissuto con le comunità indigene e ha predicato tra loro, ed è grato per aver potuto vivere questa esperienza. “Ho dei ricordi splendidi, grazie a MAWAKA «HOA Yamaki KU»”.

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